Fonte www.superando.it - Sono precise, ben argomentate e circostanziate le osservazioni contenute in un documento elaborato da alcune esponenti del Gruppo Donne della Federazione LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità, componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap*), al Piano quadriennale regionale per le politiche di parità, prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne 2020-2023 della Regione Lombardia (Legge Regionale 11/12), attualmente in fase di approvazione.

Il documento, a firma di Luisella Bosisio Fazzi, componente del Consiglio Direttivo della LEDHA, e delle avvocate Laura Abet e Giulia Grazioli del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi, affronta quattro aspetti fondamentali: la condizione delle donne con disabilità; l’accrescimento della consapevolezza; la situazione dei minori con disabilità vittime di violenza assistita e gli orfani di femminicidio; il coinvolgimento delle organizzazioni rappresentative delle donne con disabilità nei processi decisionali sulle questioni che le riguardano.

Rispetto alla descrizione della condizione delle donne con disabilità, viene preliminarmente sottolineato che «per garantire la tutela effettiva di tutte le donne, [è fondamentale] dedicare specifica attenzione alle donne con disabilità, che molto spesso, a causa di stereotipi e pregiudizi, non sono ritenute come potenziali vittime di abusi e di conseguenza non sono neanche “contate” all’interno delle indagini e ricerche sui fenomeni relativi al genere e, nella fattispecie, sul fenomeno della violenza e della violenza domestica» [la formattazione del testo in questa e nelle successive citazioni puntuali differisce da quella del documento originale, N.d.R.].


Le donne con disabilità sono esposte a una discriminazione multipla che «produce fenomeni di violenza, di violazione del loro diritto alla autodeterminazione, del diritto di esprimere un libero consenso informato, della loro dignità nel rispettare la loro salute sessuale e riproduttiva nonché del loro diritto di fondare una famiglia».


In merito a tali questioni, vengono riportati i dati della prima edizione dell’indagine VERA (Violence Emergence, Recognition and Awareness, in italiano “Emersione, riconoscimento e consapevolezza della violenza”), svolta nel periodo 2018-2019 dalla FISH in collaborazione con l’Associazione Differenza Donna. Un’indagine, questa, effettuata tramite un questionario rivolto ad un campione non probabilistico di 519 donne e ragazze con diverse disabilità, dal quale è risultato che il 33% delle donne con disabilità coinvolte ha dichiarato di avere subìto una qualche forma di violenza e il 10% di essere state vittime di stupro nella propria vita. Nell’80% dei casi si tratta di reati commessi da persona nota alla vittima (segnaliamo, a tal proposito, che nel 2020 è stata realizzata la seconda edizione dell’indagine VERA, si cui si può leggere nella seguente nota informativa).

Dai pochi dati disponibili, dunque, emerge la grande difficoltà delle donne con disabilità a riconoscere come violenza alcune specifiche manifestazioni di essa, ciò che rende necessario predisporre misure volte all’accrescimento della consapevolezza riguardo a questi temi «non solo nella pubblica opinione, ma anche all’interno delle Istituzioni e soprattutto nelle stesse ragazze e donne con disabilità».
In altre parole, è necessario riconoscere nelle narrazioni su di loro i pregiudizi e gli stereotipi che ancora oggi le rappresentano con termini inappropriati (“invalide”, “handicappate”, “diversamente abili”…), o che le riducono al loro deficit/ menomazione/ patologia. Bisogna cioè conoscere e decostruire i miti che considerano le ragazze e le donne con disabilità come asessuate (prive di una vita sessuale e riproduttiva) o ipersessuate, con «una sessualità fuori controllo, da “dominare”», aspetto, quest’ultimo, che le espone a pratiche come la contraccezione non espressamente autorizzata, l’interruzione della gravidanza e la sterilizzazione forzate. Una formazione specifica va pertanto rivolata a tutti gli operatori e le operatrici della Rete Antiviolenza e alle ragazze e donne con disabilità, onde prevenire le diverse forme di “vittimizzazione secondaria” che le espone al rischio di non essere credute e di non riuscire ad accedere alla giustizia.

Sia la formazione che le informazioni devono essere «accessibili a tutte le donne con disabilità, in particolare modo alle donne con disabilità sensoriali, a quelle con disabilità intellettiva e con disabilità psico-sociale, per rendere operativa la presa in carico integrata da parte dei soggetti facenti parte della rete antiviolenza», e anche «il materiale informativo dev’essere fornito in formati adatti ad essere consultati dalle stesse donne con diverse disabilità».

Particolarmente delicata è la situazione dei minori con disabilità vittime di violenza assistita e degli orfani di femminicidio, ai quali è necessario prestare particolare attenzione perché «i bambini con disabilità nelle famiglie a rischio o che assistono a violenza in famiglia, sono infatti molto spesso i meno ascoltati e i meno visti».


Si tratta di un fenomeno ampiamente sottostimato: «Molti minori, a partire dall’entità del loro deficit, possono avere moltissima difficoltà ad esprimersi e pochissime occasioni per rappresentare agli adulti la propria sofferenza (si pensi ai bambini autistici, con tetraparesi ecc.). Il disagio del minore con disabilità è meno studiato, la sua sintomatologia sul piano psicologico, emotivo e comportamentale in un certo senso non è “codificata” e quindi, ad ogni livello, rispetto agli altri minori, i segni del disagio psicologico risultano meno riconoscibili, poco “decodificabili” anche per gli operatori sociali, scolastici, sanitari ecc., ma ci sono».

Infine, in merito al coinvolgimento delle organizzazioni rappresentative delle donne con disabilità, si fa riferimento a un documento molto importante prodotto dal Comitato ONU per la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, il Commento Generale n. 7 (2018), sulla Partecipazione delle persone con disabilità, inclusi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative, nel quale il tema della partecipazione delle donne con disabilità ai processi decisionali sulle questioni che le riguardano è espresso con forza e chiarezza (segnaliamo, a tal proposito, su queste stesse pagine, un nostro approfondimento).

Il documento si chiude con un proposito di disponibilità: «Noi, Associazioni rappresentative delle ragazze e delle donne con disabilità siamo a disposizione per ricercare, identificare, attuare, monitorare le azioni previste dal Piano».

*Cui Anffas aderisce