Fonte lombardiasociale.it - Provare ad andare oltre l’erogazione dei servizi alla persona ribaltando lo stereotipo della persona con disabilità che deve “normalizzarsi” ed adattarsi al contesto.
Il percorso di approfondimento delle realtà territoriali collegate al network di Immaginabili Risorse procede con l’esperienza della cooperativa sociale Radici nel Fiume.

La cooperativa sociale di tipo B Radici nel Fiume nasce nel 2005, quando Anffas Ticino onlus di Somma Lombardo decide di sviluppare un nuovo progetto da affiancare alla filiera di servizi già esistenti e direttamente gestiti (Comunità Alloggio, SFA e CSE), con lo scopo di creare opportunità di occupazione, qualificazione, tirocinio e inclusione sociale per le persone con disabilità intellettive e relazionali.

La Cooperativa è attiva in 4 settori: il Laboratorio Comunità di Maddalena (trasformati alimentari biologici), il Laboratorio Voltalacarta (oggetti artistici ed artigianali in carta naturale), il Laboratorio RES (ceramica RAKU), il settore Educazione Ambientale e Turismo Sociale (Centro Educativo Ambientale accreditato dal Parco del Ticino per attività con le scuole, Punto Accoglienza e Noleggio bici). Inoltre, ha aperto un negozio, dove è possibile acquistare i prodotti realizzati dal lavoro dei soci e da altre cooperative sociali con le quali collabora. Nella cooperativa lavorano 8 persone con contratto a tempo indeterminato, di cui 4 con disabilità intellettiva.

I diversi settori offrono postazioni lavoro per tirocini lavorativi di persone con disabilità e per progetti di messa alla prova di giovani segnalati dal Tribunale dei Minori.

La persona con disabilità, da utente a lavoratore

Le persone con disabilità attive nella cooperativa, hanno alle spalle una storia più o meno lunga di utente di servizi per la disabilità: con la nascita della cooperativa, è stato possibile immaginare e poi realizzare percorsi per promuovere un cambio di ruolo importante per la loro auto-realizzazione: da utente a lavoratore. Le competenze acquisite e coltivate durante l’esperienza all’interno dei servizi, hanno trovato in questo modo l’opportunità di essere valorizzate e riconosciute socialmente ed economicamente.

Questo passaggio, non è però  di per sé sufficiente per garantirne l’irreversibilità.

Spesso, gli inserimenti lavorativi di persone con disabilità falliscono perché esse non risultano idonee o adatte al contesto lavorativo. Abbracciando un’ottica inclusiva, si è perciò deciso di ribaltare lo stereotipo della persona con disabilità che deve normalizzarsi attraverso processi di adattamento ai contesti e alle relative richieste, modificando il contesto lavorativo, nelle sue diverse articolazioni, affinché risulti sufficientemente flessibile per essere idoneo e adatto alle persone. Nell’organizzazione del lavoro e delle diverse fasi produttive, dunque, si ricercano e si creano le condizioni (produttive e relazionali) che garantiscano alle persone con disabilità di ricoprire un ruolo attivo e qualificante. Ciò comporta, ad esempio, la scelta di orientare le produzioni attraverso lavorazioni con caratteristiche di artigianalità, dove l’uso di macchinari – che pur permetterebbero di aumentare i volumi produttivi – è limitato al minimo indispensabile, consentendo un maggior coinvolgimento nel ciclo produttivo e la valorizzazione delle competenze presenti, poche o tante che siano. Quest’attenzione è costantemente attivata e aggiornata ogni volta che una nuova persona viene inserita nei cicli produttivi.

