Fonte VITA - Il progetto di vita? Cambierà tutto, dicono alcuni. I servizi non sono pronti, non cambierà niente, dicono altri. Dal 1 gennaio 2025 in nove province italiane (Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste) partirà la sperimentazione del nuovo percorso previsto dal decreto legislativo n. 62 del 2024, il «primo passo per un approccio innovativo nella presa in carico della persona con disabilità», ha detto la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli.
La formazione del ministero nelle nove province è iniziata ma si moltiplicano anche le iniziative formative promosse dagli ordini professionali o delle organizzazioni di Terzo settore. Il fermento è molto, anche se la novità entrerà a regime in tutta Italia solo nel 2026. A quali condizioni sarà veramente una rivoluzione nei servizi e nella quotidianità delle persone con disabilità? Come non cadere nella retorica? Come non scordare, insieme alle legittime attese, il fatto che il progetto di vita è legge da più di vent’anni e che finora nessuno (o pochissimi) lo ha valorizzato nel suo essere strumento di un possibile cambiamento?
Vita ha raccolto dieci voci sul campo - di operatori, professionisti, organizzazioni, famiglie (qui l'articolo integrale) - tra cui anche quella del Presidente Nazionale Anffas, Roberto Speziale, di seguito riportata.
Quando eravamo vox clamans in deserto
Il diritto ad avere un progetto di vita individualizzato – tanto per la persona con disabilità quanto per la sua famiglia – risale alla legge 328/2000, che all’articolo 14, acclara tale diritto. Da allora Anffas si è battuta affinché questo diritto venisse riconosciuto e affinché i progetti di vita venissero redatti dai Comuni, cui la legge dava la titolarità. In questi anni in realtà molto spesso le famiglie hanno dovuto ricorrere ai tribunali per poter avere un progetto di vita: tribunali che hanno sempre riconosciuto il diritto, consolidando negli anni una giurisprudenza interessante sui vari aspetti concreti.
Negli anni successivi è diventato evidente il fatto che la concezione della disabilità centrata sul modello biopsicosociale non poteva più prescindere da una visione olistica della persona con disabilità e dei sostegni che essa deve avere per essere messa nelle condizioni di partecipare ai contesti sociali in parità con gli altri cittadini: ecco quindi che di progetto di vita parlano per esempio la legge 66/2017 e la 112/2016.
La legge 227/2021, la legge delega per la riforma della disabilità e poi il decreto legislativo 62/2024 quindi non introducono un nuovo diritto, lo procedimentalizzano. Quando il decreto 62 parla di progetto di vita individuale però aggiunge due termini importanti: personalizzato e partecipato. La norma cioè chiarisce che il progetto non è sulla persona o per la persona, ma della persona stessa: per questo non si può prescindere dal partire dai desideri, dalle aspettative e dalle preferenze della persona. In questo senso è evidente la differenza tra il progetto di vita e un paino individualizzato dei sostegni come il Pei, il Pai, il Pri ecc: questi mantengono la loro cogenza ma si inseriscono all’interno di un progetto generale che riguarda tutta la vita, tutti i bisogni, tutti i sostegni e tutte le risorse della persona.
Il decreto 62, nel suo proceduralizzare il diritto al progetto di vita, chiarisce chi fa cosa, come si procede, chi è il responsabile dell’attuazione del progetto… per esempio con questa figura del “responsabile dell’attuazione del progetto di vita” la famiglia non dovrà più “fare il giro delle sette chiese” per avere accesso ai vari fondi, ma sarà lui – una volta che il progetto di vita e il budget di progetto sono stati approvati – ad interloquire con i vari uffici per far sì che il progetto abbia attuazione piena.
Il decreto introduce due grandi strumenti: il budget di progetto, che è ciò che dà gambe al progetto di vita e rende pienamente esigibili i sostegni individuati e l’accomodamento ragionevole, che è qualcosa di diverso da ciò che abbiamo conosciuto finora nell’ambito dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Nell’accezione della Convenzione Onu, accomodamento ragionevole significa che dove individuiamo nel progetto di vita la necessità di un sostegno non previsto dal nostro ordinamento, la persona ha il diritto di chiedere l’accomodamento ragionevole e sarà la PA a dover garantire quel sostegno oppure a dimostrare che soddisfarlo richiede un onere sproporzionato ma che comunque è stato fatto di tutto per avvicinarvisi. Infine, ultimo tassello a garanzia dell’esigibilità dei diritti, sarà l’istituzione dell’Ufficio del Garante delle persone con disabilità, che sarà una autorità indipendente e avrà poteri di intervento anche sostitutivo, non solo ispettivo.
Anffas, che come detto da sempre si batte perché le persone con disabilità abbiano il loro progetto di vita, ha in corso due grandi iniziative. Una parte a metà gennaio ed è un grande intervento di formazione per tutte le nostre famiglie, operatori, medici delle commissioni mediche (ma sarà aperta a tutti). La seconda è il lancio, nei primi mesi del 2025, di un nuovo strumento che accompagni le famiglie e gli operatori nella stesura di una “proposta” di progetto di vita da presentare: è l’evoluzione di “Matrici ecologiche e dei sostegni”, quello strumento per la valutazione multidimensionale che da setto o otto anni abbiamo costruito prima in via sperimentale e poi implementandolo nel tempo.