Nei giorni scorsi più fonti hanno riportato la notizia del lancio, in Inghilterra, di un reality intitolato "Casts off" (gli scartati) : una sorta di isola dei famosi dedicata completamente ad un gruppo di 6 persone con disabilità diverse che devono cavarsela, "abbandonati" su un'isola deserta.

La nostra idea era di non pubblicare la notizia sul nostro portale, proprio per evitare di dare risalto ad una iniziativa dal nostro punto di vista pessima, discriminante e quanto mai pericolosa ma, visto il dibattito scaturito sul tema, abbiamo pensato di pubblicare una nostra breve riflessione e riportare anche l'articolo di Franco Bomprezzi, apparso nel suo blog "Francamente" su Vita.

Il nostro silenzio in merito non era certamente legato al disinteresse, piuttosto allo sconcerto provato nell'apprendere che, alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, vi siano ancora in atto forme di discriminazione così palesi. Se da un lato la Convenzione si incentra principalmente sulla libertà di compiere le proprie scelte, su base di uguaglianza con gli altri, dall'altra sancisce che la disabilità è una condizione di salute in un ambiente sfavorevole e nella quale tutti, prima o poi, ci troveremo a vivere. In altre parole, ciò significa che non è una condizione "speciale", bensì che la pluralità delle caratteristiche delle persone è l'elemento fondante della società civile, motivo per cui ogni raggruppamento rappresenta una forzatura che distorce necessariamente la realtà.

Siamo a conoscenza dell'approccio "moderno" che regna in Inghilterra sulla disabilità, che ha fruttato in molte altre occasioni dei risultati pregevoli in termini di avanzamento culturale ma non possiamo che constatare il completo flop di questa iniziativa che mette inutilmente in risalto soltanto una caratteristica della persona, tralasciando la completezza (e la complessità) dell'essere degli individui.

Siamo allo stesso modo convinti che sia quanto mai necessario che gli strumenti di comunicazione di massa inizino davvero a rappresentare e comunicare la disabilità, ma questo a patto che lo facciano nel modo giusto. Infatti, troppo spesso, siamo costretti ad essere spettatori e "telespettattori" di soli episodi di cronaca nera, di rappresentazioni distorte e spesso fuorvianti della disabilità, quasi come se assurdamente, ancora oggi, non si sia riusciti a sradicare del tutto il modello dell'esibizione dei "fenomeni da baraccone". Dei diritti delle persone con disabilità e della loro violazione, quasi costante e dalle mille sfaccettutature in ogni angolo del mondo, non si parla. Così come dei tanti avanzamenti, successi e conquiste in materia (ne è una prova eclatante il silenzio della stampa rispetto ad uno strumento di portata epocale come la Convenzione Onu).
E' invece ora che alle persone con disabilità siano date pari opportunità di comunicare, comunicarsi e prendere parte al mondo della comunicazione di tutti e per tutti. Ed è anche ora che al "pubblico" venga fornita la possibilità di avere davanti agli occhi una vera rappresentazione della realtà, nella sua polieditricità, e di un'informazione di qualità, anche nello svago ed in contesti come quello televisivo.

Disabili "scartati" su un'isola deserta…
di Franco Bomprezzi
Prima o poi doveva succedere. E' successo. Un reality stile Isola dei famosi dedicato interamente alle persone disabili. Ci ha pensato in Inghilterra Channel 4, il programma si chiama "Cast offs", ovvero gli scartati. Niente male per definire sei persone "toccate" dalla disabilità. Un cieco con la passione delle armi (?), una sorda incinta (mah…), un paraplegico in sedia a rotelle, una donna nana (ma, dicono quelli della tv, dal carattere forte… e perché non dovrebbe avere un carattere forte?), e poi un uomo con i segni del talidomide (ossia senza braccia, con le mani direttamente attaccate alle spalle), per finire con una donna affetta da cherubismo (deformazione del viso, della mascella…). Questi sei personaggi per tre mesi sotto le telecamere per dimostrare le loro abilità, per raccontare la loro vita, per mettersi a nudo proprio rispetto a ciò che la curiosità morbosa della gente si aspetta, ovvero il comportamento in conseguenza della diversità, dell'anomalia, della stranezza.
Sul sito di Channel Four una pagina con interviste, trailers, e per chi vive nel Regno Unito la possibilità di vedere le puntate del programma, che va in onda il martedì alle 23.05. Reazioni positive, a quanto pare, ascolti buoni, soddisfazione dei protagonisti.

Nel mondo anglosassone la disabilità non è un tabù, ci sono da anni programmi che vedono protagonisti anche persone con disabilità fisica, sensoriale e anche mentale. Perciò non c'è da stupirsi se si arriva a ideare un reality di questo genere. Personalmente però trovo questa scelta la conferma che non siamo ancora arrivati a concepire la disabilità come condizione normale, come una delle possibili situazioni di vita delle persone. Il sistema televisivo, i nuovi format, la necessità di stupire e di agganciare segmenti di pubblico nuovo, si sposano perfettamente con l'ambizione sfrenata al protagonismo che anima molti disabili, e non solo loro (basti pensare al nostro Grande fratello).
Temo fortemente l'importazione in Italia di questo format, perché da noi, specializzati nel trash, un programma di questo genere butterebbe a mare i tentativi di corretta inclusione sociale e di buona comunicazione rispetto ai diritti e alla qualità della vita delle persone disabili.
Mi domando ad esempio perché sia ancora impossibile intervistare una persona in sedia a rotelle, o non vedente, o sorda, non "sulla" sua specifica esperienza di disabile, ma "a prescindere" da questa specifica situazione, come persona esperta o competente di "altro dalla disabilità". Eppure ci sono scrittori, docenti universitari, ingegneri, architetti, avvocati, sportivi, giornalisti, che sono "anche" disabili, ma che potrebbero essere valorizzati per la loro professionalità "normale" in un contesto di pari dignità con tutti gli altri.
Le persone disabili, e spesso anche i familiari, scelgono invece quasi sempre il protagonismo, la storia personale, l'esposizione mediatica con tutto lo stigma possibile, e gli autori dei programmi non fanno niente per evitarlo. Un programma come "Cast offs" (gli scartati, ma vi rendete conto?) potrebbe dunque trovare anche in Italia materiale umano pronto a tutto. Scrivo queste note a futura memoria, mentre a casa mi ingegno a mantenere buoni livelli di mobilità personale anche se ho una gamba protetta da un tutore ortopedico e l'altra ingessata per una frattura. Ma vi assicuro che non voglio le telecamere. Sono bravo e basta…

11 dicembre 2009