Fonte www.vita.it - La legge che in Italia disciplina il diritto al lavoro delle persone con disabilità, è la (Legge 12 marzo 1999, n. 68) che ha da poco compiuto vent’anni. La legge promuove l'inserimento e l'integrazione delle persone con disabilità nel mondo del lavoro attraverso il "collocamento mirato". «È un’ottima legge, innovativa, per tanti versi antesignana della stessa Convenzione Onu, poi ulteriormente migliorata con il D.Lgs. 151/2015 (“Jobs Act”). Pertanto con queste legge dovremmo avere nel mondo del lavoro vero, sia nel privato che nel pubblico, una quantità industriale di persone con disabilità che, appunto, grazie al loro ingresso nel mondo del lavoro siano usciti da percorso un percorso meramente assistenziale, acquisendo un ruolo di cittadini attivi e produttivi. Invece non è così». A parlare è Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas. Invece ci sono in Italia 145mila posti di lavoro scoperti fra quelli riservati a persone con disabilità: «145mila persone che domani mattina potrebbero lavorare». Invece ci sono 775mila persone con disabilità iscritte alle liste di collocamento e al ritmo di circa 30mila avviamenti annui, «a spanne significa che ci vorranno 25 anni per smaltire le liste» . Dato altrettanto preoccupante è quello relativo alla Pubblica Amministrazione, «che dovrebbe essere la prima a dare attuazione alle leggi, e che, invece, fa registrare un 33% di inadempienza».

Roberto Speziale è amaro mentre mette in fila i dati da poco usciti. Quelli del report Conoscere il mondo disabilità: persone, relazioni e istituzioni (Istat, 2019), ad esempio. «Il report evidenzia giustamente come la legge n. 68 del 1999 ha introdotto l’istituto del collocamento mirato superando il precedente collocamento obbligatorio che si configurava come un mero strumento risarcitorio nei confronti delle persone con gravi problemi di salute. La legge concepisce l’inserimento lavorativo come una opportunità di autorealizzazione e uno strumento di inclusione sociale; essa si propone di mettere in comunicazione domanda e offerta di lavoro, di favorire la valorizzazione delle abilità delle persone e l’individuazione degli strumenti di inserimento personalizzato nei luoghi di lavoro, coerentemente con il principio dell’accomodamento ragionevole poi definito nell’articolo 2 della Convenzione Onu». È lo stesso report – cita Speziale - a scrivere che «malgrado questa lungimirante normativa resta rilevante lo svantaggio, nel mercato del lavoro, delle persone con disabilità. Infatti, considerando la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 31,3% di coloro che soffrono di gravi limitazioni gravi (26,7% tra le donne, 36,3% tra gli uomini) contro il 57,8% delle persone senza limitazioni. A livello territoriale il dato peggiore è quello del Mezzogiorno: solo il 18,9% delle persone con disabilità sono occupate. Contrariamente a quanto normalmente accade nelle analisi disaggregate a livello territoriale, il dato migliore in questo caso non è quello del Nord ma quello del Centro: 42,2% di persone con disabilità occupate, contro il 37,3%. Una plausibile spiegazione di tale evidenza è che le persone con disabilità sono in prevalenza occupate non nel settore privato ma nella Pubblica Amministrazione: il 49,7% rispetto al 41,3% per le persone senza limitazioni. Con riferimento al settore privato, l’agricoltura precede, sotto questo aspetto, i servizi e l’industria. Inoltre, le persone con disabilità sono frequentemente lavoratori autonomi ma raramente dirigenti, professionisti o imprenditori».

