Ricco di tanti spunti di riflessione, pubblichiamo con piacere un articolo scritto da Evelina Chiocca, del Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno , pubblicato sul sito di Superando .it
Integrazione: tornare indietro non è accettabile
(di
Evelina Chiocca)
Con la convinzione che la storia dell'integrazione scolastica
degli alunni con disabilità abbia dato il via ad un processo per sua natura
irreversibile, appare però quanto mai necessario un impegno sempre più
consistente, che veda collaborare concretamente gli insegnanti e le associazioni
delle famiglie di alunni con disabilità. Troppi, infatti, sono gli elementi di
preoccupazione, in una situazione instabile e con "nostalgie per il passato" che
spesso si riaffacciano. Un'ampia analisi dedicata al presente dell'integrazione
e destinata anche a far discutere
Riforma e cambiamento sono le parole che
hanno caratterizzato questi ultimi anni, e la scuola, più di altre realtà, è
stata oggetto e destinataria di modifiche, anche radicali. Fino ad oggi, il
processo di integrazione è uscito indenne dai ritocchi via via approvati e
tuttavia, in quest'ultimo periodo, le modifiche apportate alla scuola pubblica,
senza confronto né dibattito con gli operatori scolastici e con i rappresentanti
della società civile, inducono a maggiore cautela e ad assumere un atteggiamento
di difensiva, perché qualcosa "non quadra".
Infatti, se la normativa
sull'integrazione resta vigente (Legge 104/92, sentenze, decreti ecc.), alcune
"correzioni", all'apparenza lievi, introducono elementi di preoccupazione.
Si taglia e si aumenta: i "meno" e i "più". La riforma scolastica - che fra
l'altro riporta il "maestro unico" nelle aule della scuola primaria e ripristina
la valutazione in "decimi" - è stata imposta da questioni di carattere puramente
economico: infatti, la parola d'ordine è stata ed è "tagliare", senza alcuna
alternativa.
I "meno"
I tagli - ovvero i "meno" - interessano
àmbiti diversi: dal numero degli insegnanti, destinato a ridursi di circa 90.000
unità nei prossimi tre anni, al numero dei plessi, con il preventivato
accorpamento (slittato di un anno); dal numero delle scuole "soppresse" quale
conseguenza dell'aumento del numero degli alunni in ogni classe alla riduzione
delle ore di lezione, per i tagli al tempo-scuola; fino ai tagli alle classi di
concorso, con l'accorpamento di alcune discipline o ambiti disciplinari.
Non
si salva nemmeno il tempo pieno, tanto caro alla tradizione italiana, per altro
garantito a tutte le famiglie che ne faranno richiesta: nella pratica, però,
esso non sarà fruibile da tutti, perché destinato a scontrarsi, da un punto di
vista organizzativo, con le indicazioni contenute nella legge stessa.
I "più"
Gli aumenti - ovvero i "più" - riguardano in
particolare il numero degli alunni per classe: dal ritoccato e aumentato numero
"minimo" fino alla liberalizzazione del numero di alunni con disabilità per
classe, arrivando in tal modo ad "intaccare" quello spazio, fino a ieri
rispettato, destinato all'integrazione scolastica.
È risaputo, infatti, che
un elevato numero di alunni nelle singole classi costituisce un ostacolo al
processo di inclusione: aumentare significa tralasciare, far slittare,
rinunciare, abdicare, se non delegare l'integrazione al solo insegnante di
sostegno o all'assistente di turno (impropriamente utilizzato). Significa non
offrire possibilità e opportunità. Significa, in sintesi, "chiudere"
un'esperienza per aprirne una completamente diversa, di fatto opposta.
Anche
i tentativi per condurre il Ministro su una strada più ragionevole, con l'invito
a limitare i danni fissando almeno dei tetti al numero degli alunni disabili per
classe, orientano l'integrazione verso prospettive, a nostro avviso,
peggiorative. Perché, come abbiamo ribadito più volte, quando si parla di
integrazione, non si può fare riferimento alla logica dei numeri, che mai
rispondono al riconoscimento dei bisogni del singolo. L'alunno con disabilità
dev'essere destinatario di risorse e provvedimenti che gli siano utili e
necessari: per lui, non per le medie numeriche o per ragioni di puro calcolo
economico.
Aumentano, infine, anche gli "affidi" a personale educativo
(assistenti alla comunicazione, ad personam ecc.) sovente non adeguatamente
preparato e in ogni caso destinato ad «azioni educative e di autonomia»: a
questo personale vengono richieste prestazioni didattiche con interventi che,
spesso, si traducono in "surroghe" dell'attività degli insegnanti stessi.
