Fonte www.informazionesenzafiltro.it - “Si può fare” è una frase facile da dire, ma tutt’altro che semplice da concretizzare, soprattutto se si interfaccia con situazioni complesse. Eppure c’è chi testimonia ogni giorno, dal fronte lavorativo, questo connubio di impegno e coerenza, dando prova che gli esempi virtuosi esistono e vanno raccontati. Così come accade in ambito sanitario per il Percorso Delfino.

Progetto attivo all’Ospedale “Carlo Poma” di Mantova, è il primo figlio della rete DAMA, acronimo di Disabled Advanced Medical Assistance, a sua volta progetto pilota della Regione Lombardia, nato nel 2000 all’Ospedale San Paolo di Milano e finalizzato a rispondere a un bisogno più che mai essenziale: realizzare percorsi di accoglienza medica dedicata alle persone con disabilità riguardante l’aspetto cognitivo e comunicativo, compresa l’area del disturbo dello spettro autistico e neuromotorio. Stretta la collaborazione del servizio con un’altra realtà del territorio focalizzata sul tema: ANFFAS Mantova.

Nel tempo il Percorso Delfino ha mantenuto e allo stesso tempo superato le promesse fatte sin dai primi vagiti, raggiungendo traguardi significativi e diventando un vero e proprio fiore all’occhiello a livello non solo provinciale, ma anche regionale, nazionale e oltre. Ma prima di addentrarci alla scoperta di questo percorso che intreccia sanitàassistenzainclusione e territorialità, ricordiamo che sono le persone a definire la qualità dei servizi e a confermare la soddisfazione dell’utenza, e proprio su queste si focalizza il nostro servizio.

L’ospedale che accoglie: il Percorso Delfino e i pazienti con disabilità intellettiva

Ad accoglierci dietro la vetrata su cui svetta il disegno di un delfino azzurro è lo staff che rende possibile il servizio: occhi, gesti, mani e voci che l’inclusione la fanno succedere per davvero, non solo come facciata. La prova è nel riscontro di diversi utenti: “Meno male che c’è il Delfino, magari fossero tutti come questo servizio”, è il commento che si ripete.

Del resto chi convive ogni giorno con una disabilità intellettiva, riguardante in particolar modo l’area della comunicazione e del linguaggio, sa benissimo – così come lo sanno i famigliari che prestano assistenza – quanto possa risultare complesso il confronto con l’ambito sanitario: la difficoltà nel riferire i propri sintomi e insieme dubbi, timori e disagi ha un effetto che impatta sul resto e, come un boomerang, anche sul paziente stesso. Rispondere a questa complessità significa concretizzare pari opportunità di trattamento e accoglienza, come scopriamo confrontandoci con la responsabile e coordinatrice del Percorso Delfino Antonia Semeraro, lei stessa medico di pronto soccorso e medicina d’urgenza.

“Il Percorso nasce nel 2007 come progetto di rete ospedaliera rivolta alla disabilità media e grave di bambini, giovani e adulti”, spiega. “All’inizio è partito come call center, poi nel 2010 si è ufficialmente configurato come struttura semplice annessa alla struttura complessa del pronto soccorso della medicina di urgenza di Mantova, proprio per garantire dei percorsi protetti dedicati ai pazienti con disabilità neuromotoria e intellettiva medio-grave”.

Una risposta tangibile alla necessità di tante persone e famiglie se pensiamo che il Percorso Delfino, numeri alla mano, prende in carico più di 1.600 pazienti con disabilità, che accedono al servizio non solo per urgenze, ma anche per effettuare controlli specialisticiinterventi chirurgici programmati e visite mediche. Il servizio ha uno spazio fisico dedicato al piano terra del “Carlo Poma”, con una sala di accoglienza e due dedicate a visite e prelievi, “ma puntiamo a trovare uno spazio più ampio sempre al piano terra”, sottolinea la responsabile.

Lo staff è composto da quattro infermiere, un amministrativo, che accoglie telefonicamente le richieste dei e delle caregiver famigliari dei pazienti, e da medici specialisti che effettuano visite in giornate dedicate. “Abbiamo un genetista, un cardiologo, un gastroenterologo, un otorinolaringoiatra, e poi ci sono io che coordino”, aggiunge Antonia Semeraro.

Come funziona il Percorso Delfino: accoglienza, empatia, vicinanza ai caregiver

Il percorso che stiamo descrivendo è uno dei primi esempi italiani di servizi dedicati e di presa in carico di pazienti con disabilità grave di carattere cognitivo e comunicativo: disabilità spesso e ingiustamente considerate di serie B, e sulle quali gravano ancora forti stereotipi. Inoltre, come ci confermano i caregiver famigliari, spesso questo tipo di disabilità destabilizza le stesse figure che operano da tempo in ambito sanitario, per vari motivi.

