Fonte www.superabile.it - Che non sia facile trovare il modo migliore di definire la disabilità è risaputo. Ma l'espressione "diversamente abile" , o "diversabile" nella sua versione ancor più ridotta, porta con sé un carico di difficoltà ancora maggiore. C'è chi l'ha adottato ormai apertamente, c'è chi proprio non riesce a digerirlo.
L'inchiesta di SuperAbile Magazine propone sul tema quattro voci e commenti, precisando che si tratta di "un neologismo che SuperAbile.it non usa mai, anche se non tutti gli organi di informazione, neppure quelli dedicati esplicitamente alle persone disabili, hanno fatto la stessa scelta".
Per Giampiero Griffo, membro dell'esecutivo mondiale dell'organizzazione Disabled people's international, "termini buonisti come diversabile cancellano la condizione di discriminazione e mancanza di pari opportunità" e non descrivono "la relazione tra ambiente e caratteristiche della persona, usando un attributo che appartiene a tutte le persone". Anzi, si chiede Griffo: "Conoscete persone che possono essere definite ugualabili?".
Dello stesso avviso Matteo Schianchi, studioso di storia sociale della disabilità, che si domanda cosa sia e in che cosa consista la diversa abilità. "Abile - spiega - qualifica sempre azioni e competenze delle persone. È una forma linguistica vaga. Nel suo uso, produce uno spostamento da presunte abilità dell'individuo espresse per differenza (si è diversi rispetto a un criterio standard), alla persona in sé. Lo spostamento è sotteso dal bisogno di orientare il rapporto con una realtà scomoda, la disabilità, in una formale armonia".
Come se non bastasse, poi, questa formula rischia di sortire esattamente l'effetto opposto. "Sicura di fare il contrario - prosegue - torna a ridurre l'individuo (persona che ha una disabilità) al deficit sotto la maschera di un suo immaginato superamento. L'essenza di una persona non è data dalle sue abilità, che siano esse ipotetiche, reali, normali o diverse".
Ma allora come è nato questo neologismo e come (e perché) si è tanto ampiamente diffuso? A difenderne la legittimità è proprio il suo inventore Claudio Imprudente, autore, tra le altre cose, di una rubrica su SuperAbile.it
"L'origine della parola è estremamente confusa - racconta - nel senso che si è trattato del frutto di una riflessione condivisa, partita da me e dal Centro Documentazione Handicap di Bologna, insieme a tutti coloro che, normodotati e non, negli anni, in un modo o nell'altro, vi hanno preso parte. Di sicuro io ho dato una mano enorme a divulgarla successivamente, sia con i miei scritti che con il mio lavoro di formazione in giro per l'Italia e all'estero e la costituzione del Gruppo Calamaio".
E sulle polemiche: "Questa parola nel tempo ha destato, come prevedibile, numerose reazioni, polemiche e fraintendimenti ma io non posso negare di considerarla ancora una parola importante, capace di cambiare l'immagine comune della persona con disabilità e di scatenare a riguardo riflessioni e dibattiti che considero essenziali. Per cambiare la cultura si passa sempre prima dalle parole. In questo senso, dico sempre che la parola diversabile è uno scrigno vuoto, che bisogna riempire di contenuti e questo, ovviamente, è un valore aggiunto".
D'altra parte le parole "giuste" non esistono. "Ogni termine, si potrebbe dire, è come una coperta corta ma ci sono due tipi di coperte: quelle che scaldano e quelle che non scaldano. Il termine diversabile è per me ancora oggi una coperta corta che scalda la discussione, il dibattito, la cultura e la politica. Nonostante questa parola contenga in sé una piccola ipocrisia, che tende a mettere completamente in secondo piano il deficit, credo resti ancora fondamentale se la intendiamo con il senso per cui è nata: una semplice provocazione che ci mette in grado di aprirci a prospettive e reazioni ulteriori. E - conclude - senza reazione, pensiamoci bene, non c'è cambiamento".
A ribattere a distanza è Franco Bomprezzi, giornalista da sempre impegnato per i diritti delle persone con disabilità, che afferma: "Forse Claudio Imprudente non si rende conto del danno che ha provocato, quando, applicando ironicamente su se stesso questa "definizione", ha aperto la porta a una deriva buonista e ipocrita che sicuramente non era nelle sue intenzioni. Non sopporto diversamente abile - insiste -. Perché chi utilizza questo termine è convinto di far bene, pensa di essere politicamente corretto, è lì pronto a darti un buffetto o una pacca sulla spalla. Chi lo dice, infatti, si ritiene "abile" e basta, senza quel "diversamente". E poi non è un caso che la locuzione piaccia al mondo della politica, sempre in cerca di consenso, un po' piacione e molto compiacente. Diciamo la verità: nessuno di noi ha deciso di "specializzarsi" in "diversa abilità". È successo, e non per scelta. Siamo persone. Con disabilità. Più o meno".
Leggi tutta l'inchiesta sul secondo numero del magazine.
03 maggio 2012