Fonte www.superando.it - Come ogni anno «Superando.it» dedica ampio spazio allo sterminio delle persone con disabilità durante il regime nazista e nel corso della seconda guerra mondiale, tramite quello che venne definito come il Programma Aktion T4, terribile “prova generale”, ma anche primo capitolo della cosiddetta “soluzione finale”, nei confronti della popolazione ebraica e di tante altre persone. Per il 2022 è dato spazio ad un’altra ricognizione, a opera di Domenico Massano, che spiega appunto come «l’omicidio delle persone con disabilità, oltre ad essere stato il primo, sia stato con buona probabilità è servito anche il modello e la “prova generale” per i successivi».
Il genocidio nazista non si è verificato in un vuoto. Esso fu soltanto il metodo più radicale per escludere alcune classi umane dalla comunità nazista tedesca. La linea politica di esclusione seguì e si sviluppò nel corso di oltre cinquant’anni di opposizione scientifica all’eguaglianza fra gli uomini. (H. Friedlander, Le origini del genocidio nazista. Dall’eutanasia alla soluzione finale, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 3).
Se ne riporta di seguito un estratto:
Nel 1920 apparve un libro dal titolo L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere vissute, in cui gli autori, Alfred Hoche (1865-1943), uno psichiatra, e Karl Binding (1841-1920) un giurista, svilupparono un concetto di “eutanasia sociale”: il malato incurabile, secondo Hoche e Binding, era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali, ma anche di sofferenze sociali ed economiche. Da un lato il malato provocava sofferenze nei suoi parenti e, dall’altro, sottraeva importanti risorse economiche che sarebbero state più utilmente utilizzate per le persone sane. Lo Stato, dunque, arbitro della distribuzione delle ricchezze, doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano. Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale e consentire una distribuzione, più razionale e utile, delle risorse economiche. Tuttavia, la motivazione economica non appariva ancora sufficiente per passare dalla teorizzazione alla pratica della soppressione delle «vite indegne di essere vissute». Il nazismo avrebbe completato le teorie “economiche” aggiungendovi il suo progetto razziale.
Già al tempo della pubblicazione del Mein Kampf, fra il 1924 e il 1926, Hitler aveva dichiarato che la sacra missione razziale del popolo tedesco era quella di «raccogliere e conservare […] i più preziosi fra gli elementi originari di razza e […] di sollevarli con lentezza, ma in modo sicuro, in una posizione di predominio». Hitler fu chiarissimo sulla necessità della sterilizzazione («i mezzi medici più moderni»), a sostegno di una visione immortalizzante della razza mediata dallo Stato («un futuro millenario»). Per lui il rischio era assoluto: «Se non è più presente la forza per lottare per la propria salute, cessa il diritto di vivere in questo mondo di lotta».
Il nazismo predicava un progetto di “igiene della razza” su base “eugenetica”, vale a dire coltivava l’idea di ottenere un miglioramento della “razza” germanica coltivando e favorendo i caratteri ereditari favorevoli, “eugenici”, e impedendo lo sviluppo dei caratteri ereditari sfavorevoli, “disgenici”. All’interno di questo progetto non trovavano ovviamente posto i malati incurabili e le persone con disabilità o con disturbi psichici. Queste persone erano sostanzialmente una minaccia non soltanto per l’economia tedesca, ma, cosa ancor più grave, un terribile pericolo di degenerazione per la razza tedesca nel suo complesso. È opportuno, però, ricordare che se «l’eugenetica condusse, a lunga scadenza agli orrori dell’olocausto hitleriano», questa deriva criminale trovò il suo “humus vitale” nella teorizzazione e nell’istituzionalizzazione dell’eugenetica in moltissimi Paesi democratici (Stati Uniti, Svezia, Svizzera…).
Il movimento nazionalsocialista giunse al potere nel gennaio del 1933, con la nomina di Hitler come Cancelliere da parte del Presidente del Reich. Il 14 luglio 1933 fu promulgata la legge sulla sterilizzazione, con il macchinoso nome di Legge per la prevenzione di nuove generazioni affette da malattie ereditarie. Tale norma aprì l’offensiva contro le persone con disabilità e servì da pietra angolare per la legislazione eugenetica e razziale del regime. Alle politiche di sterilizzazione furono affiancate politiche di eugenetica positiva, ossia d’incoraggiamento e promozione delle nascite ritenute “positive” per il regime.
Relativamente a queste misure promozionali di soggetti “puri”, è doveroso ricordare il progetto Lebensborn o “Fonte della vita”. Himmler aveva dato vita a questo istituto al fine di «creare nelle SS […] un’élite biologica, un nucleo razziale da cui la Germania potesse attingere per rinvigorire un’eredità ariana ora pericolosamente diluita attraverso generazioni di mescolanza razziale».
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