Spesso infatti vengono compromesse la tempestività e la possibilità di eseguire esami strumentali che necessitano della collaborazione dei pazienti. Il Percorso Delfino in questo caso attiva un iter facilitato che permette al paziente con disabilità di avere precedenza e di ridurre in modo significativo i tempi di attesa, e prevenire così ulteriori disagi. In pratica la famiglia contatta il numero dedicato, al quale risponde un operatore che raccoglie le esigenze e può anche ricevere via e-mail l’impegnativa per la visita. È poi l’operatore stesso a organizzare il percorso, contattando a sua volta il reparto di riferimento e proponendo alla famiglia la data della visita o del ricovero, sempre in conciliazione con le esigenze del paziente. Il giorno della visita o del ricovero, il paziente con il suo caregiver viene convocato nel punto di accoglienza del Delfino dove sarà effettuata la visita. Se si tratta di un esame specifico viene accompagnato a destinazione da un’operatrice dello staff.

“Questo progetto mette finalmente in pratica un’attenzione particolare nei confronti delle persone con disabilità intellettiva e neuromotoria che accedono all’ospedale e alle quali vanno date risposte”, riflette Antonia Semeraro, spiegandoci che a livello sia regionale che nazionale c’è una richiesta diffusa di attivazione di strutture e servizi dedicati come questo – e comprendiamo bene perché. La dottoressa puntualizza: “Parliamo di pazienti che non riescono a esprimere il loro disagio in maniera completa, e questo va compreso. Grazie alla collaborazione stretta con il caregiver famigliare o con l’amministrazione di sostegno, in caso di anziani, cerchiamo di capire meglio le loro esigenze e problematiche in modo da arrivare meglio alla diagnosi attraverso visite ed esami”.

La presa in carico coinvolge un’attenzione particolare che non prevede distacchi dal caregiver famigliare: “Prepariamo anche un letto per il caregiver in modo che possa restare accanto alla persona per tutto il tempo del ricovero. Anche negli altri reparti organizziamo il tutto affinché ci sia una stanza dedicata al paziente e al suo caregiver”. Per la cronaca, in caso di ricovero per intervento, il Delfino effettua il tampone anche al caregiver. Un segnale di inclusione davvero distintivo rispetto a tanti altri contesti.

I sanitari si conformano alle esigenze dei pazienti con disabilità

La presa in carico del Delfino giunge fino dentro la sala operatoria. “Prima di effettuare interventi chirurgici o visite attiviamo un percorso conoscitivo e di fiducia che consenta al paziente e al caregiver di arrivare in ospedale con più tranquillità, e a noi di organizzarci in base alle loro necessità, che sono sempre diverse”, spiega Antonia Semeraro. “I colleghi di altri reparti ci chiedono come facciamo. Noi abbiamo un riferimento costante: partiamo dalle esigenze da ciò che gratifica la persona. Avevamo un paziente che ad esempio amava molto disegnare. Abbiamo così spiegato ai colleghi del reparto di ricovero di lasciargli sempre il suo album e i suoi colori. Anche il camice con cui è entrato in sala operatoria era variopinto, cosa che gli ha permesso di sentirsi rasserenato”.

Gli altri sanitari si rendono conto dell’importanza di questo servizio? “Ci chiedono spesso consigli e per noi resta fondamentale il confronto, c’è fiducia nostri confronti”, specifica Semeraro. “C’è anche una richiesta di aiuto, e questo valorizza il nostro lavoro. In alcuni casi attiviamo un affiancamento più forte per rendere possibile l’esame”.

Dopo anni di esperienza qual è lo stereotipo più difficile da scardinare rispetto al connubio tra disabilità e presa in carico sanitaria? “Sicuramente il pensiero del non si può fare’. C’è la tendenza a credere che se il paziente non è subito collaborativo l’esame non si può effettuare, arrivando a un atteggiamento di resa prematura. Noi cerchiamo di rassicurare dicendo: ‘Prendiamoci un po’ di tempo, proviamoci’. È capitato in diverse occasioni di cercare il tecnico giusto con cui entrare in empatia per poter eseguire l’esame. In primis resta il bene del paziente, ogni volta diverso, si ricomincia sempre con una nuova situazione”.

Nessuna edulcorazione in questo iter, come ci confermano le parole della coordinatrice del Delfino: “Ci sono situazioni più complesse che richiedono ancora più attenzione e pazienza. È capitato anche che alcune figure sanitarie non risultassero adatte: siamo intervenuti direttamente con i primari per farlo presente e attivare tempestivamente un cambiamento”. Viene da dire: magari fosse così in ambito sanitario, e in generale nei contesti lavorativi.

Le basi del Percorso: formazione specifica e aspetto gestionale

Oltre all’empatia e all’aspetto umano c’è tutta una formazione specifica che accompagna lo staff del Percorso Delfino, dove l’improvvisazione è bandita.

“Da parte nostra c’è la continua ricerca di metodi e soluzioni per risolvere le problematiche nel modo giusto ed entrare nei funzionamenti nei nostri pazienti affinché possano avere un’adeguata presa in carico. A questo proposito, a novembre 2022 partiranno dall’ASST di Mantova cinque corsi di formazione sulla disabilità ad hoc, gestiti da professionisti preparati proprio per formare tutto il personale dei reparti che accolgono i pazienti con disabilità. È necessario affinché possano comprendere meglio che cosa provi, ad esempio, un paziente con autismo quando è sottoposto a un semplice prelievo del sangue, che per altri può sembrare una cosa banale, mentre per pazienti con questo tipo di disturbo non lo è affatto: occorre saperlo e attivare le strategie per metterlo a suo agio”.

