Affari Italiani ha intervistato il Presidente Nazionale Anffas Onlus Roberto Speziale sul caso dello sciopero bianco indetto da un gruppo di genitori a causa della presenza in classe, nella scuola media Vann'Antò di Ragusa, di una ragazzo con disabilità psichica.
Riportiamo il testo integrale dell'intervista:
"In effetti il caso di questo ragazzo è delicato, ma evidentemente in questi mesi non sono state poste in essere dalla scuola quelle azioni per accompagnare le esigenze del ragazzo e della classe senza arrivare ad un atto così clamoroso".
Roberto Speziale, presidente Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale), è amaro nel commentare con Affari la vicenda di Ragusa, dove in una seconda della scuola media Vann'Antò, i genitori hanno vietato ai figli di frequentare le lezioni a causa di un compagno di classe con problemi psichici.
E a chi chiede di bloccare il ragazzino durante i suoi eventuali scatti d'ira in classe, Speziale risponde: "A prescindere dal grado e dal tipo di handicap, i ragazzi disabili possono sempre e comunque essere integrati nella classe. Si tratta di costruire con loro un progetto individualizzato con operatori qualificati, che certamente non abbiano come finalità quella di contenerlo o bloccarlo. Perché ci sono una serie di tecniche e modalità che creano condizioni per cui qualsiasi ragazzo possa essere ben gestito".
Ma il nostro è un Paese razzista nei confronti delle persone
con disabilità?
Per il presidente Anffas, "Io non me la sento di
colpevolizzare (le famiglie degli altri bambini, N.d.R.), credo che loro vedano
solo il risultato di una serie di mancanze poste in essere dalla scuola". E anzi
valuta la loro protesta come "una provocazione. Non credo che queste persone
immaginino che questo ragazzo debba essere segregato o discriminato rispetto
alla sua disabilità". Anche se "Sicuramente l'Italia ha la migliore normativa
relativamente alle pratiche di inclusione scolastica. Ma penso che stia
fortemente regredendo da un punto di vista culturale, penso ci sia una
strisciante e subdola presenza di atteggiamenti molto discriminatori e
'razzismo', detto tra molte virgolette". E sottolinea: "Il termine è forte ma lo
possiamo utilizzare: perché si vuole relegare ancora una volta la disabilità,
soprattutto quella intellettiva e psichica, ad una condizione di emarginazione e
segregazione".
C'è una soluzione?
Per Speziale "La via d'uscita
sicuramente c'è. Basta applicare le buone norme che ci sono, fare tanta
formazione sia degli insegnanti curriculari che di sostegno che degli operatori
addetti all'autonomia e all'accompagnamento, soprattutto collaborare con le
famiglie e le associazioni che più di ogni altro possono anche in questi casi
difficili, grazie alla loro esperienza, dare il loro supporto e i loro
suggerimenti, accompagnare queste situazioni difficili alla loro soluzione".
Perché "Non serve fare sensazionalismo, colpevolizzare quelle famiglie che hanno
preso questa decisione perché hanno espresso comunque il loro legittimo
disagio". E per essere più chiaro: "La risposta non deve essere l'allontanamento
di quel ragazzo da quella scuola e quella classe. La soluzione consiste
nell'affrontare in modo intelligente la questione, garantendo a quell'allievo di
frequentare quella classe insieme ai suoi compagni"
Presidente, che impressione le ha fatto la vicenda di
Ragusa?
"Ho chiesto anche alla nostra associazione locale. E debbo dire
che risponde al vero che alcune famiglie di questa classe hanno deciso di
mettere in campo questa protesta. In effetti il caso di questo ragazzo è
delicato, ma evidentemente in questi mesi non sono state poste in essere dalla
scuola quelle azioni per accompagnare le esigenze del ragazzo e della classe
senza arrivare ad un atto così clamoroso". Una nostra lettrice ha una bambina
nella scuola Vann'Antò ed ha scritto sul forum che ci vorrebbero due insegnanti
di sostegno in grado di bloccare gli eventuali scatti d'ira del ragazzino.
