Fonte www.edscuola.eu - Dopo la sentenza del TAR del Lazio che ha annullato il decreto sui nuovi modelli di Piano Educativo Individualizzato, attorno all’inclusione degli alunni con disabilità si è acceso il dibattito. Qui l’intervento del professor Luigi d’Alonzo sul numero di VITA di settembre, dedicato alle sfide della nuova scuola. Cinquant’anni di esperienza pedagogica dicono che l’inclusione è possibile, se si lavora insieme su quattro pilastri.
Il 2021 purtroppo sarà ricordato nella storia come il secondo anno terribile di una pandemia che con molta fatica si tenta a domare. Tuttavia, quest’anno così difficile meritava di essere celebrato per un altro motivo: I 50 anni dell’inclusione scolastica. Infatti, il 31 marzo 1971, con la legge 118, il nostro Paese apriva le porte ad una sperimentazione pedagogica molto coraggiosa, permettendo anche agli alunni con disabilità di frequentare le scuole comuni. Non abbiamo potuto dare enfasi a questa ricorrenza memorabile che rivoluzionò completamente non solamente solo la vita della scuola, ma dell’intera società italiana, poiché ebbe inizio proprio allora un’avventura educativa e didattica che concorse grandemente a modificare in meglio il nostro Paese dando piena attuazione a tutto ciò che viene sancito all’art. 3 della nostra Costituzione repubblicana:” Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Ma dopo questi anni cosa abbiamo capito? Dopo mezzo secolo di presenza di alunni con disabilità e con problemi nelle aule comuni cosa possiamo dire?
A nostro avviso l’esperienza pedagogica conferma che l’inclusione è possibile. Nonostante il grido di dolore che purtroppo e ancora, si percepisce da parte dei genitori delle persone con disabilità, quando il loro figlio a scuola non incontra un ambiente educativo e didattico competente e appassionato , possiamo affermare che l’esperienza educativa e didattica ideata dal nostro Paese, unica al mondo per l’intensità e l’universalità della sua proposta in tutti i cicli scolastici, è credibile e praticabile, se si lavora bene.
Se si lavora bene, l’allievo con deficit incontra un contesto pedagogico e sociale in grado di comprendere i suoi problemi e di operare con responsabilità sulle sue risorse. Ma quali sono i pilastri per lavorare bene a scuola?
Credere nelle potenzialità dell’alunno con disabilità o con problemi. Le ricerche ci dicono che i risultati si ottengono se gli insegnanti e gli operatori dedicati credono nelle potenzialità del cervello, anche se offeso da deficit importanti e gravi, nella sua capacità di supplire, nei limiti del possibile, alle sue proprie carenze.
Lavoro unitario. Si lavora bene sul piano inclusivo solamente se il team docente opera in unitarietà di intenti, ossiaquando tutti gli insegnanti della classe o della sezione lavorano in stretta collaborazione consapevoli che l’allievo con disabilità “appartiene” a tutti gli insegnanti, che è un alunno di tutti e non solo dell’insegnante di sostegno.
Competenza. Si opera correttamente sul piano inclusivo se il corpo docente è preparato ad affrontare i bisogni di tutti gli allievi presenti in classe e quindi anche dell’allievo con disabilità. Conosciamo le necessità di queste persone, sappiamo come agire per offrire prospettive di crescita autentica per ogni specifico problema, intellettivo, comportamentale, relazionale. L’ignoranza sulle problematiche peculiari degli alunni, l’incompetenza in pedagogia e didattica speciale costituiscono il vero cancro che la nostra scuola deve assolutamente combattere.
Il ruolo del dirigente è indispensabile per indirizzare il lavoro della scuola come comunità educante. La professionalità e la preparazione del Dirigente sono la condizione sine qua non per favorire l’autentica inclusione. Non è possibile operare bene se il dirigente non promuove le condizioni organizzative e culturali necessarie per dare senso al duro lavoro degli insegnanti.
La scuola italiana dopo 50 anni di esperienze inclusive è in grado di essere una “benedizione” per i propri alunni con disabilità, dove si lavora bene.
di Luigi d’Alonzo, Professore Ordinario di Pedagogia Speciale – Università Cattolica di Milano e Presidente della SiPeS (Società italiana di Pedagogia Speciale)