La vera partita del federalismo fiscale si gioca sulla finanza regionale e in particolare sulla definizione dei costi standard nella sanità. Un approfondimento su lavoce.info
di Massimo Bordignon e Nerina Dirindin
Fonte:
lavoce.info - La vera partita del federalismo fiscale si gioca sulla finanza
regionale e in particolare sulla definizione dei costi standard nella sanità.
Nel decreto presentato dal governo, il sistema di definizione del fondo
sanitario e i meccanismi di riparto restano sostanzialmente quelli già in vigore
da oltre dieci anni. E anche i nuovi costi standard-criteri di riparto sono gli
stessi già adottati in passato. Mentre scompare il periodo di transizione. Si
rischia così di favorire la conflittualità fra le Regioni e la discrezionalità
della peggiore politica.
Con le elezioni che sembrano inevitabilmente
avvicinarsi, aumenta il pressing della Lega per portare a casa almeno qualche
risultato sul tema del federalismo fiscale. Fin qui, nonostante il gran battage
pubblicitario, il carnet è piuttosto scarno. Dei dodici decreti originariamente
previsti di attuazione della legge delega 42/2009 entro due anni
dall'approvazione (cioè entro il maggio del 2011), ne sono stati definitivamente
approvati solo due. Quello sul cosiddetto federalismo demaniale, i cui effetti
in termini di distribuzione delle risorse restano però ancora imprecisati, e
quello su Roma Capitale, che però si limita in realtà solo agli aspetti
regolamentari e che perfino per questi rimanda l'attuazione alla definitiva
approvazione dei criteri di finanziamento e riparto per tutti i comuni. Tutto il
resto, compresa la famosa riforma della finanza comunale di cui si sono
ripetutamente riempite le pagine dei giornali, è in divenire, e aspetta il
definitivo accordo con gli enti locali e il passaggio nella commissione
parlamentare per essere approvata.
COME SI DEFINISCE IL COSTO STANDARD
Ma la vera
partita si gioca sulla finanza regionale e in particolare sulla definizione dei
costi standard nella sanità, la componente di gran lunga più rilevante della
spesa delle Regioni. Qui nonostante l'elaborazione di vari testi da parte del
governo, la situazione appare ancora in alto mare. Con l'ulteriore complicazione
che sui costi standard il conflitto non è solo tra governo e Regioni, ma tra le
stesse Regioni, con quelle del Nord e del Sud su posizioni opposte. Un conflitto
alimentato dalle varie forze politiche e gruppi di interesse che sul tema
divisivo del federalismo si stanno posizionando in vista della prossima
battaglia elettorale. Ma esattamente cosa propone il governo e quali sono i
punti di novità?
Il primo punto di novità è che non ci sono grandi novità.
In particolare, il sistema di definizione del fondo sanitario e i meccanismi di
riparto restano sostanzialmente quelli già in vigore da più di una decina di
anni. Paradossalmente, questo rappresenta una novità positiva; si è a lungo
vagheggiato di incomprensibili costi standard costruiti sui costi di produzione
in condizioni di efficienza di ciascuna prestazione, poi aggregati a livello
regionale e quindi nazionale. Realisticamente, ci si è resi conto che questo è
impossibile e comunque indesiderabile e si è adottato invece l'(attuale)
approccio macroeconomico, che vede la determinazione di un fabbisogno sanitario
nazionale (ora denominato fabbisogno standard), alla luce delle compatibilità
delle finanze pubbliche, fondo che viene ripartito tra le diverse Regioni.
L'unica rilevante differenza è che il decreto "dimentica" di precisare che il
fabbisogno sanitario nazionale deve essere definito sulla base non solo dei
vincoli di finanza pubblica, ma anche dell'assistenza da garantire, facendo così
un passo indietro rispetto alla situazione attuale. Si osservi che in
nell'approccio macroeconomico, i nuovi costi standard rappresentano in realtà
solo dei criteri di riparto.
Seconda novità-non novità, anche i nuovi costi
standard-criteri di riparto sono gli stessi già adottati in passato,
sostanzialmente la quota procapite pesata per l'età della popolazione. Solo che
in questo caso la "non novità" è negativa, perché l'utilizzo dei vecchi criteri
di riparto viene previsto in modo ancor più rozzo dell'attuale (sul 100 per
cento della spesa, anche quando i consumi sanitari sono indipendenti dall'età) e
perché non si tiene conto di altri criteri, quali l'indice di deprivazione
sociale, che una vasta letteratura ha dimostrato essere in grado di contribuire
a spiegare la variabilità del fabbisogno sanitario a parità di struttura per età
della popolazione. Si noti che l'adozione di questo criterio (anche solo al
margine) aiuterebbe a svelenire il clima, fondando una redistribuzione più
favorevole al Sud su basi scientifiche, invece di essere lasciato alla pura
intermediazione politica.
LE REGIONI BENCHMARK
Un terzo punto riguarda i
criteri per l'individuazione delle Regioni da usare come benchmark. Nell'ultima
versione emendata, il decreto ha introdotto due correttivi rispetto alle prime
bozze. In primo luogo, supera la precedente impostazione che limitava la scelta
alle sole Regioni in pareggio di bilancio e la rinvia invece a una intesa con la
Conferenza Stato-Regioni sulla base di criteri di qualità, appropriatezza ed
efficienza. Un ravvedimento importante che evita di considerare virtuosa una
Regione che taglia l'assistenza per chiudere i bilanci in equilibrio. In secondo
luogo, la nuova versione amplia il numero di Regioni benchmark a cinque, le
migliori sulla base dei criteri prima ricordati (ma che devono poi essere resi
operativi). Il rischio qui è che la ricerca di un compromesso finisca con
l'annacquare gli stimoli all'efficienza che il benchmark dovrebbe introdurre; è
evidente che tanto più aumenta il numero di Regioni considerate, tanto più il
parametro standard si avvicina alla media nazionale, che è quello che viene
utilizzato attualmente. C'è cioè il rischio che non cambi nulla.
Incomprensibile infine, e in netto contrasto con la stessa legge delega, il
fatto che il decreto non preveda alcun periodo di transizione dall'attuale spesa
storica al nuovo riparto definito sui costi standard. La dimenticanza sembra
fatta apposta per acuire il conflitto distributivo tra Regioni, con il rischio
che, siccome è inimmaginabile pensare che quelle più inefficienti possano
immediatamente raggiungere il benchmark, si finisca poi in sede di
contrattazione politica con l'annacquare il benchmark stesso.
In sostanza:
una innovazione ripetutamente annunciata come storica, ma che si limita a
cambiare il nome alla metodologia già da tempo adottata dal settore sanitario e
che, nella sua indeterminatezza, rischia di favorire la conflittualità fra le
Regioni e la discrezionalità della peggiore politica.
4 ottobre 2010