Se c'è un disabile con questi problemi, fino a che punto può
essere integrato in una classe?
"A prescindere dal grado e dal tipo di
handicap, i ragazzi disabili possono sempre e comunque essere integrati nella
classe. Si tratta di costruire con loro un progetto individualizzato con
operatori qualificati, che certamente non abbiano come finalità quella di
contenerlo o bloccarlo. Perché ci sono una serie di tecniche e modalità che
creano condizioni per cui qualsiasi ragazzo possa essere ben gestito. Tra
l'altro, loro non si sono mai, neanche come scuola, rivolti all'associazione
locale Anffas di Ragusa che avrebbe potuto dare indicazioni e supporto".
In che modo?
"Noi abbiamo anche specialisti che
periodicamente si recano a Ragusa e sono in grado di indicare progetti
personalizzati anche per i casi più gravi e particolari. Certo, ci voleva il
tempo necessario per preparare questi operatori, un progetto individualizzato,
trovare il giusto equilibrio rispetto alla particolare condizione di questo
bambino; ma è proprio la mancanza di tutti questi supporti che porta oggi quelle
famiglie a questo. Io non me la sento di colpevolizzarle, credo che loro vedano
solo il risultato di una serie di mancanze della scuola. Perché se alla fine la
situazione non è gestita, questo allievo non è stato adeguatamente osservato
individuando quello che gli serviva, ha portato ad una situazione ingestibile e
quindi alla loro protesta clamorosa che secondo me è una provocazione. Non credo
che queste persone immaginino che il ragazzo debba essere segregato o
discriminato per la sua disabilità".
Secondo lei, in tema di integrazione delle persone con
disabilità, il nostro è un Paese razzista sottopelle?
"Guardi,
sicuramente l'Italia ha la migliore normativa relativamente alle pratiche di
inclusione scolastica. Ma penso che stia fortemente regredendo da un punto di
vista culturale, penso ci sia una strisciante e subdola presenza di
atteggiamenti molto discriminatori e 'razzismo', detto tra molte virgolette. Il
termine è forte ma lo possiamo utilizzare: perché si vuole relegare ancora una
volta la disabilità, soprattutto quella intellettiva e psichica, ad una
condizione di emarginazione e segregazione. Sta avvenendo in modo subdolo:
nessuno lo esprime ufficialmente, però poi nelle azioni quotidiane, e questo è
uno di quei casi, si verifica. La mancanza, per esempio, dell'applicazione delle
leggi: le assicuro che per rispondere ai bisogni di questa scuola e di questo
allievo bastava applicare le norme che ci sono. E' poi la mancanza di
quest'applicazione a dare carburante a chi vuole ancora vedere la disabilità con
gli occhi del Medioevo".
Secondo lei, quale può essere la soluzione di questa
vicenda? C'è una via d'uscita o siamo finiti in un tunnel senza ritorno?
"La via d'uscità sicuramente c'è. Basta applicare le buone norme che ci
sono, fare tanta formazione sia degli insegnanti curriculari che di sostegno che
degli operatori addetti all'autonomia e all'accompagnamento, soprattutto
collaborare con le famiglie e le associazioni che più di ogni altro possono
anche in questi casi difficili, grazie alla loro esperienza, dare il loro
supporto e i loro suggerimenti, accompagnare queste situazioni difficili ad una
soluzione. Non serve fare sensazionalismo, colpevolizzare quelle famiglie che
hanno preso questa decisione perché hanno espresso comunque il loro legittimo
disagio. La risposta non deve essere l'allontanamento di quell'allievo da quella
scuola e quella classe. La soluzione consiste nell'affrontare in modo
intelligente la questione, garantendo a quello studente di frequentare quella
classe insieme ai suoi compagni".
Antonino D'Anna
Si ringrazia Affari Italiani per la gentile autorizzazione alla pubblicazione dell'articolo.
Per saperne di più
Segnaliamo
l'articolo pubblicato in materia da www.superando.org