Fonte - www.disabili.com - Spesso le cronache e le conversazioni sui social network raccontano le difficoltà di dialogo tra docenti curricolari e di sostegno o tra scuola e famiglia, dovute ad incomprensioni derivanti da punti di vista molteplici e discordanti. Quando si tratta degli alunni con disabilità, poi, le ragioni di una dialettica complessa non di rado riguardano la percezione stessa della figura del docente di sostegno, il suo ruolo tra vecchie e nuove riforme o il miglioramento di un'integrazione eccellente sulla carta ma a volte inefficace nella pratica. Non mancano episodi di piccole o grandi discriminazioni, verso alunni ancora percepiti come altro o verso insegnanti di sostegno mai davvero integrati nel team dei docenti. Si assiste spesso a confronti costruttivi e propositivi, ma a volte anche alla radicalizzazione delle posizioni.

Per favorire il dialogo costruttivo tra tutti gli attori coinvolti nel sistema scolastico, dovremmo forse chiederci cosa serva davvero alla scuola, come realizzare appieno i processi di inclusione o come potenziare le competenze professionali. Ne abbiamo parlato con Patrizia Compagnucci, mamma di Valerio, un bimbo di 11 anni con autismo e insegnante di sostegno di scuola primaria.

Cosa ritieni sia fondamentale per favorire una reale inclusione scolastica?

Ho un figlio con autismo, non verbale. Tutte le mattine per accompagnarlo a scuola passiamo davanti a una vecchia scuola speciale ed io istintivamente accelero per fuggire dal dolore provato dalle mamme che fino a qualche decennio fa lasciavano lì i loro bambini, magari assististi da personale specializzato per patologia, ma chiusi in un posto che non lasciava spazio all'umanità, che perdeva di vista le potenzialità del bambino e guardava solo i suoi limiti. Una frase che amo ripetere è che non c'è umanità se gli spazi che la dovrebbero comprendere escludono i nostri ragazzi più fragili. Valerio è molto popolare: quando arriviamo a scuola il primo compagno che passa lo chiama e gli chiede di andare con lui in classe, sa che Valerio non dà la mano, allora gli porge il braccio e il mio piccolo si appoggia e ride, poi, il compagno si rivolge a me salutando al posto di mio figlio :"ciao mamma, a dopo!". Ecco, questa è inclusione. Nonostante la mancanza di spazi, di strumenti e di risorse, nonostante la burocrazia e le lotte pure per veder riconosciute le ore di sostegno, sento che mio figlio è incluso. Devo ringraziare per avere avuto un'insegnante di sostegno per tutti i 5 anni di scuola primaria che ha lavorato molto bene. Nell'insegnamento servono conoscenze, competenze e doti umane per favorire un apprendimento. Da mamma questo ho sempre chiesto alla scuola: che vi sia anche per Valerio l'evidenza di un qualche apprendimento didattico. I bambini cosiddetti "normali" vanno a scuola per imparare e questo deve valere anche per i nostri figli. In tutte queste affermazioni è chiaro il mio dissenso con la cosiddetta medicalizzazione che non farebbe altro che aumentare lo stigma sociale. La terapia si fa altrove.

Come ritieni che ciò possa essere implementato nella scuola?

Sono un'insegnante di sostegno precaria. Ogni anno cambio scuola, bambini, colleghi, ambiente. Ogni settembre inizia il mio personale processo di inclusione. L'inclusione degli alunni con disabilità inizia proprio da qui e si basa su un pensiero com-partecipato, costruttivo e condiviso tra i diversi protagonisti del contesto scolastico, al fine di creare ambienti facilitanti ed accoglienti le diversità. L'inclusione inizia con il diritto alla continuità didattica. Certamente la mancanza di finanziamenti, i tagli indiscriminati e la precarizzazione del lavoro non aiutano il processo di inclusione. Ogni mattina mi domando come posso lavorare sul contesto, e non soltanto sull'alunno, per promuovere la partecipazione sociale e il coinvolgimento. La diversità è una sfida che richiede prassi sempre nuove, soluzioni originali, adattate ai singoli bambini e ai contesti, dal punto di vista didattico-pedagogico, comunicativo e relazionale. Richiede anche un'istituzione attenta agli aspetti organizzativi, la partecipazione e collaborazione con le famiglie, nonché la costruzione di un lavoro di rete importante e ben coordinato nel territorio.

Disturbi pervasivi: quali sono le urgenze?

L'autismo condiziona pesantemente la vita dei nostri figli e inevitabilmente anche la nostra. Chi non lo conosce facilmente associa questa patologia a fenomeni geniali e interessanti, ma nella realtà grava sulle famiglie il peso di sostenere condizioni di vita difficili, spesso insostenibili. Di fronte alla diagnosi le famiglie sono lasciate sole e, nella maggior parte dei casi, si isolano nel loro dolore. Siamo spinti ad accontentarci di quel poco che lo Stato ci concede come un'elemosina: ore di sostegno mai sufficienti, assistenza quasi nulla, pochissime ore di terapia. E' grave l'assenza dei servizi pubblici, la mancanza di competenze e di interventi riabilitativi intensivi e precoci sostenuti con coerenza e continuità dal Servizio Sanitario Nazionale, lasciati invece a carico delle famiglie. E' necessaria una scuola inclusiva che permetta ai nostri figli di essere educati, riconoscendo il diritto di noi genitori di essere partner attivi, informati e collaboranti del processo d'intervento.

Cosa consiglieresti a genitori e docenti per favorire un dialogo costruttivo e corresponsabile?

Agli insegnanti consiglierei di ricordare sempre che alle spalle di un bambino c'è una famiglia che ha il diritto di vivere una "speciale normalità" e di vedere sempre la Persona con il suo particolare valore e non la sua patologia. L'insegnante di sostegno deve accogliere non solo il bambino, ma anche una famiglia a volte annichilita dal dolore e dalla vergogna di sguardi che escludono. Ai genitori dico di fidarsi, di non partire con il pregiudizio secondo cui "tanto non funziona". Per raggiungere dia-logos è necessaria la fiducia, che si costruisce con il tempo, con la continuità didattica, con la conoscenza e con una particolare dote: l'umanità.

Per approfondire ulteriormente l'argomento, potete leggere l'aritolo di corriere.it «Se mia figlia non ha il diritto di fare il tempo pieno».

24 Settembre 2015