Il 26 aprile, alla Risiera di San Sabba, a Trieste, è stata inaugurata la mostra Progetto " Eutanasia: sterminate i disabili". La mostra voluta dalla Coop. Soc. Trieste Integrazione a marchio ANFFAS, allestita con il materiale dell'Associazione Olokaustos di Venezia, nel primo mese di apertura ha registrato un afflusso di circa 20.000 persone tanto da indurre il comitato culturale del museo a chiederne una proroga.

Vedere quelle fotografie, particolarmente suggestive nell'evocativo ambiente espositivo, e leggere i cartelli esplicativi mi ha permesso di conoscere passaggi storici a me quasi sconosciuti, ma in generale poco noti, che fanno rabbrividire. Si è trattato di uno sterminio sistematico e scientificamente programmato di persone con disabilità, e non solo, che ha rappresentato il "banco di prova" dell'olocausto riportato su tutti i libri.

Come chirurgo e padre di un meraviglioso ragazzo con disabilità, ne sono uscito profondamente colpito ed è stato sconvolgente venire a conoscenza che i "mostri in camice bianco", si rivelarono addirittura più efficienti di quanto lo furono, durante la guerra, le tanto famigerate SS. Mi sono fissato i passaggi storici principali per cercare di capire gli antefatti di tale dramma, paragonarli con la situazione attuale e rispondere alla domanda "Perché ricordare?".

Nel 1869, negli Stati Uniti d'America, Francis Galton, cugino del più famoso Charles Darwin, coniò il termine eugenetica per indicare "una scienza volta al perfezionamento della specie umana attraverso lo studio e la selezione dei caratteri fisici e mentali ritenuti positivi e la rimozione di quelli negativi". Il movimento eugenista, finanziato da alcuni industriali, si diffuse a tal punto da spingere le forze politiche a chiudere le scuole per sordi, considerate una spesa inutile, ad introdurre la segregazione e la sterilizzazione forzata per gli inadatti, praticata in alcuni Stati dell'Unione, (64.000 vittime dal primo decennio del ‘900 al 1963) e il controllo eugenetico degli immigrati.

Le idee di Galton approdarono in Germania ad opera del medico/biologo/eugenista Alfred Ploetz che, nel 1895, scrisse " Le basi dell'igiene razziale" e nel 1905 fondò la Società tedesca di Eugenetica. Durante il primo conflitto mondiale negli ospedali psichiatrici tedeschi oltre 140 mila pazienti vennero lasciati morire di fame. Lo Stato decise di non mantenere quella "zavorra sociale" con risorse che avrebbero potuto essere utilizzate in altri settori considerati "più produttivi". Fu nel 1920 che, in Germania, lo psichiatra Alfred Hoche e il giurista Karl Binding pubblicarono il libro "L'autorizzazione all'eliminazione delle vite indegne di essere vissute", sviluppando il concetto di "eutanasia sociale".

Tali teorie furono supportate negli anni seguenti, con l'avvento del nazismo, da una massiccia e mirata comunicazione sociale, veicolata con capillare diffusione dai media di regime, e ciò rappresentò il principale "mezzo d'istruzione" del popolo tedesco riguardo all'eutanasia. In questo modo il nazismo riuscì anche ad esercitare una tale pressione sulle coscienze da trasformare la classe medica in complice di crimini mostruosi e buona parte della popolazione in spettatore indifferente.

Un'interessante riflessione riguarda i criteri in base ai quali si stabiliva quali erano le vite indegne di essere vissute. Tali criteri, considerando la variabilità delle condizioni delle persone e delle convinzioni dei vari componenti delle commissioni, necessariamente erano molto discrezionali, per cui potevano rientrare in tale "categoria" anche le persone con disabilità lievi, di colore, gli omosessuali, gli zingari, gli alcolisti, etc.

Dal 1933 al 45, in Germania, dopo la promulgazione della legge sulla sterilizzazione, vennero operate più di 400.000 persone su indicazione delle 181 corti genetiche appositamente predisposte. Con il decreto sull'Obbligo di dichiarazione di neonati deformi del 1939, i nazisti passarono all'eliminazione fisica, iniziando dai bambini con disabilità, con iniezioni letali, o lasciandoli morire di fame, che fu attuata con l'assenso dei 500 medici che facevano capo alla Commissione per le malattie genetiche ed ereditarie nelle cliniche della morte, appositamente create e sarcasticamente chiamate Reparti per l'assistenza esperta dei bambini.

L'unica voce che si levò per segnalare quegli orrori fu quella del vescovo di Munster che, nell'estate del 1941, durante le omelie, denunciò il clima di terrore che si era instaurato, l'arresto di molti sacerdoti che si erano ribellati e il massacro dei malati di mente.

