Fonte www.vita.it - Con dieci mesi di ritardo, è scoppiata nei giorni scorsi l’indignazione generalizzata per il taglio di 10 milioni al fondo per il dopo di noi. Un taglio - è vero - inserito in legge di Bilancio dal MEF nel novembre 2017, sotto il Governo Gentiloni, che andava a decurtare di 5 milioni per il 2018 e di altri 5 per il 2019 il Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare che era nato sotto il Governo Renzi nel giugno 2016 e dotato stabilmente per legge di 56,1 milioni di euro a decorrere proprio dal 2018 (articolo 3 della legge 112/2016). Un taglio però – è altrettanto vero – che provarono ad evitare alcuni deputati e senatori Pd e Mdp, presentando emendamenti che vennero bocciati, mentre nessuna battaglia fu fatta sul tema dalle altre forze politiche. Benissimo quindi la richiesta di riportare la dotazione del fondo a quella prevista dalla legge (meno che il presidente della Conferenza delle Regioni chieda la stabilizzazione di un fondo che è già stabile): attendiamo di vedere le scelte che il nuovo Governo farà. Però.

Però ci sono due però. Il primo è che la battaglia vera dovrebbe essere quella di aumentare il fondo, perché anche 56,1 milioni sono pochi per rispondere alle esigenze delle persone con disabilità, per aiutarle a uscire dagli istituti, per avviare innovative esperienze di co-housing, per aumentare la consapevolezza e lo sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana, per attuare il loro diritto di decidere dove e con chi vivere. Insomma per fare quanto la legge 112 prevede. «Come ho detto più volte, i percorsi che possono essere finanziati dalla legge 112 durano per loro natura anni, c’è bisogno di continuità, è impensabile far vivere a una persona l’esperienza di uscire dall’istituto e vivere con altre persone con disabilità, in una casa ormai “sua” e l’anno dopo tornare indietro», evidenzia Roberto Speziale, presidente di Anffas. «C’è bisogno che il fondo si ampli con maggiori risorse, sia per garantire la continuità dei progetti già avviati sia per consentire a sempre più persone di avviare questi percorsi».

Un gruzzoletto potrebbe venire da altri capitoli della legge stessa, dal momento che la 112/2016 stanziava risorse importanti a copertura del mancato introito derivante dalle agevolazioni per trust e assicurazioni; la quota rimasta inutilizzata deve tornare per legge (articolo 9, comma 2) sui progetti finanziabili con il fondo. Stiamo parlando con tutta probabilità di cifre significative, dal momento che le minori entrate erano state stimate in 51,958 milioni di euro per il 2017 e in 34,050 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, mentre il boom di richieste per trust, assicurazioni e altre forme di segregazione del patrimonio in favore di figli disabili non c’è stata: il Consiglio Nazionale del Notariato a febbraio riferiva di come nel 2017 a fronte di una platea di 127mila beneficiari potenziali (cioè disabili con meno di 65 anni e privi di sostegno familiare) siano stati fatti in Italia 818 trust, 387 vincoli di destinazione e soltanto 7 contratti di affidamento fiduciario. I numeri esatti però li può dare solo il Governo e per questo attendiamo la Relazione al Parlamento sulla legge 112, che avrebbe dovuto essere presentata a giugno (e che già l’anno scorso arrivò a dicembre... speriamo in un cambiamento).

E veniamo al secondo “però”: mentre tutti giustamente rivendicano i 5 milioni mancanti, nessuno si è accorto di un altro tema, che è quello esplosivo. Nel 2018 le persone con disabilità rischiano di non vedere neanche un euro dei 51,1 milioni del fondo per il dopo di noi. Roba dinanzi a cui i 5 milioni di differenza tra i 51,1 del riparto e i 56,1 milioni della legge, quasi “impallidiscono”. Il decreto attuativo della legge 112, del 23 novembre 2016, all’articolo 6 comma 4 afferma che «a decorrere dal 2018 l'erogazione delle risorse spettanti a ciascuna regione deve essere comunque preceduta dalla rendicontazione sull'effettiva attribuzione ai beneficiari delle risorse trasferite nel secondo anno precedente l'erogazione medesima». Detto in parole semplici: le Regioni che non hanno effettivamente attribuito ai beneficiari le risorse del 2016 e rendicontate, non avranno un centesimo delle risorse del 2018, che resteranno congelate fino a quando arriverà la rendicontazione. Cosa buona e giusta: “Cara regione, se non hai speso i soldi del 2016, perché dovrei darti quelli del 2018?”.

«Ci sono regioni che hanno avviato i percorsi, ma in tutta Italia sono pochissime le persone con disabilità che hanno visto concretamente erogate le risorse assegnate tramite il fondo della 112; con certezza posso dire che le persone con disabilità stanno già vivendo un percorso secondo legge 112 solo nelle Marche e in Lombardia, dovendo comunque ancora verificarne il buon andamento», denuncia ancora Speziale. Quel che è certo è che ci sono regioni, ad esempio la Puglia, che ancora non hanno nemmeno pubblicato l’avviso a presentare le domande per l’avvio di progetti con i fondi del 2016. Per avere un panorama esatto anche in questo caso la Relazione al Parlamento sarà fondamentale.

«Spero che il Governo dia un segnale forte alle Regioni per impedire che i perduranti ritardi delle stesse penalizzino ulteriormente le persone con disabilità e le loro famiglie e faccia sì che le Regioni dimostrino almeno di aver impegnato le risorse del 2016 per finanziare progetti previsti dalla legge 112. C’è bisogno che l’attuazione della legge 112 proceda in modo più spedito e sia soprattutto maggiormente coerente rispetto a quanto indicato dalla legge stessa e dal suo decreto attuativo, evitando, come invece sta avvenendo, un’autentica “torre di babele”. Anche per questo la Cabina Regia del Ministero dovrebbe svolgere un ruolo importante di costante monitoraggio e di continuo indirizzo e di valutazione dei risultati, perché siano concreti i cambiamenti che la legge porti alla condizione di vita delle persone con disabilità. La cattiva attuazione della legge rischia di far dire che la legge sul dopo di noi non funziona, mentre non bisogna assolutamente tradire le buone aspettative che la legge portava e porta con sé», conclude Speziale.