2009/2012: 800.000 controlli su altrettante persone per verificare se davvero avessero i requisiti per ricevere le provvidenze economiche relative a minorazioni civili, disabilità e handicap di cui godevano.

2013/2015: 150.000 nuove verifiche all'anno, in aggiuntiva all’ordinaria attività ispettiva, finalizzate, nero su bianco, “all’accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali nei confronti dei titolari di benefici di assegno di invalidità civile, cecità civile, sordità, handicap e disabilità”.

Ci si aspettava un miliardo di euro da questa “lotta la falso invalido”. Ma in realtà quanto ha fruttato?

Per le persone con disabilità, richiami faticosi a controlli, un rallentamento ingente dei tempi di lavorazione delle domande, uno stigma sociale che li ha bollati in massa come bugiardi pinocchi. Per il sistema un costo non meglio precisato per i medici aggiuntivi incaricati dei controlli.

I risultati? La prima tornata aveva portato a un risparmio annuo di circa 150 milioni di euro derivanti dalle revoche, incluse quindi le persone che si sono viste ridurre la percentuale di invalidità ma che nessuno potrebbe definire falsi invalidi. La Fish aveva immediatamente fatto i conti e presentato l'assurdità della situazione. Ma il secondo giro è andato molto peggio: 13 milioni e 600mila euro in tre anni, con 450mila controlli. Ovvero circa 30 euro a controllo.

Lo si evince dal decreto di riparto del Fondo per le non autosufficienze, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 febbraio, che stanzia per il 2017 complessivamente 463,6 milioni di euro: 450 milioni dalla legge di bilancio 2016 e 13,6 milioni «derivanti dalle attivita' di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di invalidita' civile, cecita' civile, sordita' civile, handicap e disabilita' svolte dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)».

Nel 2012 infatti Parlamento specificò che il ricavato di questo controllo avrebbe dovuto confluire nel Fondo Nazionale per le non Autosufficienze. Un risultato che Vincenzo Falabella, presidente della FISH, ha messo in luce su Superando, bollandolo come «il valore dello stigma e del pregiudizio. È un castello di bugie, di incompetenze, di strumentali affermazioni che si sgretola sotto l’evidenza dei numeri. Ricordo a tal proposito la copertina della rivista “Panorama”, con l’invalido rappresentato come un “Pinocchio bugiardo”, ricordo le dichiarazioni agli Atti della Camera secondo cui si poteva ricavare un miliardo contrastando le false invalidità, ricordo le affermazioni ministeriali e di precedenti vertici dell’INPS, ora agli arresti domiciliari, secondo cui un quarto degli invalidi erano falsi. Avevamo ragione noi e oggi qualcuno dovrebbe chiedere scusa, ammettere pubblicamente l’errore e il danno gravissimo fatto a milioni di persone con disabilità».

Pochi che siano, 13,6 milioni recuperati da cittadini a cui non spettavano sono sempre una buona notizia, no? Per Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas, «il tema vero non è l’esistenza di persone che in modo truffaldino hanno ottenuto una certificazione, ma che ci sia stato un sistema di commissioni mediche e patronati che hanno creato le condizioni per frodare. Non difendiamo chi ha truffato, ma quelli li scopre la Guardia di Finanza più che i controlli dell’Inps. Invece la campagna sui falsi invalidi e l’impianto di verifiche straordinarie ha contribuito a costruire uno stigma sociale sulle persone con disabilità, con il paradosso che agli occhi dell’osservatore distratto la persona che si sforza per avere una vita indipendente pur nella sua disabilità, appare come un bugiardo, un falso invalido. Il prezzo che abbiamo pagato è questo, gravissimo, per avere 13,6 milioni di euro in più».

Tornando al Fondo, i 463,6 milioni - grave fra l’altro che il decreto di riparto per il 2017 sia stato firmato a fine novembre e pubblicato solo qualche giorno fa - vanno «prioritariamente, e comunque in maniera esclusiva per una quota non inferiore al 50%, per gli interventi a favore di persone in condizione di disabilità gravissima, di cui all'art. 3 del decreto ministeriale 26 settembre 2016, ivi inclusi quelli a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica e delle persone con stato di demenza molto grave, tra cui quelle affette dal morbo di Alzheimer in tale condizione».

Altri 15 milioni di euro vanno a finanziare azioni di natura sperimentale per la vita indipendente: «una quota irrisoria e che relega i progetti ancora a una fase di mera sperimentazione, quando invece la vita indipendente è la nuova frontiera», commenta Speziale.

Bene l’aumento dal 40% al 50% della quota destinata alle disabilità gravissime, con riferimento specifico alla SLA e all’Alzheimer, ma evidenzia ancora Speziale, «mancano tutti i principi e i criteri per l'individuazione dei beneficiari».

Soprattutto manca il cuore del decreto di riparto del settembre 2016, che con la stabilizzazione del Fondo Non Autosufficienza prevedeva anche un Piano triennale 2017-2019 per la Non Autosufficienza, che ancora non c’è e che doveva essere predittivo dei livelli essenziali di assistenza, nella prospettiva di una progressiva ricomposizione della spesa socio-assistenziale, socio-sanitaria, indennità di accompagnamento, permessi lavorativi, “dopo di noi”, assegni di cura, servizi e sostegni per l’abitare…

Per assicurare la globalità di tali interventi e renderli pienamente esigibile serve arrivare progressivamente a un Fondo Non Autosufficienza con una dotazione di 7 miliardi di euro».

Tra le novità del decreto di riparto, seppure non legate ad esso, c’è l’inserimento nel casellario dell’assistenza di alcune voci per il monitoraggio qualitativo delle misure relative all’attuazione della Legge 112/16 sul dopo di noi: «si tratta di una bella novità, perché già ai tempi del decreto attuativo della 112 avevamo indicato la necessità di rilevare non solo dati organizzativi ma anche di impatto, raccogliendo informazioni su quante persone, regione per regione, hanno usufruito di ciascuna delle cinque misure previste dalla legge», spiega Speziale.

Estremamente negativo invece il fatto che ci troviamo ancora «in una fase di transizione mai compiuta. Il decreto nelle premesse parla di “in via transitoria”, perché manca il piano triennale, mancano i dati delle regioni, manca tutto ciò che serve per infrastrutturare il sistema e così continuiamo in via provvisoria a mettere pezze. Ci sono regioni che devono spendere ancora i fondi del 2015… Il problema che si ripropone è che dal centro partono i fondi nazionali, che avrebbero l’obiettivo anche di cominciare a ragionare in termini di innovare il modello, ma quando arriviamo ai territori troviamo una infrastrutturazione sociale inesistente e incapace di tradurre l’innovazione in diritti, un sistema disarticolato, incapace di adeguarsi al nuovo modello, con una situazione estremamente diversificata sul territorio nazione e impossibile da leggere», conclude amaro Speziale.