Come più volte riportato anche qui sul nostro sito, il Governo è pronto a varare la riforma del Terzo Settore.

Fino al 13 giugno il Governo riceverà le osservazioni dei cittadini e delle organizzazioni. Dopo tale prima fase, ha già preannunciato di voler procedere a predisporre il disegno di legge delega che sarà approvato dal Consiglio dei Ministri il giorno 27 giugno 2014.

Anche Anffas Onlus ha partecipato alla consultazione, presentando il documento che di seguito vi riproponiamo in maniera integrale:


DOCUMENTO DI COMMENTO ANFFAS ONLUS
LINEE GUIDA PER UNA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Premessa
Prima di addentrarci nell'analisi e commenti del documento sul quale il Premier Matteo Renzi ha aperto una – seppur a nostro avviso forse un po' troppo rapida – consultazione, riteniamo importante sottolineare come dal punto di vista della nostra Associazione l'impianto complessivo esplicitato nelle linee guida sia condivisibile.
Ci soffermeremo pertanto su alcuni aspetti di sistema e di merito contenuti sia nella presente premessa che nei contributi su punti specifici del documento.
In via preliminare confermiamo che anche Anffas ritiene indispensabile e non più rinviabile realizzare una riforma del welfare ma questo non può prescindere dalla definizione di un nuovo modello di sviluppo socio-economico in chiave nazionale, europea ed internazionale.
Occorre infatti, prima ancora di entrare nel merito dei complessi aspetti giuridici e fiscali connessi alle diverse tipologie di soggetti "no-profit", che il Paese possa discutere delle finalità di questa riforma, partendo però, necessariamente, non dal "terzo settore che vorremmo", ma dal "Paese che vorremmo". Da tempo viviamo in una comunità disgregata che continua ad alimentare disuguaglianze (e quindi futuri conflitti). A fronte di ciò, il pensiero dominante in questi tempi di crisi è: dobbiamo dare maggiori servizi, ma con costi più bassi. Da qui, il ricorso al terzo settore, riconosciuto come il soggetto che meglio di altri può concorrere alla soluzione del problema. E' però evidente che quella soluzione non ha futuro, e al di là di una revisione/riforma del terzo settore più o meno riuscita, riteniamo sia necessario che il dibattito si concentri sui meccanismi sociali che generano esclusione, e non solo sugli strumenti (servizi, prestazioni, ecc.) per riparare o lenire le condizioni di tante, tantissime persone.
Occorre quindi ragionare sull'inclusione e la lotta alle discriminazioni ed alla inaccessibilità, e solo a questo punto sì, certamente, serve un "co-protagonista" (il Terzo Settore) con pari dignità rispetto agli altri settori che possa raccogliere la sfida e proporre strumenti, metodi, organizzazioni, ecc. Solo in questo contesto trova concreta attuazione l'affermazione contenuta nelle linee guida "Esiste un'Italia generosa e laboriosa che tutti i giorni opera silenziosamente per migliorare la qualità della vita delle persone. E' l'Italia del volontariato, della cooperazione sociale, dell'associazionismo no-profit, delle fondazioni e delle imprese sociali.
Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo."
Infatti, se si intende attuare una riforma del terzo settore, ma non ci si intende sulle finalità (e quindi sugli scenari sociali di cambiamento che si desidera raggiungere) crediamo che per quanto la riforma annunciata possa essere ambiziosa, estesa e puntigliosa saremo sempre molti passi indietro rispetto a ciò che oggi serve: un Terzo Settore che sappia esprimere al meglio le sue potenzialità, non in un contesto di vicariato della PP.AA, ma in un contesto di politiche inclusive che segnino marcatamente il cambio di prospettiva.
La crisi generale che stiamo vivendo non è infatti solo la crisi di un sistema di funzionamento dello sviluppo, ma è la crisi di un modello di sviluppo, e quindi anche del suo sistema di funzionamento e la sua incisività sul ruolo, la tenuta, lo sviluppo del Terzo Settore.
La riforma dovrebbe pertanto contribuire a creare le condizioni per garantire a tutti i cittadini rispetto dei diritti umani, pari opportunità, uguaglianza, dignità anche attraverso un sistema che su questi sia completamente imperniato, considerandoli i veri agenti per lo sviluppo.
A questo proposito desideriamo citare quanto sostenuto da Don Roberto Davanzo di CARITAS AMBROSIANA:
"Le misure messe in atto per fronteggiare la crisi che continua, e dalla quale siamo lungi dall'uscire, hanno fatto porre ripetutamente la questione dell'equità, cioè di quel modo di dare sostanza al concetto a volte astratto di uguaglianza e a quello di giustizia intesa come qualcosa in più che il rispetto della legge…..Già, perché il problema è proprio quello che da qualche parte bisogna cominciare a coltivare il gusto dell'onestà. E allora cominciamo noi, e allora comincia tu, comincio io! Alternative non ce ne sono. O meglio, l'alternativa è una società frantumata e frammentata, in balia di caste, lobby e gruppi di pressione. Il che sarebbe motivo di una duplice frustrazione. Una, più marginale, rispetto alla retorica dei 150 anni dell'unità d'Italia che abbiamo appena finito di celebrare. L'altra, ben più sostanziale, rispetto a quanto neppure le tanto sbandierate "radici cristiane" sono state capaci di produrre in termini di un sentimento di appartenenza ad uno stesso corpo sociale e non ad un'isola felice da godere senza gli altri o contro gli altri. "
In altre parole, dal nostro punto di vista ragionare di una riforma del Terzo Settore significa ragionare della pari dignità ed uguaglianza di tutti i cittadini e dei mezzi per garantirla - o meglio, forse, realizzarla - ed in altre parole ancora di rendere concreto in primo luogo l'art. 3 della nostra Costituzione , nel quale ritroviamo il concetto di sviluppo che ci piacerebbe vedere a fondamento dell'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Dopo questa premessa, entriamo nella parte di analisi critica e proposta, che abbiamo raccolto per punti:

