Quando si parla di guerre, gravi disastri naturali, povertà estrema, raramente si pensa alle persone con disabilità ed alla situazione di maggior rischio che corrono rispetto agli altri cittadini.
Giunge alla nostra redazione l'accorato appello di una
mamma che ha a cuore la sorte dei bambini nati nei territori
palestinesi che, soprattutto in questi giorni, subiscono gravi violazioni
dei diritti umani a causa del conflitto in atto. La mancanza di corrente
elettrica in quei territori significa, tra le altre cose, l'impossibilità, oltre
che di soccorrere adeguatamente i feriti, di prestare le cure primarie
a bambini che necessitano di incubatrici e respiratori per evitare
l'aggravamento o l'insorgere di complicazioni che possono portare ad
una disabilità grave.
Si pensi, poi, alla disabilità permanente
causata, ad esempio, dalle mine antiuomo, da pratiche di tortura fisica e
psicologica, dalle critiche condizioni igieniche e scarsità di acqua e cibo,
dalla povertà che segue ad un conflitto. Lo stesso vale in situazioni di
disastri naturali come ad esempio è stato lo tsunami avvenuto qualche anno fa
nell'Oceano Indiano. ll salvataggio delle persone con disabilità non è
certamente stato tra le priorità di organizzazioni umanitarie o di eserciti
governativi, e ciò è dovuto, in parte, all'incapacità di prevedere ed affrontare
la questione. Purtroppo, però, tali situazioni sono spessissimo
causa di disabilità ed inoltre le persone con disabilità
sono, insieme ai bambini, destinate ad essere sempre tra le prime
vittime.
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con
disabilità, all'articolo 11 "situazioni di rischio ed emergenze
umanitarie", ci offre uno strumento normativo per il riconoscimento alla
protezione secondo la legislazione in materia di sicurezza: "Gli Stati Parti
adottano, in conformità agli obblighi derivanti dal diritto internazionale,
compreso il diritto internazionale umanitario e le norme internazionali sui
diritti umani, tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la
sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, incluse le
situazioni di conflitto armato, le emergenze umanitarie e le catastrofi
naturali ". In materia di protezione civile, ci viene in soccorso
l'art. 19 della Risoluzione del Parlamento Europeo del 4 settembre 2007 sulle
catastrofi naturali dove si "sottolinea la necessità di attribuire
un'attenzione particolare, in casi di catastrofi naturali, ai bisogni specifici
dei disabili in tutte le azioni intraprese utilizzando i meccanismi della
protezione civile ".
Questo significa che nel quadro di un conflitto
armato, gli aiuti umanitari devono, oltre che ad essere garantiti,
rivolgersi anche alle persone con disabilità a seconda delle loro esigenze e
capacità e che l'esercito occupante dovrebbe essere ritenuto responsabile della
cura delle persone con disabilità. Significa che in situazioni di catastrofi
naturali, le operazioni di salvataggio e strumenti di prevenzione (ad
esempio allarmi e vie di fuga) devono essere progettate per tutti, anche per le
persone con disabilità, basandosi sui principi di "Universal Design"
(secondo cui prodotti, ambienti e programmi devono poter essere utilizzati da
tutti senza apportare alcuna modifica, adattamento o esecuzione di un disegno ad
hoc). Significa che in situazioni di emergenza umanitaria (epidemie,
scarsità di cibo e acqua, costruzione di ospedali da campo ecc), gli aiuti
devono essere accessibili proprio a tutti, indipendentemente dalla condizione di
salute o dalla lontananza dai centri abitati. Significa, inoltre, che in
situazioni di povertà estrema (condizione di emergenza umanitaria
prorogata nel tempo), gli aiuti strutturali, anche economici, devono includere i
bisogni di tutti perché la disabilità causa povertà e certamente la povertà
causa disabilità.
Si tratta, in buona sostanza, di pari opportunità.
Opportunità di sopravvivenza.
Dell'argomento si parla progressivamente sempre di più, tanto che nel 2007 un gruppo costituito da rappresentanti della Protezione Civile, delle istituzioni italiane ed estere, di organizzazioni di persone con disabilità e non governative, ha licenziato quella che è stata chiamata la "Carta di Verona", un importante documento che sposta l'attenzione sul rispetto dei diritti umani e sui principi di non discriminazione e pari opportunità. Il documento tiene conto di tutte le operazioni, dalla progettazione all'implementazione passando per il pieno ed attivo coinvolgimento delle persone con disabilità nelle attività di pianificazione e ricerca di soluzione per la riduzione del rischio e l'intervento in caso di emergenza e include, cosa molto importante, la formazione degli operatori coinvolti in situazione di gestione del rischio e salvataggio.
Pubblichiamo di seguito il testo dell'appello, firmato Guiomar Parada, che ha fornito lo spunto per la stesura di questo articolo.
Anche se lo stop dell'attacco israeliano tenesse, anche se
Hamas smettesse di lanciare i razzi, anche se Israele ponesse fine
all'occupazione di Gaza e si arrivasse in futuro alla tanto agognata convivenza
pacifica, vi è una categoria di persone la cui vita è stata segnata per sempre
dall'attacco israeliano che è seguito al Natale: non mi riferisco ai bambini le
cui ferite guariranno pur restando traumatizzati, ma ai bambini nati in questi
giorni o feriti in maniera tale da aver subito danni irreversibili al sistema
nervoso. Chi scrive ha una figlia che per causa dell'imperizia dei medici e
della disattenzione dei pediatri oggi è una persona perfettamente cosciente che
vive in un corpo che le risponde quanto una gabbia. Un danno cerebrale alla
nascita può causare anche l'opposto: un corpo perfettamente funzionante con un
sistema cognitivo nullo… e tutti i toni del grigio in mezzo. Mia figlia è nata a
Roma dove non mancava l'elettricità, mente a Gaza l'elettricità per le
incubatrici e i respiratori dipende ed è dipesa da generatori di emergenza,
funzionanti a manetta secondo la disponibilità di carburante o nelle tre ore
forse di elettricità. Chiunque abbia visto in un neonato in incubatrice capisce
quanto bastino pochi minuti - e talvolta secondi – perché una persona passi
dall'avere davanti a sé un'esistenza "normale" ad averne una tra le più
difficili immaginabili.
Le cure per questi bambini sono efficaci se sono
tempestive – e già non lo sono state - ma possono comunque fare una differenza
se intraprese al più presto.
Lancio qui un accorato appello affinché il
governo israeliano, in quanto Paese occupante, si assuma il compito di aiutare
direttamente e indirettamente - consentendo alle organizzazioni umanitarie di
occuparsene subito - questi bambini già condannati a esistenze spaventose e a
sostenere i loro genitori.
Allevare un figlio disabile è un lavoro enorme,
anche quando si vive in un paese avanzato come l'Italia o Israele, che diventa
disumano e profondamente doloroso quando si vive in una zona del mondo
arretrata, o priva di risorse e accerchiata da un muro, come Gaza.
Non
voglio, come immagino nessuna persona degna di tal nome possa volere, rivedere
le immagini di un disabile che sta su una carriola (Bosnia) o di bambini
disabili legati ai letti e tra gli escrementi in istituti lager, testimoni del
fatto che al mondo una sottospecie umana c'è ancora.
Guiomar Parada
gadichild@gmail.com