Fonte VITA - «Non ci siano più attenuanti». L’appello è netto e ben argomentato. La vita con una disabilità motoria e intellettiva non deve essere resa un inferno da ostacoli logistico-burocratici, economici ed emotivi, acuiti da un sistema di welfare incapace di tutelare la persona con disabilità e la sua famiglia. Eventi di cronaca in cui sono vittime persone con disabilità possono accendere i riflettori su condizioni difficili spesso lontane dall’attenzione dei più. Quindi, pur non conoscendo il movente gesto del sessantaseienne che nell’Alessandrino ha ucciso l’ex-moglie e il figlio Daniel di cui la madre si occupava a tempo pieno perché da 30 anni costretto su una sedia a rotelle in seguito a un grave incidente in motocicletta, abbiamo raccolto le riflessioni sui bisogni insoddisfatti delle famiglie con disabilità di Marco Bollani, direttore della cooperativa sociale «Come Noi» di Mortara a Pavia, tecnico fiduciario Anffas e consulente di Spazio Aperto Servizi.
«Non ci siano più attenuanti» ripete Bollani, da due decenni impegnato nell’ambito delle politiche sociali per la disabilità. «Dobbiamo sforzarci sempre di più di immaginare un nuovo modello di risposta e di ristrutturazione del welfare e dei sostegni per le persone e le famiglie che vivono in condizioni di disabilità. Tutto ciò che sino ad oggi abbiamo messo in piedi non basta. Non è ancora sufficiente per ridurre al minimo le disperazioni che nascono spesso anche dalle difficoltà materiali, burocratiche prima ancora che sociali ed esistenziali».
Nella disabilità, il ruolo della famiglia è fondamentale anche per supplire a un sistema di welfare sociale poco capace di rispondere ai bisogni di tutti. «La vita in condizione di disabilità è ancora troppo fiaccante, indebolente, piena di barriere e di ostacoli che possiamo e dobbiamo eliminare. Dobbiamo sottrarre peso. Attraverso un sistema più efficace di interventi. Per le persone e per le famiglie. Si deve poter andare a scuola, in spiaggia al lavoro e poi metter su casa ed emanciparsi dai genitori, come fanno la maggior parte delle persone. Bisogna poterlo fare anche quando si viva in condizione di disabilità. Con meno barriere e meno ostacoli da superare».
Si parta dai bisogni essenziali, non dalle risorse disponibili
Bollani, esperto di politiche sociali e di no profit, elenca tre sfide cruciali da affrontare con urgenza. «Per le istituzioni è necessario riconcepire il nostro sistema di welfare andando oltre i parametri vigenti dell’appropriatezza dei servizi. Intendiamoci: i servizi devono essere appropriati. Ma attualmente le regole dell’appropriatezza includono anche il parametro della sostenibilità economica sulla base delle risorse disponibili. I servizi essenziali non possono essere concepiti sulla base delle risorse disponibili da parte degli enti locali o delle istituzioni. I servizi essenziali devono esistere a prescindere. Sono le disponibilità delle risorse per gestire la pubblica amministrazione che devono essere calcolate solo a partire da ciò che rimane una volta garantiti i servizi essenziali. Oggi non è sempre e proprio così. Ma così deve essere. Molti diritti e molte prestazioni e molti servizi sono tali, ma solo sulla carta».
Non solo. Il tutto «con l’onere aggiuntivo che spetta allo stesso cittadino chiamare in giudizio le istituzioni, fare causa all’ente locale in presenza di un vulnus. Aggiungendo peso alla sua condizione. Bisogna invertire tale principio. Se l’istituzione non adempie deve poter essere sostituita. Oppure obbligata preventivamente al risarcimento, in presenza di un’inerzia o di una mancata prestazione. Ogni persona deve poter disporre di una garanzia minima di sostegni sotto forma di servizi essenziali che non possono mancare. E se mancano preventivamente si risarcisca. Si paghi una multa. Si possa sollevare l’istituzione dall’adempimento sostituendola».