Il valore sociale della disabilità. “Sentirsi parte” del territorio e “prendervi parte” attiva

Il ruolo lavorativo, non si esaurisce all’interno degli spazi produttivi. Per sostenere ulteriormente il processo identitario e la valorizzazione del ruolo sociale, riteniamo importante utilizzare le opportunità di relazione offerte dal territorio. Viene perciò favorita la partecipazione a mercatini e fiere del territorio, dove – grazie all’importante sostegno della rete di volontari che supporta l’associazione e la cooperativa – i prodotti realizzati sono messi in vendita. In questo modo, i processi inclusivi e il valore sociale del lavoro dei soci della cooperativa trovano il massimo livello di riconoscimento, grazie all’interazione coi clienti che acquistano i prodotti non perché fatti dai disabili ma per la qualità intrinseca dei prodotti.

Ricordiamo che nel 2010 e nel 2013, il Laboratorio Alimentare è stato premiato nell’ambito del progetto “Nutrire il Pianeta, Energia per la vita. Verso l’Expo del Consumatore: le buone pratiche dell’agroalimentare” promosso da Regione Lombardia e Federazione delle associazioni dei consumatori con la motivazione: “La cooperativa ha saputo creare un circolo virtuoso tra domanda ed offerta di beni alimentari, quale sinonimo di qualità, sicurezza e sostenibilità”.

Il più recente e importante riconoscimento per i soci della cooperativa, è stato l’invito da parte di Coldiretti a presentare presso il proprio padiglione all’EXPO, le produzioni biologiche e le modalità di lavorazione che permettono a persone con disabilità intellettive, di assumere un ruolo attivo nella filiera della trasformazione alimentare.

Costruire inclusione prendendosi cura della comunità

Un altro aspetto che caratterizza le scelte e le attività della cooperativa, è il fare rete. In un’ottica d’interdipendenza, dove nessuno può ritenersi pienamente autonomo nelle scelte e nelle proprie azioni, pensare di bastare a se stessi sarebbe un errore molto grave. Ciò vale per le singole persone e per qualsiasi soggetto sociale. Lo sforzo messo, in stretta collaborazione con Anffas Ticino, è quello di andare oltre la semplice erogazione di servizi, proponendosi come soggetti che vogliono costruire e vivere all’interno di reti di persone e gruppi, con cui condividere il desiderio di partecipare attivamente ad una esperienza di cambiamento culturale per sostenere l’inclusione delle diversità e il diritto alla cittadinanza.

Ampliare l’attenzione dal singolo alla comunità territoriale, è interessante perché siamo convinti che prendersi cura di qualcuno – nel nostro caso la persona con disabilità – significa comprendere quanto i diversi fattori che caratterizzano l’ambiente sociale in cui operiamo, possano essere decisivi nel costruire esclusione e disagio piuttosto che inclusione e benessere. È una sorta di rovesciamento di paradigma: curare il territorio per curare le persone, andando oltre l’erogazione dei servizi alla persona.

Sono stati attivati negli anni una serie di progetti e iniziative rivolti alla comunità locale, per rendere la cascina che ospita i servizi dell’associazione e la cooperativa, un luogo sociale, aperto al territorio e disponibile a mettere a disposizione le proprie mura e la competenza delle persone che le abitano. Cerchiamo di realizzare concreta inclusione sociale: costruendo legami tra le persone e le reti informali con diversi soggetti e realtà: (scuole, oratori, scout, associazioni sportive e di volontariato, pro-loco, rete del commercio equo solidale, rete dei Gruppi di Acquisto Solidale, cooperazione sociale); ponendo l’accento non solo sulla condizione di disagio ma sulla ricerca di un benessere comune; proponendo esperienze partecipative: dall’organizzazione di momenti d’intrattenimento e socializzanti alla realizzazione di progetti comuni dove ogni partecipante può sperimentarsi in un ruolo attivo e socialmente riconosciuto.

Dunque, fare rete è una strategia potente…

Si. Parallelamente alle iniziative rivolte alla comunità si è lavorato per costruire reti di relazioni per diventare sempre più soggetto che vive il territorio, ricercando le occasioni promosse da altri soggetti sociali per diventarne sia fruitori che partner, stringendo legami di collaborazione partecipando alla realizzazione di iniziative e progetti comuni.

