Fonte www.disabili.com - Mettiamo di trovare su un sito di e-commerce un prodotto desiderato. Per acquistarlo, bisogna inserire i propri dati in una apposita pagina Web. Il modulo on line chiede anche di trascrivere quello che si vede in un piccolo rettangolo con dentro cifre e lettere di dimensioni, carattere e allineamento diversi. Si chiama "captcha": se non si riconosce il suo contenuto, non si può procedere con l'acquisto. Per il sito è una forma di tutela. Per un eventuale cliente cieco può essere un ostacolo. L'esempio dimostra che senza soluzioni accessibili, un'azienda on line rischia di perdere una fetta di acquirenti. Il discorso vale non solo per i negozi virtuali, ma per tutti i servizi via Web. Perché la tecnologia si evolve, ma l'inclusione è ancora parziale.

«Sempre di più si lavora in Rete, attraverso strumenti che crescono di importanza in diverse attività, non solo in quelle strettamente tecnologiche. È necessario quindi garantirne l'utilizzo effettivo da parte di tutti». Così commenta Roberto Campi, responsabile dell'area lavoro per ASPHI, fondazione che promuove l'integrazione delle persone con disabilità nella società, nella scuola e nelle professioni attraverso le nuove tecnologie. Che si tratti di pagine Web, social network, piattaforme di e-learning, non fa differenza: l'immagine on line delle aziende, attraverso i servizi in Rete, mostra delle pecche. Ad esempio, siti che puntano sull'uso di video senza però descrizioni per chi non vede o non sente. Oppure pagine Web con sfondi che rendono difficile la lettura. Il carattere inclusivo delle risorse on line dovrebbe essere naturale. Nella realtà, invece, sembra che il concetto sia molto spesso trascurato.

Più in generale, si può tentare una spiegazione: «Si nota uno sviluppo tumultuoso di dispositivi - continua Campi - Quando un'azienda deve rendere disponibile una risorsa, magari è più concentrata sulla sua diffusione anziché sull'effettiva accessibilità». La questione, però, non è solo di carattere tecnico. I programmatori devono essere sì competenti, ma non sono loro a decidere di rendere fruibile la comunicazione dentro e fuori l'azienda. «Nelle imprese bisogna diffondere una consapevolezza generale dei vantaggi che offre l'accessibilità - evidenzia Campi - Bisogna far capire che questa riguarda non solo i disabili, ma un ampio numero di persone, come ad esempio gli anziani. E segnalare che applicazioni e servizi fruibili possono portare business, anche significativo».

Progettare in chiave inclusiva è un monito previsto anche dal diritto: si ritrova infatti nella cosiddetta Legge Stanca. La storia prende il via con la sua emanazione nel 2004. La legge non disciplina i servizi dell'intera imprenditoria italiana, ma solo quelli della pubblica amministrazione o delle aziende private concessionarie di servizi pubblici.

Quando esce la norma, l'Italia appare come un Paese particolarmente all'avanguardia a livello europeo in fatto di accessibilità delle tecnologie ICT. Si sviluppano dunque gli uffici competenti, nel 2005 compaiono i decreti attuativi, con i criteri di accessibilità per i siti Web . Passa il tempo, e l'interesse iniziale cala. La Comunità Europea propone una dichiarazione di intenti sull'accessibilità dei siti dei servizi pubblici, ma i risultati sono tuttora sulla carta. In Italia, il tema della tecnologia accessibile passa in carico all'Agenzia per l'Italia Digitale, ma non sembra rientrare tra le priorità di intervento.

Gli aggiornamenti dei criteri per rendere fruibili i siti e i servizi informatici avvengono con lentezza. Dopo una lunga attesa, la loro pubblicazione è del 2013, «E c'è il rischio che non stiano al passo con i tempi - rimarca Ennio Paiella, responsabile dell'area accessibilità in ASPHI - Consideriamo che i siti Web hanno un ciclo di vita breve, perché si continua ad aggiornarli. Nelle revisioni si dovrebbe dunque introdurre il concetto di accessibilità».

L'obiettivo si raggiunge attraverso una generale opera di sensibilizzazione, e con un'adeguata formazione dei tecnici. «Manca però l'intervento dell'attore pubblico – segnala Paiella - per spingere verso l'accessibilità in modo persuasivo e costruttivo, anche prospettando sanzioni, che in effetti la Legge Stanca contempla». Sanzioni che nel tempo non sembrano però aver sortito l'effetto sperato, anzi: «Perché probabilmente le norme non sono state attuate del tutto», commenta il responsabile per l'accessibilità. Lo spazio per migliorare c'è, basta seguire in generale i dodici criteri tecnici recentemente pubblicati. Nel settore pubblico, certo, ma anche in quello privato. In fondo sono principi di buon senso: è quello che sostiene la comunità di persone attente al tema dell'inclusione, e di cui ASPHI fa parte. Bene dunque ricordarsi di garantire la compatibilità con i programmi e le tecnologie assistive dell'utente, come ad esempio gli screen reader. Fornire descrizioni alternative di filmati o inserti audio. Usare poi colori appropriati per le pagine e i caratteri. Questi ultimi dovrebbero essere modificabili nelle dimensioni, per facilitare la lettura a chi ha problemi di vista. Da non dimenticare la possibilità di rendere accessibili i servizi anche con la tastiera al posto del mouse, agevolando così chi ha problemi motori. E così via.

Sul fronte dei dispositivi, l'attenzione si sposta sempre più verso il settore mobile, dove già ci sono esempi che si distinguono per facilità d'uso, ma che non per questo sono privi di aspetti da affinare. Utili, a questo proposito, le eventuali segnalazioni delle associazioni di disabili: «Finora non si sono fatte sentire molto - sottolinea Paiella - Eppure i problemi con le tecnologie le toccano direttamente. Se i tecnici spesso non si sono preoccupati di programmare in modo accessibile è anche perché non hanno raccolto proteste dagli utenti».

La prossima volta, dunque, più attenzione a quello che non va su un sito di e-commerce, in una app, o in un servizio della burocrazia on line.

25 marzo 2014