Fonte www.vita.it - Le persone adulte con disabilità pongono questioni altre rispetto alla cronicità, alla non autosufficienza, agli anziani. Il welfare per la disabilità lombardo, che pure vanta una rete capillare di servizi e interessanti sperimentazioni, presenta segnali di difficoltà a pensarsi nel futuro, nella prospettiva della Convenzione Onu. Con i suoi Stati Generali, Anffas Lombardia* punta a lanciare una nuova stagione di welfare, per provare a prefigurare - istituzioni, associazioni e Terzo settore insieme - un piano sostenibile di consolidamento e di crescita dei servizi per le persone con disabilità.

Con gli Stati Generali che si sono tenuti a Milano alla fine di maggio e si concluderanno in seduta pubblica il 13 giugno all’Università Statale, Anffas Lombardia intende aprire una riflessione profonda su come garantire il consolidamento, la tenuta e la riqualificazione dell’attuale sistema di welfare lombardo per la disabilità.

L’obiettivo è quello di sostenere e stimolare le istituzioni a valorizzare i livelli di eccellenza della nostra Regione ma anche a non rinunciare a disegnare una politica per la disabilità capace di affrontare le ancora troppe domande che anche sul nostro territorio non trovano puntuale risposta né dalle istituzioni né dal mondo associativo e di impresa sociale che caratterizza l’universo del Terzo settore.

L’andamento generale del comparto dei servizi per la disabilità in età adulta che costituisce l’ossatura portante delle politiche di sostegno alla disabilità in Regione Lombardia, ha confermato, anche nel 2018, elementi di difficoltà già delineatisi nel corso degli ultimi 4/5 anni, che oggi richiedono uno sforzo suppletivo di indagine da parte delle associazioni, degli enti gestori e delle istituzioni ma anche elementi di innovazione e di costruzione di nuove opportunità. Le istituzioni in particolare appaiono sempre più in difficoltà a reperire risorse economiche dai fondi sociali e dai fondi della sanità per sostenere e sviluppare all’interno delle politiche di welfare i servizi e i sostegni per garantire i diritti e l’inclusione sociale delle persone con disabilità.

L’obiettivo degli Stati Generali è quello di condividere un’analisi circa le criticità da superare e le prospettive emergenti di innovazione per promuovere un nuovo disegno di welfare a sostegno delle persone con disabilità su uno scenario, quello attuale, denso di preoccupazioni ma anche di nuovi investimenti ideativi e progettuali da parte delle associazioni della disabilità e del variegato mondo dei gestori dei servizi della cooperazione sociale. Il welfare per la disabilità che oggi vanta in Lombardia una rete capillare e consolidata di servizi ed anche di interessanti e riuscite sperimentazioni sociali, sanitarie e socio-sanitarie presenta segnali di crisi e di difficoltà a pensarsi nel futuro, nella prospettiva tracciata dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

I sintomi distintivi di questa crisi possono essere sostanzialmente ricondotti a tre fenomeni:

  • assenza di nuove contrattualizzazioni per i servizi già accreditati ma senza risorse provenienti dal fondo sanitario;
  • blocco delle tariffe regionali che finanziano i servizi ferme al 2008;
  • assenza di una politica per la disabilità o di una politica inclusiva per le persone con disabilità, orientata a sostenere consolidare e riqualificare le unità d’offerta dedicate.

Assenza di nuove contrattualizzazioni

Se fino a qualche anno fa appariva fisiologico parlare di blocco delle contrattualizzazioni di risorse aggiuntive regionali per i servizi istituzionali (centri diurni, centri residenziali, centri di aggregazione sia sociali sia socio-sanitari), oggi appare decisamente riduttivo parlare di blocco e sembra più appropriato parlare di assenza di nuove risorse. Perché non si coglie nella prospettiva di impegno di Regione Lombardia un’attenzione o una scelta chiara in tal senso. La Regione di fatto non sta promuovendo investimenti su nuove strutture contrattualizzabili per la disabilità pur in presenza di liste di attesa in crescita e quindi di domande di sostegno diurno e residenziale che restano senza risposte.

