Fonte www.affaritaliani.libero.it - Il Terzo Settore rappresenta oggi per la nostra economia una leva anticrisi. Da solo, infatti, genera il 4,3% del Pil nazionale, vale 67 miliardi di euro, e dà lavoro a oltre 650.000 persone (+35% in 10 anni). Anche un'economia più orientata al sociale offre chance che non possiamo sottovalutare se vogliamo ritornare a crescere. Lo vediamo già nel mercato che premia chi investe in attività destinate al miglioramento della qualità della vita e dell'ambiente: il valore complessivo delle "buone pratiche" delle grandi aziende in Italia arriva, infatti, a superare il miliardo di euro.

Nonostante tutto questo, in una classifica mondiale, l'Italia si trova solo al 104° posto per filantropia e donazioni. Cosa ci impedisce di arrivare ad una svolta che permetta di valorizzare il welfare privato e l'imprenditoria sociale? Di esperienze, strumenti, strategie e reti che possiamo attivare ne abbiamo parlato in Bocconi con il viceministro Vittorio Grilli, Giovanni Valdotti, Francesco Perrini, Gordon Alexander, Enzo Manes, Alessandro Laterza, Thomas Pogge in occasione del convegno "Filantropia in tempo di crisi". Ne sono nati spunti interessanti, ma soprattutto un'esigenza condivisa: analizzare le best practices che Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna offrono in materia di imprese sociali e creare un modello italiano che ci permetta di superare una normativa che regolamenta le imprese sociali, ma non ne prevede lo sviluppo e l'autosussistenza.

Il D.Lgs. 155/2006 prevede l'obbligo di reinvestire il 100% del reddito di impresa. Ciò significa che il capitale non può essere remunerato. Nell'ottica di favorire l'attrazione di risorse a beneficio delle imprese sociali potrebbe essere utile, allora, intervenire sulla remunerazione almeno di una parte del capitale, sgravando lo Stato, che già conta su poche risorse, da una parte di spesa per il sociale. Un altro strumento, a mio avviso prezioso per la valorizzazione del welfare privato e di iniziative che generano occupazione promosse da soggetti considerati "svantaggiati" è il m icrocredito. Una pratica ancora poco diffusa in Italia ma già radicata con successo in Europa con 828milioni di euro erogati nel 2009 (ultimo dato disponibile).

Perché nel nostro Paese si sviluppi questo strumento di crescita occorre superare un gap normativo e concettuale che vede le IMF Italiane, organizzazioni deputate alla valutazione della fattibilità del progetto d'impresa, parte debole di un processo che richiede la presenza di un istituto di credito per l'erogazione del prestito e un'istituzione pubblica che offra garanzie.

Una conseguenza di questo modello triangolare è che la maggior parte delle IMF italiane sono associazioni, enti non profit e organizzazioni non governative che non sono in grado di essere economicamente sostenibili nel lungo periodo e necessitano di donazioni per finanziare le proprie attività. Abbiamo molto su cui lavorare. Ma gli esempi che arrivano dall'Europa e oltreoceano offrono già spunti interessanti per fare del privato sociale un agente di ripresa.

Articolo di Letizia Moratti - Presidente del Comitato Etico dei Garanti, progetti Ente Nazionale per il Microcredito - Fondazione San Patrignano

3 luglio 2012