Altri dati, il 21 gennaio 2020, li ha forniti il sottosegretario Francesca Puglisi, rispondendo a un’interrogazione dell’onorevole Walter Rizzetto (FdI), Attuazione delle disposizioni in materia di integrazione lavorativa delle persone disabili, di cui alla legge n. 68 del 1999 (5-03354, qui il testo della risposta). Citando la Fondazione Studi consulenti del Lavoro e il rapporto intitolato L'inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia, la sottosegretaria ha ammesso che «nel 2018 si registravano in Italia 145.327 posizioni lavorative destinate ai disabili ma non ancora coperte». Inoltre, sempre secondo il citato Rapporto «poche differenze emergono tra le organizzazioni pubbliche e quelle private (la quota di “scopertura” si attesta sullo stesso livello)». Per il settore privato, nel 2012, il numero di posizioni scoperte a livello nazionale risultava essere di 41.304, dato sceso a 26.739 nel 2013. Mentre per il settore pubblico il numero di posizioni scoperte a livello nazionale risultava essere 12.989; dato aumentato a 14.499 nel 2013. Il sottosegretario ha fatto presente «che l'azione di questo Ministero è fortemente incentrata sul tema del collocamento al lavoro delle persone disabili. Per questi lavoratori, bisogna investire anche in formazione e aiutarli nell'inserimento lavorativo in modo che possano avere una vita indipendente. A ciò va aggiunto che il Fondo per il diritto al lavoro dei disabili rappresenta uno strumento di incentivazione a favore dei datori di lavoro che assumono lavoratori con disabilità in particolari condizioni di gravità. La dotazione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili è risultata insufficiente a fronte del notevole ricorso alla misura da parte dei datori di lavoro. In virtù di questo, nella legge di bilancio 2020 sono stati previsti strumenti idonei a garantire l'erogazione dell'incentivo a favore dei datori di lavoro che assumono lavoratori con disabilità in particolari condizioni di gravità. Il Governo ha, infatti, previsto uno stanziamento pari ad euro 71.915.742 per ciascuno degli anni 2020 e 2021 ed euro 76.915.742 per l'anno 2022 a valere sul Fondo per il diritto al lavoro dei disabili».

«Il dato eclatante sono le 145mila scoperture. I posti di lavoro ci sono, basterebbe fare il matching», sottolinea Speziale. «Il problema evidentemente è il retaggio culturale per cui le persone con disabilità sono un peso, vanno assistite e non possono entrare a pieno titolo nel percorso produttivo. Bisogna far vedere di più le tante buone prassi ed esperienze positive che ci sono, ce ne sono tantissime ma fanno fatica a trovare spazio e racconto. Invece il racconto di una esperienza positiva vale più di mille affermazioni e avrebbe un effetto di contagio che potrebbe far finalmente invertire l’attuale tendenza ». Ma anche i posti scoperti nella PA gridano allo scandalo: «Se in primis è lo Stato a non dare attuazione alle leggi che fa, il privato si sente legittimato a cercare di sottrarvisi. E perché molti tendono a sottrarsi all’obbligo di assunzione delle persone con disabilità? Torniamo sempre lì, per l’idea per cui la persona con disabilità è un peso. Cosa non vera perché i dati di letteratura dicono che gli occupati con disabilità non solo sono lavoratori attenti e produttivi – chiaramente se le loro postazioni sono adeguatamente strutturate e se sono adeguatamente supportati – ma si assentano meno, migliorano il clima del posto lavorativo e si alza il livello complessivo di produttività».

Un terzo problema su cui Speziale accende i riflettori è quello che lui chiama “le porte girevoli” dei tirocini formativi e della formazione professionale. «La formazione professionale e poi i tirocini accolgono moltissimi ragazzi con disabilità e sono percorsi indispensabili, perché dopo la scuola una delle risposte possibili sui territori è proprio questa, sia nel pubblico sia con la cooperazione sociale. Il rischio qual è? Che le persone con disabilità che non trovano sbocco nel mercato lavoro vero, restino poi nella “porta girevole”: entrano in formazione professionale e ci restano per anni, vanno in tirocinio formativo e poi tornano in formazione», racconta Speziale. «Alla fine abbiamo investito sulle persone con disabilità - 12 anni a scuola, 5 o 6 anni di formazione professionale e tirocini… - costruendo in loro quelle risorse enormi che sono le loro competenze e le loro professionalità. Per avere cosa? Utenti dei centri diurni, non lavoratori. Che fare invece? Perché poi non stabilizzare queste persone là dove hanno fatto il tirocinio? Anche se lì fosse già stata superata la quota di riserva? Vorrei che tutti potessero leggere la lettera che una mamma ha scritto al Presidente Mattarella, raccontando di suo figlio che per anni ha lavorato alla Biblioteca di Roma. Siccome il Comune di Roma ha superato le quote di riserva perché ha stabilizzato tutti i dipendenti con disabilità, questa persona è rimasta a casa. È la prova che la macchina burocratica non è centrata sul garantire le persone ma sul garantire le procedure».