L’esempio è quello dei fondi della legge Dopo di noi che ha istituito un Fondo Nazionale stabile per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. «Oggi esistono fondi disponibili proprio per garantire alle persone con disabilità percorsi di accompagnamento per emanciparsi dai genitori ed essere sostenuti nel metter su casa. Anche per prevenire e contrastare le fatiche dei genitori. Fondi che spesso le istituzioni e gli enti locali preferiscono non spendere, non investire, rinunciandovi». In questo caso, propone Bollani, «lasciamo che almeno vengano utilizzati da chi invece li ha saputi utilizzare costruendo risposte nuove che hanno arricchito la capacità dei territori di fronteggiare la condizione di disabilità. Troviamo il modo di farli arrivare quantomeno a chi li chiede e a chi presenta i progetti. Facciamo un bando con le risorse non spese e mettiamole a disposizione di ogni singolo territorio valorizzando le esperienze di quei territori in cui le istituzioni li hanno saputi spendere».
Una nuova stagione per l’associazionismo
L’impegno istituzionale non basta. La seconda sfida, per Bollani, è per le realtà associative e di terzo settore, che devono riconoscere che non è sufficiente riformare le politiche e costruire nuove leggi. «È necessario aprire una nuova stagione di costruzione sussidiaria di nuove opportunità di welfare e di sostegni realizzate da noi cittadini. Con una nuova disposizione militante ad agire, attraverso nuove forme di ascolto e di attivazione comunitaria rispetto ai bisogni delle persone». Ci si impegni in prima linea per molti servizi essenziali che non ci sono, «mettendosi insieme ad altre famiglie e costruiamo noi dal basso questi servizi. I centri diurni, i centri residenziali, l’assistenza personale e domiciliare. Devono diventare il nostro “fare quotidiano”, azioni dal basso. Il nostro sistema di welfare è nato anche così».
Basta con le distrazioni di massa, si vigili sui diritti
Infine, l’appello rivolto a tutti, indistintamente, genitori di persone con disabilità e cittadini tutti: «Nessuna attenuante morale al gesto disperato di chi toglie la vita a un figlio e a sua madre. Io non esisto più se la mia esistenza anche ritenuta difficile può esser considerata come un attenuante per chi, senza chiedermelo e contro la mia volontà, mi toglie la vita, insieme alla vita di mia madre. È stato a causa delle sue difficoltà a confrontarsi con la mia condizione? Non importa. Io sono stato assassinato, insieme a mia mamma. Chi mi ha ucciso, pur togliendosi la vita, ha commesso un assassinio, anche se il mandante è la sua disperazione. Accettare la disperazione di un gesto come un’attenuante significa indebolire tutta l’umanità». Per essere il più chiari possibile, continua Bollani, «è stato il nazismo a scrivere un manifesto in cui si considerava indegna di essere vissuta la vita di una persona in condizione di disabilità. Il ragionamento era: Non possiamo accettare la presenza di troppe persone fragili e da assistere se vogliamo diventare così potenti da poterci impadronire del mondo. Personalmente» continua Bollani «non credo che oggi qualcuno ambisca più ad impadronirsi del mondo. Di certo però la sensazione che la razionalità economica e del profitto abbiano un po’ confinato e limitato l’autonomia e il primato delle scelte politiche, a danno dei principi generali e universali a salvaguardia della nostra umanità. Tutto ciò dovrebbe suggerirci qualche riflessione in più di quelle che comunemente ci vengono stimolate dai social media ma anche dai vecchi telegiornali o dagli antichi quotidiani». Attenzione quindi alla «distrazione di massa che può consentire alla politica ed alle istituzioni di risparmiare sui livelli essenziali di assistenza solo per lasciare più spazio e più libertà di fare più soldi e di realizzare più profitti. Evitiamo che oggi si risparmi sui livelli essenziali di assistenza per lasciare più spazio a forme surrettizie di business che comprimono le prestazioni necessarie a garantire livelli essenziali di assistenza. Anche rispetto a queste distrazioni, non ci siano più attenuanti. Non lasciamo oggi alcuno spazio alla breccia della disperazione. Non c’è nessuno, al di fuori di me, che possa decidere e scegliere se la mia vita sia o meno degna di essere vissuta».