Qual è invece l’aspetto più complesso da affrontare nella gestione di questo servizio sanitario così articolato? “Sicuramente quello gestionale”, riflette Semeraro. “Dobbiamo tener conto non solo del paziente che ha difficoltà a esprimere la sua situazione, ma anche della famiglia che lo accompagna e della struttura da cui magari il paziente proviene. Tutto ciò dobbiamo conciliarlo con il servizio ospedaliero con cui ci coordiniamo, e che a sua volta ha particolari necessità. Le nostre visite ad esempio richiedono più tempo, e dobbiamo ricordarci che fuori c’è qualcun altro che aspetta: ottimizzare risorse, strutture e non solo diventa quindi essenziale, oltre che una sfida quotidiana non semplice, ma che va affrontata per il bene dei nostri pazienti”.

“Organizzare tutto al meglio è l’aspetto più complesso”, conferma Stefania Ghizzi, infermiera facente parte dello staff del Percorso Delfino. “Occorre partire dalla peculiarità del nostro assistito e creargli una sorta di abito cucito su misura che riguarda la presa in carico. Ogni giorno affrontiamo ostacoli, magari dobbiamo ribadire concetti e trovare sempre nuove strategie, ma questo fa parte del nostro lavoro per ottenere il meglio”.

La pandemia non ferma il Delfino, anzi lo migliora

Il Delfino nel tempo si è differenziato attraverso questa presa in carico territoriale articolata e meticolosa, ma soprattutto si è distinto durante la pandemia. Mentre con l’avvento del COVID-19il fronte sanitario italiano ha rallentato, mettendo persino in stand by alcune attività, il Percorso Delfino ha invece accelerato e addirittura implementato nuovi servizi. “È una delle nostre grandi soddisfazioni”, commentano con entusiasmo le componenti dello staff. “Non abbiamo mai avuto uno stop e i nostri pazienti hanno sempre potuto contare sul servizio”.

“A maggio 2020 abbiamo valutato che i nostri pazienti necessitavano di un’ulteriore presa in carico sul territorio, andando noi direttamente nelle strutture nei casi in cui vi fossero inseriti”, spiega Antonia Semeraro. “Abbiamo anche chiesto di fare noi le vaccinazioni in modo da garantire più agio ai nostri pazienti, che già ci conoscono, evitandogli la fila al polo vaccinale”.

Altro servizio importante è quello dei tamponi, sia rapidi che molecolari. Un esame come questo, che crea un certo fastidio, è di solito meno tollerato dai pazienti con le disabilità menzionate: effettuarlo può risultare difficile e non esente da rischi, se ci sono movimenti improvvisi. Lo staff del Delfino, proprio grazie agli “ingredienti” di empatia, preparazione e collaborazione stretta con i caregiver, garantisce di effettuarli in modo tempestivo e in tutta sicurezza, anche in auto, all’esterno dell’ospedale: è infatti il personale infermieristico a raggiungere il paziente.

Durante la fase di pandemia lo staff del ha anche ricevuto diverse donazioni, come gli zaini per andare sul territorio, l’elettrocardiografo e il fibroscopio. “Segnali e supporti importanti per il nostro agire”, evidenzia la coordinatrice.

Percorso Delfino, richieste da tutta Italia. E l’Europa lo osserva

C’è un’esigenza diffusa di avere un servizio come quello descritto. A questo punto ci chiediamo: esiste una presa in carico di pazienti provenienti da altri territori?

“Sì, accogliamo anche chi arriva da fuori Regione, abbiamo addirittura chi arriva dalla Sicilia. I famigliari ci hanno spiegato che vale la pena fare tanti chilometri pur di avere un percorso dedicato. Le richieste stanno aumentando”. È lampante come il servizio necessiti di una diffusione capillare.

Ad oggi il progetto DAMA è attivo, con le sue peculiarità rispetto ai territori in cui si sviluppa, a MilanoBergamoVarese e in Valcamonica. Non mancano importanti progetti per il futuro prossimo, che vanno ben oltre i confini regionali, come ci illustra Antonia Semeraro: “Stiamo organizzando un convegno sulla disabilità e il tema dei diritti previsto per il 28 ottobre a Mantova: per l’occasione ci confronteremo con i vari DAMA. Vorremmo infatti attivare una piattaforma di gestione comune di dati e situazioni a livello nazionale, sempre in un’ottica di ottimizzazione”.

Altra notizia è che l’Europa, in particolare la Francia, sta guardando con attenzione questo modello virtuoso di servizio. Una volta tanto l’Italia diventa un riferimento per un progetto che, se non ci fosse, bisognerebbe davvero inventarlo, così come le persone che lo rendono possibile.