La persona con sindrome di
Down ha il diritto di sposarsi e assumere scelte in ordine al trattamento
sanitario, "perché tale situazione congenita non priva il soggetto trisomico
della capacità di orientarsi nelle scelte di vita, di emozionarsi, di scegliere
per il proprio bene, di capire e comprendere e, se del caso, affezionarsi o,
addirittura, innamorarsi". È quanto ha stabilito il Tribunale di Varese
pronunciandosi il 6 ottobre scorso in merito alle richieste di una madre di una
persona Down, che chiedeva di essere nominata amministratrice di sostegno per
poter avere cura dei suoi interessi patrimoniali e personali, includendo tra
questi anche l'intermediazione nel caso di matrimonio e per trattamenti
sanitari. Nel decreto, il giudice ha riconosciuto la necessità di un
amministratore di sostegno in merito alle scelte riguardanti gli interessi
patrimoniali, come operazioni bancarie, curare i rapporti con gli uffici
pubblici, stipulare contratti e altro ancora, ma ha respinto le richieste in
merito al matrimonio e all'autodeterminazione terapeutica.
Sabrina (il nome è
di fantasia) potrà sposarsi, quindi, e come si legge nel testo depositato, è
quanto ha detto lei stessa al giudice Giuseppe Buffone con "serena
determinazione": "Io mi sposo col mio fidanzato". Per il Tribunale, infatti,
decretare la necessità del consenso di un amministratore in tale situazione,
"equivarrebbe a strappare la Carta costituzionale in quel nocciolo duro in cui è
invulnerabile". Ma non solo. Il ‘divieto di nozze implicito', la cui scelta
discenderebbe dall'amministratore, viola anche l'articolo 23 della Convenzione
di New York del 2006, ratificata dall'Italia con la legge 18 del marzo 2009,
secondo cui "gli Stati Parti adottano misure efficaci ed adeguate ad eliminare
le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità in tutto ciò che
attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali,
su base di uguaglianza con gli altri, in modo da garantire che sia riconosciuto
il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre
matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero
consenso dei contraenti". Infine anche la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione Europea dove si riconosce al disabile il diritto a scegliere "con
chi vivere" al fine di avere una "vita indipendente".
Secondo quanto
ribadisce il decreto, infatti, "il portatore della sindrome di Down, per il
mondo del diritto, non è un ‘malato' ma una persona diversamente abile: ed,
allora, è persona che non va trattata come soggetto da curare ma come soggetto
da aiutare, ove la diversità si frapponga al completo e sano fruire dei diritti
che l'ordinamento riconosce". Stesse considerazioni per quanto riguarda quelle
scelte in ambito sanitario. Secondo il giudice, "l'amministratore è autorizzato
alla cura del beneficiario nel perseguimento del suo best interest, con ciò
anche potendo assumere scelte in ordine al trattamento sanitario, ma purché
questo non sia imposto all'incapace ovvero realizzato in contrasto con le sue,
pur flebili ma efficaci, scelte di autodeterminazione terapeutica". (ga)
14 ottobre 2009