La divisione-esclusione
In molte scuole italiane
stanno aumentando alcune iniziative, salutate con entusiasmo: si tratta di
"contenitori" destinati ai soli alunni con disabilità, spacciati come
"laboratori esclusivi" e dai presupposti innovativi. In realtà sono spazi che
contribuiscono alla divisione, in quanto "separano" l'alunno con disabilità dal
resto della classe, vanificando ogni presupposto di inclusione.
Viene da
chiedersi se tutto questo non sia il preludio per un ritorno alle classi
speciali, visto anche che, ultimamente, i "ritorni" sono in auge...
Purtroppo non sono poche le scuole in cui, accanto alle classi ordinarie, si
sono "creati" spazi denominati di volta in volta nucleo potenziato o classe
speciale, quando non stanza del sorriso o stanza delle autonomie, aula delle
buone prassi o altri fantasiosi appellativi. Realtà che le scuole presentano
sempre all'insegna dell'innovazione e quale buona prassi: di fatto, però, con
l'allontanamento degli alunni con disabilità dalla classe di appartenenza,
questi luoghi contribuiscono al fallimento del processo di inclusione.
Altre
situazioni - analoghe nel principio - riguardano alcuni Centri di Formazione
Professionale, titolati all'assolvimento dell'obbligo formativo, che, in alcune
Regioni, si sono visti imporre precise restrizioni in merito all'utenza: possono
infatti accogliere soltanto studenti certificati in conformità alla Legge 104/92
o accompagnati da una relazione socio-sanitaria.
Si paventa inoltre la
possibilità di istituire scuole-polo, presso le quali gli insegnanti di sostegno
acquisirebbero la titolarità: da qui "partirebbero", destinati alle sedi dove
sono presenti alunni con specifiche patologie o sindromi, per le quali sono
stati preparati. Una visione, questa, che come CIIS (Coordinamento Italiano
Insegnanti di Sostegno) - proprio perché crediamo fortemente nel processo di
inclusione e in una dimensione onnicomprensiva della persona destinataria degli
interventi educativo-didattici - ricusiamo con determinazione. E ricusiamo anche
ogni tentativo che vuole insegnanti vestiti da infermieri, camuffati da
specialisti sanitari, utilizzati come task-force per "curare la patologia".
E d'altra parte, come vogliamo chiamare queste "nuove" realtà? Come vogliamo
definire i nuclei potenziati, le scuole-polo, le classi speciali? E le
esperienze di "separazione" dal gruppo-classe degli alunni con disabilità
"raccolti" in aule a loro riservate? Tutto ciò fa pensare e non poco. Ma di
fronte a questa prospettiva il nostro Coordinamento oppone la più ferma
resistenza: l'integrazione scolastica non si tocca. Per questo è importante che
gli insegnanti si mantengano in contatto fra loro, si coordinino e cooperino
attivamente con le associazioni delle famiglie degli alunni con disabilità:
perché nulla dev'essere fatto, deciso e scelto "senza e contro di loro"
(famiglie e studenti).
Il segno "uguale"
Le nostre classi, specchio della
società attuale, si caratterizzano sempre più per la complessità dovuta
all'eterogeneità dei bisogni formativi ed educativi (alunni con DSA - Disturbi
Specifici dell'Apprendimento -, alunni non-italofoni, alunni con certificazione
di disabilità, alunni con disagio socio-economico, alunni adottati o affidati,
minori maltrattati ecc.), che richiedono agli insegnanti competenze e
professionalità diversificate e, al tempo stesso, specifiche.
Alla
complessità, di fatto, occorre rispondere non differenziando e separando, ma
formando e integrando. E tuttavia sulla formazione riguardante le tematiche
dell'inclusione scolastica degli alunni con disabilità - che a nostro avviso
deve necessariamente essere rivolta a tutti gli insegnanti, da quelli in
servizio (curricolari e di sostegno) agli aspiranti in formazione - permane,
immutato, il segno "uguale".
Sulla formazione docente, utile
all'integrazione, nessuno scommette e nessun Ministro ha osato od osa porvi
mano. E così, dopo più di trent'anni di storia dell'integrazione, ci troviamo
ancora di fronte a due percorsi formativi: uno per l'nsegnante curricolare,
l'altro, con l'aggiunta di un pacchetto-ore, per l'insegnante specializzato per
le attività di sostegno. Gli insegnanti vengono formati come se dovessero andare
ad operare in contesti in cui gli alunni sono fra loro "separati" e al tempo
stesso si chiede loro di promuovere e farsi promotori di integrazione e
socializzazione. Come dire: provvedete voi alla quadratura del cerchio! Ma come
può realizzarsi l'inclusione se gli insegnanti stessi, fra loro, parlano
linguaggi diversi?
