Occupati in crescita nel terzo settore. Ma la riforma Fornero rischia di vanificare tutto

Fonte www.vita.it - Mentre la crisi nel 2012 si porterà via altri 130mila posti, il non profit negli ultimi dieci anni ha fatto registrare uno straodinario +33%. Un trend che proseguirà anche in futuro. A meno che la riforma Fornero non rovini tutto. Per evitare che lo faccia Vita ha lanciato il dibattito. Ecco in anteprima cosa troverete sul numero in edicola.

"Qui c'è lavoro"

E nel terribile 2012 il 96,2% delle organizzazioni aumenterà o manterrà stabili i propri addetti (in particolare donne). Un fenomeno che ha due spiegazioni: l'aumento della domanda di servizi e l'espulsione di lavoratori dai settori dell'economia for profit. Secondo Unioncamere, che ha appena presentato il suo rapporto 2012 quest'anno si bruceranno in Italia altri 130mila posti di lavoro, con l'occupazione dipendente che calerà di un ulteriore 1,1%. E il Dpef firmato da Mario Monti, per dirla con Carlo Dell'Aringa, che insegna Economia politica all'Università Cattolica di Milano, «prevede sì una piccola ripresa nel 2013, ma non abbastanza per creare nuova occupazione. Forse basterà per recuperare i posti perduti».

Eppure in un mercato del lavoro sempre più fosco, c'è un segmento che va controcorrente. O meglio, che è «anticiclico». Tanto da far dire a Dell'Aringa che certo, «il terzo settore potrebbe giocare un ruolo importante facendo da leva per quelle risorse pubbliche che invece da sole e usate direttamente sarebbero sempre insufficienti».

+33% di occupati

Il non profit nel 2011 impiegava 650mila lavoratori retribuiti, ben il 33% in più dei 488mila contati dall'Istat nel 2001. Sono i numeri presentati nella recentissima Ricerca sul valore economico del terzo settore di UniCredit Foundation. Rispetto al 2008, nei tre anni della crisi, il 7,4% delle organizzazioni ha aumentato il proprio personale retribuito e l'88,6% lo ha mantenuto stabile. Il dato trova conferma nelle previsioni per il 2012: il 96,2% delle organizzazioni non profit aumenterà o manterrà stabili i propri occupati. Per Giuseppe Ambrosio, che ha coordinato la ricerca, le ragioni sono due: «Il primo, l'aumento dei bisogni collegati al benessere: il terzo settore non è più solo il soggetto che risponde ai bisogni della marginalità, tant'è che il 78% delle organizzazioni eroga servizi a categorie non svantaggiate». L'altro motivo è l'espulsione di lavoratori da altri segmenti di mercato, con un terzo settore che però non incamera passivamente le risorse espulse ma «inventa percorsi di riqualificazione».

Non per nulla il 65% delle imprese sociali nel 2011 ha fatto formazione ai propri dipendenti, contro il 33,5% della media nazionale…

L'ultraliberista Giannino: «Il privato sociale merita un trattamento particolare»

Arriva dal principe dei Chicago Boys made in Italy, l'ultraliberista Oscar Giannino, la tirata d'orecchie più inattesa al ministro Fornero, «responsabile di una riforma del lavoro che non tiene conto della specificità del terzo settore». Giannino in queste settimane ha completamente appaltato la sua striscia quotidiana su Radio24 alla tragedia degli imprenditori vittime della crisi. E proprio in questo quadro ha voluto aprire una finestra sul lavoro nel terzo settore ospitando ai suoi microfoni Maurizio Carrara e Giuseppe Ambrosio, che con Unicredit Foundation hanno recentemente curato e dato alle stampe una documentata ricerca sul valore economico del terzo settore in Italia.

Dove nasce l'esigenza di fare un approfondimento sul non profit? Primo, da un'esperienza personale. Anch'io nella vita faccio il volontario e su queste tematiche mantengo un'attenzione costante.

Quindi solo una motivazione personale? Al contrario. Io credo che una risposta a queste emergenze non possa più venire, se non sui diritti fondamentali, dallo Stato. La soluzione non può che essere un welfare di prossimità, il più possibile sussidiario in grado di identificare i bisogni reali e di costruire le risposte migliori. E su questo la colpa dello Stato è quella di non capire che il terzo settore va incentivato molto più. Poi c'è una terza ragione…

Volontariato, ong e cooperative: i rischi nascosti della riforma Fornero

Quali conseguenze avrà la riforma del mercato del lavoro targata Fornero sulle non profit? E quali sono i punti più critici da correggere per non deprimere un settore che, malgrado la crisi, sta tenendo molto meglio di altri?

Per mettere sul tappeto del dibattito (l'iter del disegno di legge è in corso) il punto di vista dei protagonisti dell'economia civile, alcuni dei rappresentanti del terzo settore italiano lo scorso 7 maggio si sono dati appuntamento nella redazione di Vita. Presenti Mario Di Bella (responsabile amministrativo Misericordie), Stefano Granata (consigliere delegato Cgm), Sara Masper (addetta Risorse umane Cesvi), Pierluigi Saggese (responsabile Comunicazione Telefono Azzurro), Noè Ghidoni (vicepresidente Mcl) e Giuseppe Guerini (presidente Federsolidarietà). I costi La prima constatazione, come rileva Granata, «è che questa è una riforma fatta per intero a costo delle imprese. Tutte le imprese, incluse quelle sociali». E allora il tassello che manca «è quello delle politiche di sviluppo, perché se tu Stato mi appesantisci per un verso, per l'altro mi devi dare una via di fuga, altrimenti il meccanismo si stoppa».

Progetto e tempo determinato

La bozza approvata dal Cdm il 23 marzo prevede un incremento del costo contributivo dei contratti a tempo determinato e il contrasto alla reiterazione di questi rapporti. Parimenti per i contratti a progetto vengono introdotti disincentivi normativi e contributivi. «Se tutto ciò comporta la perdita della flessibilità senza che neppure in minima parte possano venir duplicate le mansioni dei dipendenti, questo rischia di aprire una grossa falla per esempio in alcune mansioni del trasporto socio-sanitario», spiega Di Bella. Una posizione condivisa da Masper che rileva come «i contratti degli espatriati delle ong non possano che essere a progetto e non possano che venir prorogati di volta in volta», visto che di fatto è «questo il meccanismo "imposto" dagli enti finanziatori». «Tanto più», interviene Ghidoni, «che in realtà che gestiscono Caf il lavoro a tempo determinato sta nelle cose: la domanda dei nostri servizi…»

11 maggio 2012