 

Blocco delle tariffe

All’assenza di nuove contrattualizzazioni si aggiunge il blocco delle tariffe regionali che remunerano le prestazioni dei servizi accreditati (ferme al 2008). Un blocco che sta progressivamente costringendo le gestioni dei servizi a crescenti contenimenti economici ed a scaricare sui Comuni e sulle famiglie gli adeguamenti necessari per fronteggiare la crescita fisiologica dei costi. Si pensi che dal 2008 ad oggi ci sono già stati due rinnovi dei contratti di lavoro delle cooperative sociali.

 

Assenza di una politica per la disabilità orientata a sostenere le unità d’offerta

Di contro, l’ambito dei servizi diurni e residenziali e più in generale degli interventi di sostegno per la disabilità in età adulta, risulta sempre più schiacciato e per certi aspetti condizionato dalle politiche per la non autosufficienza e per la cronicità (persone anziane non più in grado di badare a se stesse o che acquisiscono forme di disabilità a causa dell’avanzare dell’età o pazienti cronici). Quindi sul fronte della non autosufficienza, politiche legate alle case di riposo ed alle forme classiche di assistenza personale al domicilio “one to one”, individuali. Mentre sul fronte cronicità è in atto la scommessa di contenere i costi della sanità prevenendo ed evitando ricoveri ospedalieri non appropriati di persone fragili affette da patologie croniche, attraverso percorsi di cura al domicilio e di presa in carico socio-sanitaria del paziente, integrando i compiti del medico di base, dell’assistente sociale comunale e dell’assistenza domiciliare.

Queste sono le direzioni e gli orientamenti strategici prevalenti in Regione Lombardia per sostenere le persone fragili croniche e non autosufficienti. E si tratta di linee di intervento e di strategie che nulla hanno a che fare con il mondo della disabilità in età adulta ma che finiscono inevitabilmente per intercettare impropriamente, domande di sostegno soprattutto residenziale di persone con disabilità “orfane” non solo di genitori sempre più anziani e non più in grado di assisterli, ma anche di interventi dedicati e di una politica ad essi dedicata.

In estrema sintesi, l’assenza di risorse aggiuntive per nuovi posti da contrattualizzare sta schiacciando sulle famiglie il peso di molta presa in carico e impedendo ai gestori dei servizi di avviare nuove unità d’offerta, il blocco delle tariffe sta mettendo in seria difficoltà le organizzazioni che gestiscono servizi e l’assenza di una politica di interventi dedicati alla disabilità sta ri-proponendo modelli di istituzionalizzazione nelle case di riposo per anziani e di segregazione al domicilio per molte persone adulte con disabilità.

Il mondo della disabilità adulta, il mondo delle famiglie che possono contare su una rete di servizi diurni e in prospettiva di servizi residenziali per quando i genitori “non ce la faranno più”, deve oggi quindi fare i conti con una politica regionale pressata dalla contingenza di riformare la sanità a partire dalla riorganizzazione del sostegno ai pazienti cronici e orientata a promuovere l’assistenza al domicilio delle persone non autosufficienti. Ma deve fare i conti anche con un mercato dell’assistenza ancora orientato a promuovere le forme economicamente più vantaggiose del badantato al domicilio. Ed in ultimo deve fare i conti con Comuni sempre più in difficoltà a sostenere il peso economico ma anche organizzativo e gestionale dei servizi sociali.

Questo scenario aumenta il disagio di persone e di familiari e soprattutto sta generando diffuse sacche di non appropriatezza che rischiano di minare da un lato il diritto alla presa in carico delle persone con disabilità, dall’altro il contenimento dei costi in sanità in quanto è risaputo che la non appropriatezza di interventi sociali e socio-sanitari finisce alla lunga per gravare sui costi sanitari. Mentre viceversa il contenimento delle “non appropriatezza” sociali e socio-sanitarie genera risparmi anche in sanità. Parliamo di “non appropriatezza” perché le persone con disabilità adulte non hanno bisogno di vivere in casa o di essere ricoverate in casa di riposo. E non sono assimilabili tout court alle persone con patologie croniche in atto (diabete, cardiopatie, ecc.).

