Tratto dal sito di superabile

"Not equal": la vita quotidiana dei disabili in un videogame
E' uno dei 109 progetti finalisti del Global Junior Challenge 2009: la protagonista è una ragazza in sedia a rotelle che deve destreggiarsi tra una miriade di azioni semplici, ma niente affatto banali

Giunge alla quinta edizione il Global Junior Challenge 2009, il concorso internazionale che premia l'uso innovativo delle tecnologie per la formazione, l'educazione, la solidarietà e la cooperazione internazionale. I 109 finalisti provenienti da 32 paesi, espongono i loro progetti nell'Istituto Galileo Galilei di Roma, luogo di per sé già fertile di soluzioni innovative. Alle quattro categorie anagrafiche si affiancano le serie ‘lavoro' e ‘creatività'. In quest'ultima emerge il progetto ‘Not Equal', videogioco sviluppato da Giuseppe e Simone Cacace ed Elisa Costacurta, un simulatore in cui l'utente interpreta il ruolo di una persona disabile per misurarsi con le conseguenze dell'handicap.
Gli ideatori sono un architetto pentito che si occupa di laboratori interagiti per ragazzi autistici, un matematico appassionato di videogiochi e un'architetta esperta in abbattimento di barriere architettoniche. Essi, muovendo dalle esperienza personali, hanno voluto sfruttare il processo empatico proprio dei videogame per diffondere un messaggio sociale e solidale. "Invece di veicolare nei giochi messaggi pubblicitari, abbiamo creduto utile lanciare concetti solidali - dice Giuseppe Cacace, ideatore del gioco - ". L'avventura grafica ha come protagonista una ragazza in sedia a rotelle che deve destreggiarsi tra una miriade di azioni quotidiane semplici, ma niente affatto banali. "La storia è costruita sulle esperienze reali di persone disabili - spiega Cacace - che abbiamo intervistato nella fase di progettazione del gioco. I ragazzi ci hanno spiegato come vivono le loro difficoltà; quelli che per noi sono automatismi, azioni banali, per loro sono gesti che implicano delle precauzioni".
Il progetto ‘Not Equal' offre la possibilità di immergersi in un'altra quotidianità per due ore. "Speriamo in tempi relativamente brevi - continua Cacace - di arrivare a 20 ore di gioco. Attualmente non siamo in rete, perché il nostro obiettivo è una distribuzione nelle scuole. Crediamo che nei ragazzi possano sorgere delle curiosità e delle domande che solo il supporto del docente potrà chiarire". Una duplice chiave di lettura ludico-formativa; un modo nuovo di affrontare il tema fuori dalla retorica del compatimento.
Nell'Officina ci sono i macchinari adoperati dagli studenti degli istituti tecnici, possenti, silenziosi e si respira l'inventiva e l'entusiasmo di quanti condividono soluzioni per ridurre la disuguaglianza e il divario digitale della comunità internazionale. Tra loro un patologo lombardo, Fabio Pagni, del Virtual Surgical Pathology, che spiega: "In Italia ci sono tremila patologi per circa sessanta milioni di abitanti; in Zambia esiste invece un solo laboratorio per 12 milioni di persone. Patologi oltre frontiera, grazie alla connessione satellitare, fornisce servizi di telemedicina virtuale mediante consulenze e diagnosi per l'interpretazione dei risultati di campioni istologici". Dal suo ufficio, un patologo del bresciano o dello Utah, dedicando tra i 5 e i 7 minuti del suo tempo libero, può analizzare l'immagine del tessuto prelevato ad un paziente dall'altro capo del mondo. Una manciata di secondi che può salvare una vita. L'Officina che ospita il GJC associa emisferi dicotomici: l'era industriale e quella digitale. La macchina che produce, quella che educa a riflettere o che salva la vita, aiutando a formulare una diagnosi. La tecnologia mette al servizio di chiunque queste possibilità, ci rende protagonisti, autori. Infrange la diversità e la distanza offrendoci il punto di vista dell'altro, educandoci all'alterità e al non sospetto. (Aldo Fabio Venditto)

14 ottobre 2009