rapportoAncora difficile fare stime precise

Fonte www.nonprofitonline.it - I volontari "sono una nazione". Se venissero contati come popolazione residente in un ipotetico paese, si piazzerebbero al nono posto nella classifica mondiale dopo la Russia e prima della Nigeria con circa 140 milioni di persone. E' quanto riporta il primo Rapporto sullo stato del volontariato nel mondo (Rsvm) dei Volontari delle Nazioni unite (Unv) presentato lo scorso 13 aprile a Roma in collaborazione con il Centro di documentazione sul volontariato e il terzo settore, l'Istituto Luigi Sturzo e il Laboratorio per la sussidiarietà (Labsus).

Il primo Rapporto sullo Stato del Volontariato nel Mondo è stato lanciato il 5 dicembre 2011 durante la 66esima sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di New York e in oltre 80 paesi in tutto il mondo. Il Rapporto promuove una migliore comprensione del fenomeno del volontariato, ne dimostra il carattere universale, ne descrive le dimensioni e gli obiettivi e ne individua le più recenti dinamiche. Stimolando nuove riflessioni sul tema del volontariato, il Rapporto sullo Stato del Volontariato nel Mondo offre una visione alternativa di una società migliore.

La stima della "Volunteer Land" si riferisce ad uno studio del Johns Hopkins Comparative Nonprofit Sector Project che ha preso in esame il periodo che va dal 1995 al 2000, contando i volontari impegnati in organizzazioni della società civile in soli 36 paesi. Un dato parziale, quindi, che non riesce a fotografare lo sconfinato mondo del volontariato. Ed è proprio questo uno dei problemi su cui stanno lavorando alle Nazioni unite.

"Oggi c'è bisogno di raccogliere dati sistematicamente - ha affermato Francesco Galtieri, portfolio manager Unv - C'è bisogno che ogni paese incarichi una struttura, magari già esistente, di raccogliere dati sul numero di volontari e il loro apporto in termini di ore di lavoro. In inglese si dice che ‘tutto ciò che non puoi contare non conta'. Questo è uno dei grandi problemi del volontariato: le questioni prendono visibilità in base al peso che hanno".

In Italia, dove uno studio del 2008 citato dal rapporto indica all'1,5% la percentuale del Pil attribuibile al mondo del volontariato, i problemi non mancano, ha spiegato Galtieri, soprattutto in tema di normative. "Una delle difficoltà evidenti in Italia è la complessità di tutto il quadro legislativo attorno alle attività che tipicamente mobilitano dei volontari - ha spiegato Galtieri -. Quando si è tentato di riorganizzare il quadro legislativo non mi sembra si sia arrivati ad un buon risultato" . Per Galtieri occorre infine creare legami stretti tra il volontariato e l'impresa sociale. "Da stime fatte in Europa ci sono contesti in cui le imprese sociali arrivano ad avere anche l'80% della loro forza lavoro mobilitando volontari". Tuttavia, in tempo di crisi, ha chiarito Galtieri, i rischi di utilizzare il volontariato per altri scopi sono reali e "in contesti con difficoltà nel mondo del lavoro - ha ammesso -, spesso il volontariato diventa una forma di lavoro nero".

In Europa, in particolare, sono circa 94 milioni le persone che svolgono attività di volontariato secondo un recente studio della Commissione europea, il 22% ha più di 15 anni e il loro valore corrisponde al 3% del Pil nei paesi avanzati, lo 0,7% nei paesi in via di sviluppo. Difficile fare stime precise, spiega il rapporto. I dati riportati, infatti, riguardano unicamente "i volontari nelle organizzazioni della società civile e non include il volontariato informale, sia pur diffuso in tutto il mondo". Complesso anche comparare dati e statistiche, così come non sempre sono compatibili i metodi di misurazione, le definizioni, i questionari utilizzati e i gruppi presi a riferimento. Per tale ragione, il rapporto indica come uno degli elementi necessari al volontariato, visto il rilevante peso, l'elaborazione di statistiche attendibili.

"È essenziale mettere a disposizione dei governi dati attendibili - ha affermato Flavia Pansieri, coordinatrice del programma Unv - in modo che essi possano essere utilizzati nelle strategie di sviluppo per sfruttare appieno questa risorsa preziosa per il benessere di ogni paese". Diversi e numerosi gli ambiti di intervento in tutto il mondo. Si va dall'inclusione e la coesione sociale alla riduzione dei rischi di catastrofi naturali.

"In questo l'Italia non si scosta dal resto del mondo - ha affermato Gregorio Arena, presidente di Labsus e del Centro di documentazione sul volontariato e il terzo settore -. Si percepisce diffusamente che i volontari e i cittadini attivi possono e contribuiscono a migliorare il benessere collettivo e sostengono lo sviluppo prendendosi cura dei bisognosi e svolgendo servizi cruciali per la stessa esistenza della nostra nazione".

Altro elemento su cui occorre lavorare, spiega il rapporto, è il superamento dei pregiudizi. Lo studio mostra come il volontariato permea ogni aspetto della vita e di ogni cultura, coinvolgendo servizi pubblici, ma anche il settore privato, cresciuto costantemente dalla metà degli anni novanta. Da sfatare il luogo comune che il volontariato sia solo appannaggio di coloro che godono di redditi e di livelli di educazione più elevati. Secondo il rapporto, infatti, il volontariato è diffuso anche tra coloro che vivono in povertà. Così come è minima la differenza nel contributo di ore che uomini e donne dedicano al volontariato. Diminuisce la partecipazione dei giovani nelle organizzazioni formali, spiega il rapporto, ma sembra affermarsi "una forma meno strutturata di impegno", come nel caso del volontariato online.

Un ruolo importante, infine, è giocato dai governi. "Il crescente numero di politiche e leggi emanate a livello nazionale che incoraggiano il volontariato e salvaguardano i diritti dei volontari - spiega il rapporto - dimostra che i governi hanno un ruolo importantissimo nel campo del volontariato. Tuttavia, le amministrazioni non dovrebbero sfruttare il volontariato per giustificare una riduzione dei servizi da esse forniti".

19 aprile 2012