Corriere.it - La «mobilitazione» dei neurotrasmettitori cerebrali durante l'attività ludica ha forti somiglianze con quella che si realizza durante azioni fondamentali per la sopravvivenza, come l'alimentazione. Dal punto di vista psicobiologico, per riuscire a giocare è indispensabile il buon funzionamento di un piccolo gruppo di cellule situate nelle profondità del cervello, che formano il nucleo accumbens.Questa struttura potrebbe essere coinvolta in patologie denotate da difficoltà proprio nell'area della socialità, come l'autismo. 

Un avanzamento nelle conoscenze della psicobiologia del gioco viene da uno studio pubblicato sulla rivista Neuropsychopharmacology da ricercatori italiani e olandesi, coordinato da Viviana Trezza del Dipartimento di Scienze dell'Università Roma Tre. 

Parla dello studio un articolo su Corriere.it che riporta anche le considerazioni della dottoressa Paola Visconti della Neuropsichiatria Infantile, Centro per i disturbi dello spettro autistico, IRCCS-Istituto Scienze Neurologiche dell'Azienda Usl di Bologna: "«Messi di fronte a giochi che attirano l'attenzione dei coetanei, i bambini con sindrome dello spettro autistico se ne disinteressano o li utilizzano in maniera stereotipata. L'incapacità nel gioco esprime non una mancanza di emozioni collegate agli oggetti, ma una specificità e ristrettezza di interessi. È una condizione causata dalla conformazione particolare delle loro strutture cerebrali acquisita per via genetica".

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25 luglio 2016