Con il processo di Norimberga, i capi organizzatori di quegli orrori vennero riconosciuti colpevoli di crimini contro l'umanità, mentre, paradossalmente i medici, gli infermieri e le ostetriche che avevano praticato fisicamente le uccisioni degli "indegni di vivere" furono condannati a pene miti, perché era nella cultura del tempo ritenere quelle vite senza valore.

Ma sono proprio definitivamente scomparse le aberranti idee che portarono a quello sterminio? Purtroppo parrebbe di no! Pratiche di questo tipo sono proseguite ancora per parecchi anni. Inoltre dagli anni '80, si è affacciato alla ribalta un filone di pensiero propugnato dal docente universitario australiano Peter Singer, definito il "filosofo della soluzione finale", fondatore di un Centro per la bioetica, che ha scritto: "Il mero fatto di esistere come essere umano vivo e innocente non è sufficiente per avere un diritto alla vita."

Fa rabbrividire che, a tutt'oggi, siano pubblicati, su prestigiose riviste scientifiche e culturali di rilevanza internazionale, saggi e articoli di insigni professori di bioetica e filosofia e che vi siano discussioni scientifiche ad alto livello che giustificano l'eutanasia dei neonati con disabilità. Nell'Europa comunitaria, addirittura, vi sono Paesi, come ad esempio l'Inghilterra, l'Olanda, il Belgio, la Danimarca, che si allineano a questo pazzesco pensiero e che adottano protocolli per adeguarvisi. Fortuna che ci sono anche tante importanti voci contrarie!

Tra tutte mi piace ricordare quella di Giovanni Paolo II che, nel gennaio del 2004, inviò un messaggio ai partecipanti al Simposio internazionale Dignità e diritti della persona con handicap mentale, in cui affermava che "La qualità di vita all'interno di una comunità si misura in buona parte dall'impegno nell'assistenza ai più deboli e ai più bisognosi e nel rispetto della loro dignità di uomini e di donne. Il mondo dei diritti non può essere appannaggio solo dei sani."

Quel documento anticipava di ben due anni i contenuti della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata nel 2006 e recepita dallo stato italiano con la legge18 del 2009. In quell'occasione, l'allora ministro Sacconi dichiarò che "La capacità di risposta ai bisogni delle persone con disabilità è uno degli indicatori principali di un Welfare moderno, maggiormente inclusivo, equo ed efficiente."

La guardia non va abbassata, anzi ! Se si pensa che nel 2010, sui media comparvero alcune dichiarazioni dell'allora Ministro dell'Economia Tremonti che diceva: "Su 60 milioni di abitanti, 2.7 milioni di invalidi pone la questione se un Paese così può essere ancora competitivo… Il costo delle pensioni di invalidità è salito a 16 miliardi. Un punto di PIL ogni anno va agli invalidi…"

Immediata la risposta della Fish (Federazione Italiana Superamento Handicap**) che precisò: "L'Italia per l'invalidità (comprese le pensioni di reversibilità) spende l'1,5% del proprio PIL… mentre la media nell'Europa dei 15 è il 2,1%... sempre secondo elaborazioni del Ministero dell'Economia, l‘evasione fiscale incide per il 22% del PIL…".

Appare evidente che in un paese democratico e civile, invece d'insistere ad additare ignominiosamente i cittadini con disabilità veri come fonte di spesa superflua, sia opportuno, per esempio, perseguire con sempre maggiore determinazione gli evasori fiscali. Mi piace ancora citare Giovanni Paolo II e non solo perché sono credente, ma perché in questa frase, nella sua grande laicità e universalità c'è il rispetto della Persona, al di sopra della condizione fisica o mentale, del credo, della razza o di qualsivoglia diversità: la Persona in tutta la sua umanità e ricchezza. "Soltanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia: l'handicappato non è persona in modo diverso dagli altri, per cui riconoscendo e promovendo la sua dignità e i suoi diritti, noi riconosciamo e promoviamo la dignità e i diritti nostri e di ciascuno di noi."

Ecco perché è bene ricordare e mai abbassare la guardia!

*Medico chirurgo e socio Anffas Onlus

**Cui Anffas Onlus aderisce

Per approfondire

Leggi l'articolo su Zenit.org cliccando qui

Leggi l'articolo de Il Foglio

Leggi l'articolo "Proposta choc dei bioetici"

Leggi il "Manifesto di Bioetica Laica"

http://www.consultadibioetica.org/bioetica_laica.html

Associazione Olokaustos " PROGETTO EUTANASIA: STERMINATE I DISABILI", d'Assain Editore

"Perché non accada mai più RICORDIAMO" a cura dell'Associazione Regionale Anffas Emilia Romagna e dell'Ass. Amici dell'Anffas

3 settembre 2013