Le persone con disabilità in età adulta, specie se persone con disabilità intellettiva e con disturbi del neurosviluppo, hanno la necessità di uscire di casa, di trascorrere il tempo con altre persone e di realizzare progetti e percorsi di vita dipendendo il meno possibile soprattutto dai loro genitori e familiari. Per questo motivo nel corso degli anni sono cresciuti i servizi diurni e residenziali per la disabilità: per non lasciare sole le famiglie e per consentire ai loro figli di emanciparsi dai genitori e di avviare un percorso di vita dentro la comunità e non chiusi in qualche grande struttura o segregati tra le mura di casa.
Tali interventi dedicati alla disabilità, caratterizzati dalla rete delle unità d’offerta generatasi sussidiariamente in regione Lombardia e regolamentata e finanziata sin dal primo piano socio-sanitario regionale con la legge 1 del 1986, sono collocati all’interno dell’area socio-sanitaria in quanto sono interventi di natura non medica o prettamente riabilitava ma che incidono direttamente sulle condizioni di benessere delle persone. A titolo di esempio - molto indicativo e non certo esaustivo - l’educatore per un soggetto con grave deficit intellettivo ha la stessa valenza di un farmaco per un cardiopatico. Sono entrambi essenziali per garantire la sua salute intesa come benessere bio-psico-sociale (OMS 2001).

I servizi per la disabilità inoltre riguardano l’area della cronicità perché la condizione delle persone con grave deficit intellettivo non è reversibile e necessita di sostegni per tutto il corso di vita. E costituiscono un sostegno necessario a tutela della salute delle persone non in quanto finalizzati alla loro guarigione o al ripristino delle loro funzioni, bensì a garantire il loro benessere personale ed esistenziale. Finalizzati a sostenere un buon equilibrio psico-fisico, un buon rapporto con se stesso e con il proprio ambiente di vita; un’occupazione lavorativa o sociale interessante e soddisfacente… Quindi sostegni per star bene ma non per guarire e sostegni per potersi integrare nella comunità e non per stare a casa.

 

Una nuova stagione di welfare

Regione Lombardia pertanto, con l’eccellenza della rete di interventi realizzata dal 1986 ad oggi, appare oggi nelle condizioni di poter aprire una nuova stagione di welfare, per provare a prefigurare, insieme alle associazioni e al mondo del Terzo settore un piano sostenibile di consolidamento e di crescita dei servizi per le persone con disabilità all’interno di una visione politica orientata a promuovere la salute intesa come benessere delle persone adulte con disabilità. Persone che, pur non essendo malate, necessitano di sostegni per tutto l’arco della vita per poter star bene e per potersi realizzare appunto come e in quanto persone.

Si tratta di un traguardo che non chiama in causa solo le istituzioni, Regione Lombardia e gli enti locali. Si tratta di una sfida che chiama in causa tutto il mondo associativo e del Terzo settore, perché l’assenza di un quadro politico di riferimento relativo ai sostegni per le persone con disabilità in età adulta appare attualmente anche il riflesso di una mancata elaborazione di politica sociale per la disabilità da parte del mondo associativo e degli stessi gestori dei servizi. Mondi eterogenei, appartenenti perlopiù alla galassia del Terzo settore oggi alle prese con una riforma non semplice delle proprie forme giuridiche e forse più in generale della propria identità.

