Fonte www.personecondisabilita.it - Diversamente da quanto avveniva fino a una ventina d'anni fa, oggi le persone con sindrome di Down invecchiano. Ovvero superano i 45 anni di età e, come tutti gli italiani, diventano anziani. Ma siamo pronti ad affrontare l'oggi e il domani di queste nuove persone anziane?
Questa è la domanda alla base del Progetto nazionale DOSAGE (Functioning and disability of AGEing people with DOwn Syndrome), finanziato dalla Fondazione Jerome Lejeune di Parigi e coordinato dalla SOSD Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico Carlo Besta in collaborazione con ANFFAS e AIPD. Un progetto che presentato oggi - 15 marzo 2016 - a Milano nell'ambito del convegno "L’invecchiamento delle persone con Sindrome di Down in Italia: i risultati del progetto di ricerca DOSAGE".
“Nella ricerca, nella clinica e nella politica servono interventi e lavori seri e concreti per le persone con sindrome di Down, interventi che considerino veramente tutti gli elementi che causano disabilità nell’invecchiamento. Per questo abbiamo sviluppato il progetto e ne presentiamo, in questo convegno nazionale, i risultati di due anni di lavoro” spiega Matilde Leonardi, dirigente medico alla fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano, e coordinatrice del progetto DOSAGE.
In Italia un neonato ogni 1.200 ha la sindrome di Down. Nel corso degli ultimi anni, l’allungamento dell’aspettativa e il miglioramento della qualità di vita hanno portato a un aumento della popolazione anziana anche con la sindrome di Down. I dati più recenti – riferiti al 2007 – stimano che siano 48mila gli italiani con sindrome di Down, di cui 10.500 tra 0 e 14 anni, 32mila tra i 15 e i 44 anni, e 5.500 oltre i 44 anni. E il loro numero è destinato ad aumentare. I risultati di questa ricerca offrono dati utili alla politica, alle organizzazioni socio-sanitarie e alle associazioni perché serve un’etica della cura personalizzata e basata sulle reali necessità delle persone con sindrome di Down anziane.
“Il progetto DOSAGE - spiega Matilde Leonardi - considera sia le persone con sindrome di Down che entrano nella vecchiaia con disabilità, sia i genitori e i caregiver che invecchiando diventano persone con disabilità. Quello che non era noto, e che DOSAGE ha evidenziato, è la necessità di ripensare le politiche per progettare un invecchiamento sano e attivo anche delle persone con sindrome di Down.
I dati raccolti in tutta Italia ci sembrano molto attuali, visto anche il dibattito parlamentare sulla legge sul Dopo di Noi e in vista del 21 marzo in cui si celebra la Giornata Mondiale Persone con Sindrome di Down”.
“Il nostro lavoro ha fotografato la vita di 136 persone con sindrome di Down tra i 45 e i 67 anni, in 15 regioni Italiane, rilevando in che modo la loro condizione di salute e disabilità interagisce con il loro ambiente di vita” spiega Venusia Covelli, P.I. di progetto e responsabile delle fasi di ricerca sul territorio italiano. “Vivono per lo più a casa, con i propri familiari e frequentano centri diurni. Metà del campione non possiede un titolo di studio e non ha mai lavorato, aspetti che impattano direttamente sul loro grado di autonomia e sulle attività quotidiana che possono svolgere (dal prendersi cura di sé o degli altri, al poter svolgere attività complesse)".
Da Roberto Speziale, presidente di Anffas Onlus, arriva l'invito "a riflettere ancora una volta sull'importanza di attuare progetti individualizzati nel durante noi, puntando al raggiungimento del massimo livello di autonomia possibile, al fine di garantire un dopo di noi, tema attualmente molto discusso e, ricordo, oggi di rilevanza nazionale, che garantisca la migliore qualità di vita in chiave inclusiva".
Inoltre, afferma la Coordinatrice nazionale AIPD, Anna Contardi “è evidente la differenza tra le persone con sindrome di Down oggi anziane, ma cresciute in anni di esclusione sociale, e i giovani con Sindrome di Down cresciuti in un sistema inclusivo sia per l’istruzione che per l’inserimento lavorativo. Tra qualche anno, i dati raccolti sui nostri futuri anziani saranno ben diversi”.
L’Istituto neurologico Besta conta di estendere sia in Italia che all’estero questa ricerca poiché i dati raccolti permettono di avviare una riflessione basata sull’evidenza su quali siano le politiche per l’invecchiamento delle persone con disabilità in generale.
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15 marzo 2016