“Quanto è conosciuta, agita e vissuta, in Italia la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità? Purtroppo ancora troppo poco”: così esordisce il Presidente di Anffas Roberto Speziale in sede di audizione della Commissione Diritti Umani del Senato, svoltasi lo scorso 12 novembre. Il nostro sistema, infatti risulta ancora troppo ancorato ai due modelli storici: all’approccio pietistico-assistenziale, risalente addirittura all’800 ed i primi decenni del ‘900, prima e poi all’approccio medico, ancora imperante, che vede al centro dell’intervento e delle politiche principalmente la “menomazione”. Mentre il nuovo approccio alla disabilità, ribadito e sancito dalla Convenzione, mette al centro la persona e riconosce che la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali che impediscono la loro piena ed efficace partecipazione nella società su base di parità con gli altri cittadini.
 

“Ogni volta, quindi, che le persone con disabilità incontrano barriere di varia natura o subiscono discriminazioni a causa della loro condizioni si è in presenza di una lesione di diritti fondamentali della persona umana. Ed è lo Stato “in primis” che deve mettere in atto politiche attive per rimuovere tali barriere e per garantire pari opportunità e contrastare ogni forma di discriminazione”.
 

Si è poi evidenziato come in Italia la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – nonostante sia ormai da oltre 10 anni una legge del nostro paese e nonostante l’Italia abbia anche sottoscritto il Protocollo Opzionale che la impegna a sottoporsi a delle regole di monitoraggio e verifica dell’applicazione della CRPD – non sia ancora, in larghissima parte, conosciuta e recepita, non solo a livello normativo ma soprattutto a livello culturale.

 

Per quanto riguarda l’aspetto normativo, infatti, da un primo confronto con l’ONU sono emerse ben 82 raccomandazioni specifiche per l’Italia, tra cui alcune molto rilevanti come la necessità di definire il concetto di “accomodamento ragionevole”; superare alcuni attuali istituti considerati segreganti in termini di diritti umani come l’interdizione e l’inabilitazione (previo rafforzamento dell’amministrazione di sostegno); rimuovere gli attuali impedimenti che limitano l’accesso al diritto al voto delle persone con disabilità, specie intellettive e con disturbi del neurosviluppo, che necessitano di assistenza in cabina, nonché contrastare in maniera maggiore le pluridiscriminazioni di cui sono vittime, in special modo, le donne con disabilità.

La Convenzione ONU infatti porta con sé, prima di tutto, un cambio dei paradigmi culturali e un diverso approccio alle disabilità. Cambiamento di approccio di paradigmi che non solo non si è ancora compiuto ma rispetto al quale si registrano preoccupanti segnali di involuzione.
 

Ha spiegato infatti il presidente “Se pensiamo che anche nella Legge di Bilancio chi ha redatto i testi ha continuato ad utilizzare la definizione di “diversamente abili”, possiamo capire come ancora le stesse Istituzioni siano ancora lontane dall’aver fatto propria la Convenzione ONU che invece, non a caso, adotta la nuova definizione di “persona con disabilità” spostando, appunto il focus dalla “diversità” alla persona, mettendola al centro di tutto in quanto titolare, alla pari degli altri cittadini senza disabilità, di tutti i diritti umani”.

“Quindi non si tratta di un puro aspetto semantico” ha sottolineato il presidente “ma è una questione concreta di cultura sui diritti umani”.
 

Per Anffas, che da sin dalla sua nascita, nel lontano 1958, ha da sempre messo al centro la persona, e per tutto il movimento delle persone con disabilità, questo è un chiaro segnale di mancata percezione della persona con disabilità e dei suoi diritti: e questo deve avvenire, prima ancora che nelle norme, nel sentire più profondo dell’intera società civile.
 

Per questo fine è stata avanzata la proposta di coinvolgere il mondo della scuola e delle università in quanto luogo privilegiato per attivare quel percorso di conoscenza del modello di società basato sul rispetto dei diritti umani e sul modello di sviluppo sostenibile che sia poi capace di attivare quell’atteso ed auspicato cambiamento positivo che, come detto, fa ancor oggi, molta fatica a radicarsi ed affermarsi. 
 

“Per fare un esempio di come una norma possa essere orientata dal modello basato sui diritti umani e sulla Convenzione ONU possiamo prendere a riferimento la Legge 112/16 sul “Durante Noi, Dopo di Noi”, che Anffas ha contribuito a realizzare, perché declina concretamente l’art 19 della CRPD, ossia il diritto a scegliere dove e con chi vivere senza essere adattati ad una specifica sistemazione contro la propria volontà”, contrastando quindi ogni forma di segregazione ed Istituzionalizzazione. Mentre in Italia oltre 400mila persone stanno vivendo in strutture con più di 200 persone e non si comprende che questa è una condizione segregante, lesiva di diritti umani, a cui è necessario porre fine, anche attraverso un piano straordinario di deistituzionalizzazione.

“La legge 112 riproduce come soluzioni alloggiative, il concetto di casa e di famiglia” ha continuato “ma è ben lontana, a distanza di tre anni ormai, dall’avere effetti positivi perché è inserita in un sistema di infrastrutture sociale incapace di accoglierla”.


Il presidente di Anffas ha anche richiamato l’attenzione su alcuni gravi problemi che da sempre affliggono le persone con disabilità e su cui Anffas è costantemente impegnata, per esempio: la mancanza di un sistema di raccolta dati, senza i quali è pressoché impossibile elaborare politiche efficaci; l'assenza di un comitato indipendente di monitoraggio della CRPD; le gravi carenze che permangono nel sistema di inclusione scolastica degli alunni con disabilità nelle scuole di ogni ordine e grado che continuano a far registrare, nonostante una normativa molto avanzata, una serie infinita di problemi. Con la conseguenza che il primo giorno di scuola non è tale per gli studenti con disabilità, negando loro, di fatto, diritti fondamenti quali quello dell’accesso all’istruzione. Inoltre mancando ancora i livelli essenziali degli interventi e delle prestazioni sociali, in molte parti del paese, i servizi non sono garantiti in modo omogeneo e non sono concretamente e pienamente esigibili, spostando gran parte del carico della gestione della disabilità e della non autosufficienza sulle famiglie.

 

Occorre assumere piena consapevolezza che i Diritti Umani sono universali, indivisibili, ed interdipendenti e se non sono resi realmente e pienamente esigibili rischiano di essere solo “gentili concessioni” e fonte di discriminazione. A tal fine è indispensabile emanare i livelli essenziali degli interventi e delle prestazioni sociali operando anche sul Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza, che oggi vede finanziamenti purtroppo ancora insufficienti, nonché emanare una specifica norma e specifiche risorse relativamente ai programmi di autonomia e vita indipendente così come previsto dalla stessa Convenzione ONU. Occorre anche ripristinare, al più presto, la funzionalità dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, anche per dare puntuale riscontro alle raccomandazioni inviate all’Italia dal Comitato sui Diritti Umani delle Nazioni Unite, nonché dare attuazione al programma biennale di azione del Governo, ad oggi rimasto “lettera morta”.


Si rende necessario, infine, rivedere anche la proposta di legge delega che il Consiglio dei Ministri ha già esitato, e che dovrà essere esitata dal parlamento, con la quale si prevede, attraverso uno più decreti attuativi di dare corpo al cosiddetto “Codice della Disabilità”. Infatti tale legge delega, ed i provvedimenti da essa scaturenti, dovranno essere ancorati necessariamente ai paradigmi della CRPD ed al programma di azione del governo e trovare il luogo di condivisione all’interno dell’osservatorio OND.