Fonte www.vita.it - Vita da coinquilini. In tv sono fiorite e fioriscono sit-com che raccontano di amicizie nate per caso, gag, personalità diversissime che garantiscono lo spettacolo e che si svolgono nel luogo di incontro e scontro tra cucina a vista e salotto. Ma nella vita reale? Qui sono le città universitarie quelle che principalmente vedono compagni di studio condividere casa e spese. A Bergamo da circa due mesi ci sono quattro coinquiline che stanno portando avanti un progetto di convivenza per giovani che è più di un semplice modo per abbattere le spese di casa e guadagnare un po’ di indipendenza dai genitori. Quello in atto in via Vespucci, nel quartiere Celadina, è un progetto di residenzialità originale portato avanti da Anffas Bergamo e Cooperativa Namasté.

Protagoniste di questa iniziativa sono quattro giovani: Silvia e Martina, studentesse universitarie e due giovani con fragilità, entrambe di nome, Valentina. «Una delle due Valentine è con la nostra cooperativa in un appartamento protetto in residenzialità, ha vent’anni e al suo paese d’origine ha una casa di proprietà. Proprio per questo si è optato per sperimentare una possibilità di vita autonoma» spiega Claudio Rota, educatore della cooperativa Namasté e responsabile del progetto. L’altra Valentina, invece frequenta il centro diurno e ha una disabilità medio-lieve e prima di andare a vivere nell’appartamento di Celadina viveva con i genitori. «Nei weekend continua ad andare a casa dai suoi. Con lei che ha 25 anni l’idea è di sperimentare quanto sia lei sia i familiari siano in grado di sostenere una piena autonomia» continua Rota che sottolinea come le storie delle due Valentine abbiano percorsi simili, ma diversi: per una la sperimentazione dell’autonomia è di tipo educativo, per l’altra è per capire se è in grado di vivere da sola.

Storie diverse anche per le due coinquiline universitarie: Silvia conosce meglio la cooperativa e i suoi utenti perché con Namasté ha fatto il servizio civile, mentre Martina è una sua compagna di corso fuorisede.

«La particolarità di questo progetto è che per tutte e quattro le protagoniste si tratta di un’esperienza a tempo determinato. Minimo sei mesi, massimo tre anni» spiega Rota. «Abbiamo anche incontrato l’università di Bergamo perché è chiaro che pensiamo alla necessità di un turnover e Namasté non intercetta tutti i giovani. Per questa ragione l’iniziativa è anche triangolata con l’associazione Mosaico e il servizio civile».

Un progetto ambizioso quello che Anffas Bergamo e Namasté stanno portando avanti «l’idea è quella di creare un paradigma, di dar vita a un qualcosa che possa essere scalabile ed esportabile in altre realtà e che ha come protagonisti studenti universitari e persone con disabilità che vogliono sperimentare l’autonomia, mettendo insieme fragilità diverse». La fragilità delle persone con disabilità? «Non solo» spiega Rota. «C’è anche la fragilità dei fuori sede, di chi studia o lavora lontano da casa perché l’università è certo una riserva, ma non è l’unica opzione».

La particolarità di questo appartamento condiviso è che è pensato nell’ottica del Dopo di noi, ma non c'è solo questo: si tratta di un'iniziativa che cerca di rompere alcuni schemi sulla presenza di figure professionali di accompagnamento. «Martina e Silvia hanno un unico obbligo: una delle due deve garantire la presenza notturna. C’è un educatore di riferimento e un coordinatore generale a tutela di tutti. Ma le ragazze sono persone che hanno ciascuna una vita diversa, non faranno vita di comunità».

In pratica tutte e quattro le giovani hanno orari ed impegni che le portano lontano da casa: le due Valentine sono inserite in progetti socio-occupazionali, si muovono autonomamente con i mezzi pubblici. «Tutte e quattro hanno le chiavi di casa» sottolinea Rota che aggiunge «l’ambizione è che stabiliscano delle relazioni amicali, ma non è una cosa automatica».

L’innovazione del progetto è che anche per quanto riguarda la reperibilità che - al di là di un minimo di cornice - non c’è, «anche per noi non è facile accettarlo. È come se si fosse destrutturato il tutto per esempio: un educatore di comunità se lo chiamo ed è in servizio deve rispondere, ma se chiamo una delle universitarie e non mi risponde non è un problema. Ed è una cosa che abbiamo voluto». Da una parte ruoli da ripensare e dall’altra tecnologie che vanno in aiuto. «La casa è completamente domotizzata dalle tapparelle al gas, al citofono. L’appartamento è stato progettato per ospitare diverse disabilità: le maniglie delle finestre sono più basse, le porte più larghe, i due bagni sono completamente accessibili anche a chi si muove in carrozzina».

Quindi il fatto che ora nell’appartamento ci siano quattro donne, due delle quali con disabilità non motorie, è quasi un caso. «Occorre da un lato governare il progetto educativo facendo la selezione in ingresso, ma soprattutto è il lavoro sulle dimissioni dal progetto che fanno la differenza», precisa Rota.
Namasté gestisce altri sette appartamenti che sono pensati secondo gradi progressivi di autonomia: quattro sono presidiati h24, mentre negli altri tre le persone ospitate sono in semi-autonomia «a volte il rischio è che persone con disabilità o fragilità lievi scontino progetti troppo rigidi». Per Rota l’esempio è la storia di un giovane che dopo aver vissuto in un appartamento/comunità è passato in uno improntato alla semi-autonomia e «ora vive in affitto autonomamente e ha tenuto un legame solo relazionale con l’équipe educativa e vorrebbe rientrare come volontario».
Per il Dopo di noi a Bergamo si punta a far sì che la fragilità si trasformi in una risorsa «è un modo per uscire dagli schemi» conclude Rota.