Di fatto ad oggi non appare presente una proposta politica e programmatica per fronteggiare i bisogni di sostegno delle persone adulte con disabilità che sappia fornire risposte alle istanze di chi è senza sostegni o di chi avverte la necessità di nuovi sostegni o di chi si vede togliere progressivamente i sostegni, né è facilmente costruibile dal fronte del Terzo settore. Di fronte al tema generale della disabilità, istituzioni e Terzo settore appaiono accomunate dalla difficoltà di rispondere ai bisogni del presente ed anche di pensare e progettare un piano di miglioramento delle politiche per garantire il benessere e l’inclusione sociale della disabilità.

In Regione Lombardia, dal punto di vista istituzionale il varo della Convenzione ONU divenuta legge in Italia nel 2008, ha coinciso temporalmente con gli ultimi sforzi di adeguamento economico della rete delle unità d’offerta oggi esistenti. Nel 2010 la Regione ha elaborato il PAR, piano di azione regionale per la disabilità 2010-2020, che tuttavia è rimasto un semplice piano di intenti che non ha inciso sulla vita delle persone e sul sistema delle politiche per la disabilità. Con la dgr 116 del 2013 Regione Lombardia ha dato il via al varo di un secondo pilastro di interventi a sostegno della famiglia e dei suoi componenti fragili mettendo a disposizione risorse per la disabilità grave e gravissima vincolate a forme di assistenza individuale al domicilio che, se da un lato favoriscono e promuovono la de-istituzionalizzazione, dall’altro, sembrano esporre le persone con disabilità intellettiva e del neuro sviluppo al rischio di esclusione sociale. Allo stesso tempo la Regione ha promosso la possibilità per i servizi di intervenire al sostegno delle persone direttamente al domicilio attraverso il modello della RSA e delle RSD aperte che tuttavia, per quanto riguarda il mondo della disabilità, soprattutto della grave disabilità, non è risultato convincente e percorribile né per i servizi (in quanto economicamente non sostenibile) né per le famiglie (troppo rigido e limitato a pochissime ore di sostegno e non regge il confronto con la flessibilità e la duttilità anche negoziale con il cosiddetto “badantato”).

Con la Legge 23/2015 Regione Lombardia ha varato la riforma socio-sanitaria regionale all’insegna della volontà di de-ospedalizzare e di riformare il modello di welfare lombardo trasformandolo da un welfare di cura ad un welfare di presa in carico, attestando tuttavia le priorità della riforma sul contrasto all’assistenza ospedaliera dei malati cronici in ospedale. Un piano di riforma che al momento non appare orientato ad incidere sulle condizioni di vita e sulle politiche dei servizi per la disabilità. Nonostante ciò in Regione Lombardia sono tantissime le novità e le innovazioni che oggi stanno impegnando famiglie, servizi e istituzioni in percorsi innovativi di co-progettazione.

A partire dalle evoluzioni possibili della riforma del Terzo settore, con gli Stati Generali Anffas Lombardia ha inteso stimolare il mondo associativo a cambiare anche la propria modalità di proporsi alle istituzioni. Non solo attraverso un’analisi dei bisogni e degli elementi di criticità ma anche attraverso l’elaborazione concreta di proposte innovative capaci di diventare vettori di trasformazione dell’intero sistema. Per questo motivo Anffas Lombardia si impegna a portare ad evidenza della propria rete le sperimentazioni più evolute in tema di autismo e di servizi per la neuropsichiatria, ma anche su temi come la vita indipendente “del durante e dopo di noi”, l’avviamento al lavoro, la sperimentazione di percorsi sociali e di aggregazione innovativi o di inclusione scolastica.

L’idea di fondo di Anffas Lombardia è quella di aprire un cantiere condiviso in cui, a partire dagli elementi di ricchezza presenti all’interno della propria rete, si possano coinvolgere e stimolare sussidiariamente le istituzioni, Regione in primis, e tutti gli stakeholders di riferimento a costruire un nuovo welfare capace di coniugare diritti, benessere e inclusione sociale per tutte le persone con disabilità.

*A cura di Marco Bollani, Tecnico Fiduciario Anffas Lombardia Onlus