Fonte www.superabile.it - Sulla possibilità, per le persone con disabilità, di ridurre il distanziamento sociale con operatori e assistenti”, prevista dall'articolo 9 del Dpcm 18 maggio, il dibattito continua. Dopo le osservazioni critiche di Pietro Barbieri e di alcuni caregiver familiari, abbiamo chiesto ad alcuni rappresentanti di associazioni di intervenire nel merito.

Speziale “attacchi clamorosi”

“La questione è controversa – premette Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas - In effetti ad una prima superficiale lettura si potrebbe obiettare, come qualcuno sta facendo, che era ed è del tutto ovvio che, anche prima di questa norma, mantenere il 'distanziamento di sicurezza' tra le persone con disabilità e non autosufficienti ed i loro assistenti personali, badanti, colf era, di fatto impraticabile. Ma le norme emanate in precedenza erano chiare sul punto? Nel caso di rifiuto da parte di un operatore di assistenza ad effettuare una prestazione o, peggio, di contenzioso derivante da risoluzione di rapporto di lavoro per tali motivi o, ancora, in presenza di contagi, quale sarebbe stata la norma a cui fare riferimento per sostenere che queste figure erano comunque tenute a garantire la loro prestazione, ovviamente dotati dei necessari dispositivi di protezione individuale ed adeguatamente istruiti sulle procedure per non incontrare loro stessi e non far incorrere in rischio di contagio le persone di cui si prendono cura e carico e loro familiari?”, domanda Speziale.
 
In questo senso, dunque, “il legislatore si sarebbe ora premurato di colmare un vuoto normativo, tutelando proprio le persone con disabilità e non autosufficienti nella doppia accezione di persone destinatarie delle necessarie attività di assistenza e datori di lavoro”. Speziale definisce dunque “clamorosi gli 'attacchi' a questo provvedimento proprio da parte di chi ne viene tutelato. Forse sarebbe stato più logico attendersi che a sollevare qualche dubbio fosse il personale di assistenza, che in forza di questa norma non può più opporre alcuna obiezione laddove, nell’esercizio delle proprie funzioni, fosse chiamato ad eseguire prestazioni senza il rispetto della prevista distanza di sicurezza”. Il dubbio resta piuttosto, secondo Speziale, in merito ad “ad analoghe fattispecie di prestazioni. Per esempio: i trasporti sui mezzi per disabili; le attività abilitative/riabilitative necessitanti ravvicinato contatto fisico; attività scolastiche e parascolastiche in presenza, allorquando le stesse saranno riattivate, etc. Per tutti questi motivi - conclude Speziale - l'Unità di crisi di Anffas nazionale sull’emergenza “Covid 19” sta predisponendo un apposito quesito agli uffici competenti, per aver meglio chiarita la effettiva portata di tale norma e i suoi ambiti di effettiva applicazione”.

Quel sarcasmo offende chi non vede

“Quelle parole di sarcastica ironia non suonano negative verso il governo, ma offensive, soprattutto verso migliaia di ciechi e ipovedenti che fanno del contatto fisico una necessità quotidiana per poter vivere, lavorare, studiare”. Così Mario Barbuto, presidente di Uici, replica alle osservazioni di chi critica l'articolo 9 del Dpcm. “Tutti noi, persone con disabilità, in queste settimane abbiamo fatto di necessità virtù e ci siamo adattati a vivere una condizione inaspettata e complicata – racconta - Abbiamo viaggiato avvalendoci dei nostri familiari come accompagnatori; abbiamo sopperito come si poteva alle esigenze materiali della vita di tutti i giorni. Molti di noi hanno continuato a recarsi sul posto di lavoro – ricorda Barbuto - e tra loro mi piace ricordare i tanti centralinisti telefonici ciechi che hanno voluto proseguire il loro servizio negli ospedali e nei centri di cura; numerosi dirigenti e volontari che hanno mantenuto aperte e operative molte nostre sedi sul territorio per offrire assistenza e primo soccorso alle persone più in difficoltà”.
 
Allora, “chissà quante volte siamo stati costretti a violare in queste settimane le regole sul distanziamento, senza che per questo ci si debba sentire autorizzati a perseverare nella violazione e farla divenire abitudine tollerata. Per non parlare del rischio di essere comunque multati o fermati per non aver rispettato la distanza obbligatoria”. Il problema dell'essere “fuori legge”, quindi, esisteva realmente: “Perché, si sono domandati migliaia di ciechi e ipovedenti su tutto il territorio, dovremmo costringere i nostri accompagnatori a violare la legge? - riferisce Barbuto - Perché dovremmo esporre a inutile rischio di sanzione le ragazze e i ragazzi del servizio civile universale, gli operatori dei servizi di assistenza ai viaggiatori con ridotta mobilità, i tanti volontari che ci affiancano e ci aiutano ogni giorno a svolgere innumerevoli funzioni personali e sociali come fare la spesa, recarci al lavoro, prendere autobus, treni, aerei, farci accompagnare a visite specialistiche e terapie continuative e tanto altro ancora?”.
 
L'articolo 9 è quindi per Barbuto “un dovere normativo, un atto di rispetto, un segno di civiltà che allinea, una volta tanto, la Legge alla pratica sociale e alla dignità individuale dei cittadini”, perché riconosce “ad accompagnatori e operatori di assistenza la possibilità di derogare al metro di distanza, laddove sia necessario e sempre con le protezioni previste, per svolgere al meglio le proprie prestazioni a supporto delle persone con disabilità”. Significa “adeguare la norma sul distanziamento alle esigenze sociali di larga parte di cittadini con disabilità”. Dure quindi le critiche a Barbieri, che “si autodenuncia come trasgressore delle norme sul distanziamento e ne ammette pertanto implicitamente l’inapplicabilità, ma afferma nello stesso tempo che averne definito meglio l’impiego sia stata operazione inutile” e “invoca legalità, sicurezza e protezione, ma sotto sotto pare sostenere che in mancanza si può anche vivere e sopravvivere in uno status di illegalità”.
 
Per Barbuto, “avere regolato in modo più chiaro, preciso e corretto l’applicazione delle norme sul distanziamento nel caso di persone con disabilità, secondo me risulta efficace e utile a risolvere innumerevoli situazioni pratiche della vita di tutti i giorni, senza provocare, violazioni, sanzioni, contestazioni, pur nella consapevolezza che rimangono aperti molti problemi che abbiamo sempre evidenziato in tutte le sedi istituzionali con rispetto, fermezza, onestà, coraggio”.

L'autismo pone grandi problemi, il decreto cerca di dare risposta

Invita alla cautela Benedetta Demartis, presidente nazionale di Angsa: “Per l'autismo la ripartenza in sicurezza sarà difficile. Se mi metto nei panni degli operatori che assistono i nostri ragazzi, mi rendo conto di quanto sia grande la loro responsabilità: se questi ragazzi non sanno tenere la mascherina, o la strappano dal viso dell'educatore, o tendono a scappare per strada e magari abbracciano qualcuno... Come si fa? Per noi non c'è una risposta facile. Mi sembra che il decreto cerchi, con tanta cautela, di facilitare le uscite e l'inizio dei trattamenti, ma è un'incognita grande. Abbiamo famiglie che non si fidano loro stesse a dare i figli in mano agli operatori perché sanno quanto sia difficile. Il problema c'è, per l'autismo è ancor più complicato. Lascerei passare questi primi momenti di riapertura: se non si alleggerisce il contagio, per i nostri non c'è risposta”.