Fonte www.redattoresociale.it - “Leggere queste notizie mi rende molto triste. Noi ci battiamo per le autonomie e l’inclusione, poi tutto si sgretola di fronte a episodi come questo”: Maria Teresa Graziani, presidente dell’associazione Lo Specchio, commenta amaramente quanto successo in un asilo nido della città.

Secondo il quotidiano La Nuova Ferrara, infatti, una mamma avrebbe ritirato la sua bimba di 10 mesi dalla struttura a causa della presenza di una’ausiliaria con la sindrome di Down, denuncia arrivata direttamente dalla direttrice del nido. La donna, 37 anni, avrebbe già una decennale esperienza in ambito scolastico: suo il compito, nel caso specifico, di assistere le tre educatrici nella cura dei piccoli (ad esempio al momento del cambio) e pulire i locali.

“Il nostro slogan è fare cultura della disabilità, e sempre più spesso ci rendiamo conto che manca completamente”, ammette Graziani. Lo Specchio è un’associazione di genitori con figli disabili che puntano a valorizzare le abilità di ognuno, proponendo situazioni di inclusione in ambiti non protetti, sia lavorativi sia ricreativi: “I contorni della vicenda ancora non sono chiarissimi – continua Graziani –.

Per quello che è dato sapere al momento, ritengo che il vero problema sia della mamma. Credo che dietro quel rifiuto si nascondano altre paure, come quella di lasciare il proprio figlio con dei quasi sconosciuti, di consegnarlo a persone che – tanti genitori ne sono convinti – non saranno mai bravi come loro. Piuttosto che ammettere questi timori, c’è chi preferisce nascondersi dietro l’aspetto più macroscopico: c’è ancora tantissima paura della diversità”.

Graziani sottolinea come l’iter per l’inserimento lavorativo di una persona con disabilità sia lungo e complesso: “Per permettere a mio figlio e a un’altra ragazza di fare un tirocinio in un bar ci sono voluti 7 mesi di carte e commissioni. Quello che a molti sfugge è che noi non chiediamo che tutti i disabili debbano fare a tutti i costi un lavoro: semplicemente cerchiamo di mettere a frutto nel migliore dei modi le loro abilità residue, se possibile anche in campo lavorativo. I controlli sono così severi che se una persona con disabilità fa un lavoro è perché è tranquillamente in grado di farlo: qui non si fa beneficenza”.

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9 ottobre 2015