Se l'integrazione è compito di tutti, allora la
formazione specifica dev'essere assicurata a ciascuno: è quanto, da anni, come
Associazione di Insegnanti di Sostegno sosteniamo e chiediamo. Chiediamo che
venga predisposto un percorso formativo completo, comprensivo anche delle
tematiche dell'inclusione, affinché l'insegnante curricolare sappia come
interagire nella classe complessa in presenza di alunni con disabilità e perché
si riduca (anzi, si elimini) la pratica della delega dell'integrazione
all'insegnante di sostegno e, infine, perché questi sappia interloquire con ogni
collega. Su questo tema i ministri di turno glissano, nessun linguaggio
funziona, nemmeno i segnali di fumo!
E se la persona con disabilità apprende?
A fronte di
una situazione così instabile, con nostalgie che si riaffacciano e con il
ricorso a metodiche ormai accantonate, pedagogicamente superate, viene da
chiedersi se esista ancora la convinzione che la strada intrapresa, quella
dell'inclusione delle persone con disabilità, sia la strada giusta oppure se si
debba ripensare all'integrazione, cercando altri percorsi.
Per riflettere su
tale questione, è opportuno partire da una constatazione fondamentale, quella
dell'educabilità e delle capacità di apprendimento: in altre parole, la persona
con disabilità intellettiva apprende? Se ci crediamo, se crediamo cioè che le
persone con disabilità possano apprendere, allora l'unica risposta possibile,
perché altre non ne esistono, è che non solo devono frequentare la scuola, ma
devono avere accesso a tutti i percorsi formativi in atto. E il processo deve
avvenire nelle classi comuni, con compagni della stessa età, sostenuti e
accompagnati da insegnanti preparati sia sotto il profilo pedagogico-didattico,
che culturale. Insegnanti che sappiano parlare un linguaggio comune, condiviso e
che sappiano guardare oltre la patologia e la sindrome, arrivando direttamente
all'alunno nella sua interezza, in quanto persona con bisogni specifici, dotato
di proprie potenzialità, che cresce all'interno della comunità scolastica.
Siamo convinti che la storia dell'integrazione scolastica degli alunni con
disabilità abbia dato il via a un processo, per sua natura, irreversibile:
tornare indietro non è immaginabile. Per questo il futuro richiede un impegno
ancor più consistente.
Innanzitutto è necessario superare la logica dei
numeri (dei "più", dei "meno", delle "divisioni"), moltiplicando, invece, gli
sforzi, per far sì che l'esperienza dell'integrazione esca ancor più rafforzata
di fronte alle difficoltà che nel tempo si presentano.
Per farcela, poi,
oltre alla determinazione è importante attivare forme di collaborazione e di
cooperazione fra coloro che sono impegnati in questo settore: insegnanti,
famiglie, associazioni e istituzioni. In particolare, dev'essere accentuata
l'attenzione verso gli alunni con disabilità, garantendo e assicurando diritti
riconosciuti: perché, ed è bene ricordarlo, quando si parla di inclusione
scolastica e sociale, nulla è generalizzabile, se non i diritti del singolo
alunno.
P.S.: Ritorna la serie dei numeri...
Si segnala
anche, come novità, l'estensione del DPCM 185/06, fino a ieri lasciato alla
discrezionalità delle singole Regioni. Tale Decreto, fissando i criteri per
l'individuazione «dell'alunno in situazione di handicap», introduce nuovi
elementi organizzativi: stabilisce infatti che PDF [Profilo Dinamico Funzionale,
N.d.R.] e PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.] debbano essere redatti
entro il 30 luglio e che nel PEI si indichino le risorse necessarie per l'alunno
(ore di sostegno didattico, eventuali altri interventi, deroghe ecc.). E questo
nonostante non siano ancora state definite le modalità per garantire la
continuità educativo-didattica.
A ciò si aggiunga che lo Schema di
Regolamento sulle norme per la riorganizzazione della rete scolastica,
all'articolo 10, comma 7, prevede, a partire dal prossimo anno scolastico,
l'attivazione degli "spezzoni di cattedra" anche per la scuola primaria e per i
posti di sostegno. Ma non è stato detto a più riprese che il rapporto assicurato
doveva essere 1:2, ovvero di un insegnante di sostegno ogni due alunni con
disabilità?... Ritorna dunque la serie dei numeri!...
25 marzo 2009