Fonte www.vita.it - È arrivato il periodo dell’anno in cui molte famiglie si trovano a fare i conti su come garantire ai propri figli con disabilità l’accesso ai campi estivi, occasione educativa importante e salvifica valvola di sfogo. Le proposte non sempre sono adeguate, così che spesso la presenza fisica dei ragazzi non corrisponde alla loro partecipazione in condizioni di pari opportunità con gli altri bambini, mentre d’altra parte permane il fenomeno del rifiuto all’inserimento di bambini e ragazzi con disabilità a più alta complessità. Sebbene a macchia di leopardo ci siano nel paese alcune buone prassi che si stanno consolidando, a livello nazionale le criticità non sono poche.
Entriamo quindi nel merito e cerchiamo intanto di partire dai dati di contesto. Dati che, incredibilmente, non esistono. «Non ci sono dati sulla disabilità in Italia», denuncia Francesca Fedeli, che con il marito Roberto D’Angelo ha fondato FightTheStroke, realtà che insieme a Sheldon Studio e all’associazione Ondata ha avviato una mappatura dei dati che riguardano una popolazione con disabilità, che dovrebbe aggirarsi attorno al 5,2% della popolazione totale.
Per fortuna, però, oltre i (non) dati, ci sono esempi virtuosi che - con particolare riferimento al tema dei campi estivi inclusivi - segnano la strada giusta da seguire. «È necessaria una soluzione sistemica per dare una risposta univoca, perché il Terzo settore arriva dove può. Ma come esiste l'inclusione all'interno della scuola, almeno per quella dell'obbligo, così anche in estate non ci si dovrebbe dimenticare della necessità di un supporto ad hoc a garanzia di bambini e ragazzi, perché solitamente i servizi, dove ci sono, si interrompono con la fine della scuola primaria», prosegue Fedeli. «Per quanto ci riguarda, per l’estate 2022, alle nostre consuete proposte, affianchiamo una novità ovvero finanziamo la figura di un istruttore sportivo di sostegno all'interno di una struttura di Milano che conosciamo bene, PlayMore!, per consentire a più famiglie di accedere alle attività».
Progetto Aita Onlus è invece presente sul territorio nazionale con un modello inclusivo rivolto in particolare al disturbo dello spettro autistico: «La nostra forza riguarda il network che si stabilisce tra i diversi camp italiani che hanno un coordinatore nazionale, la dottoressa Laura Fatta, e dei coordinatori locali per ogni sede», spiega il presidente Luigi Mazzone, direttore della UOSD di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Universitario Tor Vergata. «Nel caso di Progetto Aita abbiamo formato dei tutor che con un rapporto di 1 a 1 o 1 a 2 seguono i bambini e li accompagnano nel percorso ludico-sportivo. Prima del Covid c'erano 11 sedi in tutta Italia, purtroppo gli ultimi due anni hanno messo il nostro sistema in sofferenza ma nonostante tutto abbiamo organizzato i camp a Roma e Catania anche nel 2020 e 2021 e quest'anno ripartiamo con 5 sedi (Napoli, Bari, Catania, Cagliari e Roma). Solamente a Catania accoglieremo oltre 40 bambini autistici nel campo che organizziamo in collaborazione con il Cus Catania».
È bene che enti locali ed enti del Terzo settore creino alleanze per creare centri estivi inclusivi, che siano davvero momenti educativi, di gioco e di socializzazione per tutti i bambini e ragazzi e di sollievo per le loro famiglie. Tutte le parti devono mettere a disposizione le proprie competenze. In questo modo le risorse sarebbero spese in maniera mirata su realtà che sono in grado di garantire servizi di qualità e che possono, con l’appoggio dell’ente locale, aprirsi al territorio accogliendo tutti. L’abilità per il terzo anno di fila attiva centri estivi inclusivi con questo modello, basato su un’alleanza con l’ente locale, in cui entrambi i protagonisti mettono risorse e competenze. «La nostra proposta per l’estate 2022 è un centro estivo a Triuggio, in provincia di Monza e Brianza, tra giugno e luglio, destinato ai bambini che frequentano alcuni dei nostri servizi», spiega il direttore di L’abilità Carlo Riva. «Si tratta di laboratori creativi e esperienziali, attività sensoriali, escursioni nel bosco, pranzo all’aperto: queste sono solo alcune delle proposte. Tutte le attività saranno progettate nel rispetto delle peculiarità e delle necessità di ogni partecipante secondo quanto previsto dal metodo di L’abilità. Organizzare questo servizio lontano dal nostro territorio di appartenenza, presso la Cooperativa Canonica a Triuggio, ci dà la possibilità di lasciarci alle spalle la città e di scoprire luoghi nuovi immersi nella natura. Questo permette ai bambini di cimentarsi in esperienze inusuali ed arricchenti e di stare insieme in una dimensione nuova. Il centro diventa così anche un’occasione per garantire alle famiglie di tutti i bambini delle ore di sollievo, sia durante la giornata sia alla sera, perché i bambini torna a casa con una maggiore serenità e voglia di relazionarsi».
C’è un punto su cui tutti concordano: il fatto che nella maggior parte dei casi la narrazione mainstream della persona con disabilità è molto stridente e lontana dalla realtà. O siamo di fronte ad un eroe, pensiamo ad esempio al mondo dello sport, o la persona è solo “sfortunata”. «Questo si vede anche dal lessico usato ancora dai mass media e di conseguenza da una grande percentuale di persone comuni: handicappato, disabile, ritardato, oppure eroe», dice Riva. «L’aggettivo prende il posto del sostantivo e si perde del tutto la “persona”. Non è narrata la “normalità”. La verità à che spesso la disabilità interessa solo chi la vive», aggiunge Mazzone. «Una considerazione amara ma spesso veritiera. Non sopporto la narrazione compassionevole e pietista. Spesso chi si pone in questi termini vive condizioni di immaturità affettiva e relazionale che a volte è molto più gravi di alcune forme di disabilità». A questo proposito, tra le attività realizzate da Anffas, si ricorda l’iniziativa che ha portato all’elaborazione con Intesa Sanpaolo della guida “Le parole giuste. Media e Persone con disabilità”.