Fonte www.abiliaproteggere.net - Coronavirus e disabilità intellettiva. Abili a proteggere ha intervistato l'8 aprile RobertoSpeziale, Presidente Nazionale di Anffas, Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, che opera sull'intero territorio nazionale da più di 60 anni. Sono 1 milione e 800 mila le persone con disabilità intellettiva in Italia che, insieme alle rispettive famiglie, stanno affrontando un’emergenza sanitaria mondiale con grandissime difficoltà dovute sia alle carenze socio assistenziali, sia alla condizione di isolamento che spesso non è compatibile per la maggior parte delle persone con disabilità intellettiva.
Come stanno vivendo le persone con disabilità intellettiva e/o relazione questa emergenza Covid-19?
Quando parliamo di persone con disabilità intellettiva e con disturbi del neurosviluppo sappiamo che ci riferiamo a persone che possono avere un ritardo mentale, sindrome di down, altre tipologie di disabilità similari o disturbi del neurosviluppo, disturbi dello spettro autistico e disabilità più complesse tra le quali le malattie rare. In italia sono 1 milione 800 mila persone con disabilità intellettiva e quindi 1 milione 800 mila famiglie in questo momento sono interessate da questo fenomeno. Chiaramente molte di queste persone in età scolare normalmente frequentano le scuole e hanno il sostegno, l’assistente all'autonomia, alla comunicazione e igiene personale, molte altre frequentavano i cosiddetti centri diurni, semiresidenzali a seconda del territorio. Oggi sono tutti a casa da oltre un mese, all'interno delle mura domestiche, come tutti quanti, per contrastare la diffusione del covid-19, ma molte di queste persone non sono compatibili esattamente con una vita all'interno della famiglia, quindi la situazione è molto critica e in alcuni casi addirittura drammatica.
Che supporto riesce a dare Anffas in questa emergenza alle persone con disabilità?
Anffas è in una situazione privilegiata, ha 62 anni di vita, è stata realizzata, costituita, fondata dalle famiglie, siamo noi genitori che ci siamo autorganizzati per dare risposte ai nostri figli. In questa emergenza questo sta pagando perché noi abbiamo circa 30.000 persone che ogni giorno circuitano all'interno delle nostre associazioni e dei nostri servizi e quelle persone stanno continuando ad avere tutta una serie di supporti formativi e informativi a distanza, in alcuni casi anche diretti con supporti materiali. Una rete associativa come quella di Anffas è capillare su tutto il territorio nazionale: abbiamo circa 4.000 collaboratori tra dipendenti e professionisti, una rete di volontariato di oltre 5.000 persone e abbiamo 250 sedi in tutta Italia. Abbiamo costituito un’Unità di crisi che sta coordinando le varie attività e fornendo le indicazioni in modo che che nessuno venga lasciato da solo, nessuna famiglia venga lasciata sola. Le persone con disabilità a cui abbiamo dedicato specifici prodotti e strumenti aumentativi per garantire loro ad esempio la didattica a distanza stanno continuando ad avere, se non altro, quella continuità di relazione che è necessaria perché per le persone con disabilità continuare ad avere la rete di sostegno, sentirsi con i loro amici, con i loro operatori, con una rete amicale e affettiva è molto importante.
Che bisogni percepite dai territori?
Le famiglie sono veramente allo stremo. Abbiamo in parte risolto il problema delle uscite, chiaramente sempre con cautela. Il messaggio è quello di restare a casa, contenere il più possibile la diffusione del contagio, però per persone che hanno particolari necessità fare qualche uscita per poter scaricare la tensione o non assumere atteggiamenti auto o etero aggressivi è fondamentale. Siamo riusciti ad ottenere che questa possibilità ci sia.
Nella norma del decreto “Cura Italia” avevamo ottenuto una cosa molto più importante: i cosiddetti servizi compensativi a seguito della chiusura delle scuole e dei centri diurni. Le Regioni avrebbero dovuto già entro il 20 marzo costituire le unità speciali per rilevare i bisogni effettivi delle singole persone e delle singole famiglie e organizzare i cosiddetti servizi alternativi, sostitutivi, a distanza o con piccoli gruppi, facendo un’azione di programmazione, di concertazione con gli enti del terzo settore. Purtroppo questo non sta avvenendo oppure sta avvenendo in rarissimi casi, per esempio l’ultimo è di questi giorni: il Comune di Milano ha sottoscritto un protocollo e ha avviato questa tipologia di servizi. Altre Regioni non si sono ancora attrezzate in questa direzione nonostante noi lo continuiamo a sollecitare ogni giorno.