Fare rete, è inoltre un’opportunità per sostenere le produzioni della cooperativa.

Ad esempio, il Laboratorio Comunità di Maddalena è certificato da ICEA come trasformatore biologico, permettendo di valorizzare in termini di qualità la produzione e di avviare nuove relazioni con alcune piccole realtà di produzioni agricole biologiche che si appoggiano alla cooperativa per trasformare le eccedenze produttive.  Radici nel Fiume è, inoltre, tra i Soci fondatori del Distretto di Economia Solidale della provincia di Varese e della cooperativa Aequos, una cooperativa che mette in rete 36 Gruppi di Acquisto Solidale e 5 cooperative sociali tra Lombardia e Piemonte, nelle province di Varese, Como, Novara, Milano, Monza-Brianza. Ancora, a partire dal 2012 è attiva anche la partecipazione al progetto “Artigianaltro. Le Officine della Solidarietà”, un marchio solidale, avviato nel 2009 da un gruppo di Associazioni e Cooperative milanesi operanti nell’ambito della grave emarginazione sociale.

Tanti e diversi sono i progetti attivati in rete da Radici nel Fiume e Anffas Ticino.

In tutte le attività, una grossa attenzione è posta nel creare le condizioni (organizzative e relazionali) affinché le persone con disabilità coinvolte abbiamo sempre un ruolo attivo e valorizzante. Ad esempio, ogni anno almeno 700 bambini di scuole materne o elementari della Lombardia, partecipano alle nostre proposte didattiche e animative: ogni classe partecipa a laboratori manuali o creativi animati dalle persone con disabilità. La stessa metodologia è stata utilizzata nel progetto Interreg Italia-Svizzera Modus Riciclandi – Re Mida” o nelle collaborazioni con i musei d’arte moderna GAM di Torino e MAGA  di Gallarate.

Radici nel Fiume, esperienza di nicchia?

Nel confronto con le altre cooperative e servizi con cui collaboriamo, abbiamo osservato che progetti simili al nostro, possono funzionare con buoni risultati sulla qualità di vita delle persone, laddove sono soddisfatte alcune condizioni in grado di superare quegli ostacoli che facilmente, chi lavora in ambito sociale, può incontrare.

La prima condizione, come già detto, è praticare il lavoro di rete, con uno spirito di sostegno reciproco e di opportunità di scambio tra i diversi attori che condividono territori e potenziali progettualità, superando quegli egocentrismi autoreferenziali che non consentono innovazione o crescita sul piano culturale, metodologico e dell’offerta alle comunità locali, ma costruiscono solo steccati, gelosie e competizione.

Ciò richiede una costante e stretta collaborazione tra soggetti del pubblico e del privato sociale, che – pur nella distinzione dei ruoli – deve essere attuata su un piano di reciproca complementarietà e responsabilità. Nella nostra esperienza, ciò è attuato con la rete di relazioni costruita nel tempo con Provincia e Comuni, Centri di Formazione Professionale, Servizi di Inserimento Lavorativo, Cooperative Sociali, Associazioni e Gruppi informali.

Un’altra condizione riguarda il tipo di cultura che presiede il pensiero delle organizzazioni, pensiero che costruisce da un lato le rappresentazioni sui fenomeni sociali e sulle persone in situazione di disagio sociale e dall’altro lato influenza le scelte strategiche, operative e organizzative.

Nel nostro caso, indubbiamente la forte sinergia tra Radici nel Fiume e Anffas Ticino ha posto delle basi solide sia dal punto di vista culturale – condividendone i presupposti e i costrutti – sia dal punto di vista organizzativo.

Nella nostra esperienza, inoltre, la presenza di una cultura inclusiva – favorita anche attraverso percorsi formativi – ha consentito alle persone che vi operano di costruirsi un abito mentale che risulta essere un sostegno motivazionale molto forte, grazie al quale è possibile agire quella flessibilità strategica e organizzativa necessaria per creare contesti inclusivi.

 

31 gennaio 2017