Fonte www.superando.it - A differenza della crisi politico-economica del 1992, quella che si presenta oggi evidenzia un'assenza di prospettive. Nel '92, infatti, abbiamo assistito alla decadenza del "partito-stato", la Democrazia Cristiana, verso un bipolarismo maturo. Nel 2014 sappiamo con certezza che la tradizionale divisione tra partiti conservatori e progressisti è sul viale del tramonto, ma anche che il nuovo tarda ad apparire.

In sintesi, nel '92 era chiara la transizione verso il sistema dell'alternanza, nel 2014, invece, troviamo estrema difficoltà a comprendere quale sia l'approdo, anzi temiamo il sorgere di populismi antieuropei. Analogamente, la crisi economica nel 1992 ci portò a una svalutazione della lira molto significativa e a un prelievo forzato nottetempo nei conti correnti dei cittadini italiani. Anche qui c'era un obiettivo: la permanenza nel sistema monetario europeo, che poi avrebbe dato vita alla moneta unica.

L'economia italiana, quindi, superava l'atavico ricorso alla cosiddetta "svalutazione competitiva", ovvero l'utilizzo del potere sulla moneta per abbassare il valore della produzione e quindi incentivare le esportazioni. Si sceglieva con chiarezza una competizione aperta con sistemi economici apparentemente più evoluti, in sostanza una sfida per l'intero Paese, contraddistinta dal nome di modernizzazione. Nel 2014 abbiamo portato a conclusione l'incapacità del Sistema Paese di cogliere per intero quella sfida: a fronte infatti del dato incontrovertibile di rappresentare il secondo Stato esportatore in Europa dopo la Germania, e tra i primi nel mondo, un pezzo del Paese è rimasto ancorato alla Prima Repubblica.

Una Pubblica Amministrazione di stampo "borbonico", aree di imprenditorialità che si sostengono grazie allo stretto legame con le forze politiche, e zone di privilegio castale mai revocate, hanno accentuato la divaricazione tra la modernizzazione e l'epoca della svalutazione competitiva. Il Paese non ha fatto una scelta compiuta e in questi vent'anni ha sostanzialmente galleggiato sulle sue straordinarie capacità, pensando che queste potessero coprire con un manto le involuzioni sociali, economiche e culturali.

Inevitabilmente, una crisi cominciata sul lato finanziario ha messo in luce le debolezze, affondando tutte le attività economiche in equilibrio precario. Si tratta di produzioni di beni e servizi di basso livello tecnico e tecnologico che potevano essere facilmente delocalizzati in contesti in cui, a parità di valore della manodopera, il costo del lavoro è assai competitivo. La conseguenza sociale è sotto gli occhi di tutti: fallimenti, perdita di posti di lavoro, aumento della povertà relativa e assoluta, e – notizia recente – calo della raccolta delle tasse.

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*Presidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap cui Anffas Onlus aderisce).

13 marzo 2014