1) ASSOCIAZIONI RICONOSCIUTE E NON RICONOSCIUTE
In base a quali criteri e requisiti un'organizzazione si colloca all'interno del Terzo Settore?
a) Onlus (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale): mentre la definizione di organizzazione non lucrativa è facilmente riscontrabile (divieto di distribuire utili) quali siano i criteri per qualificare l'utilità sociale non è allo stato ben definito né identificabile, né tantomeno risulta conducente a tal fine la semplice previsione nei fini statutari né la mera elencazione di cui all'art. 10 comma 1 lett. a del Dlgs n. 460/1997;
b) Associazioni di promozione sociale (L. 383/2000): questa forma giuridica, oltre a sovrapporre la già richiamata qualificazione di Onlus e quindi le medesime criticità di cui sopra, introduce l'obbligo di perseguire appunto fini di promozione sociale. Quali sono, nello specifico, i parametri relativamente alle concrete attività espletate e non già solo rispetto alle mere previsioni statutarie non è facilmente riscontrabile. Inoltre, non si comprende quali siano le differenze tra – appunto – associazioni di promozione sociale e associazioni con riconoscimento di evidente funzione sociale (quest'ultimo di fatto introdotto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali senza fonti normative di riferimento, né specifiche definizioni);
c) Associazioni di volontariato (L. 266/1991): anche in questo caso permangono le medesime criticità relativamente alla qualificazione di Onlus (tra l'altro prevedendo una specifica qualifica di Onlus di diritto). La sostanziale differenziazione risiede nella prevalenza di prestazioni volontarie, spontanee e gratuite da parte degli aderenti, con tutte le distorsioni che nella pratica attuazione spesso si registrano.
d) Cooperative sociali a mutualità prevalente e non: idem per quanto riguarda la qualificazione di Onlus. Si differenziano per l'utilità diretta che devono perseguire rispetto ai soci;
e) Fondazioni di origine bancaria e non, di partecipazione, di patrimonio e di gestione: hanno diritto, in presenza dei requisiti, ad essere riconosciute come Onlus e la particolarità di tali forme giuridiche risiede nell'assenza dei requisiti di democraticità;
f) Impresa sociale: soggetto ibrido, mai compiutamente disciplinato;
g) Enti di attività sportiva dilettantistica (art. 90 Legge 289/2002): possono essere sia associazioni sia cooperative e società di capitali costituite per svolgere attività sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, godendo di un ulteriore regime fiscale agevolato, già previsto dalla Legge n. 398/1991. Spesso le stesse si differenziano dalle altre qualificazioni giuridiche (onlus, associazioni senza scopo di lucro), tra di loro tutte eterogenee, solo per l'ambito di attività (sportivo) dichiarato come scopo statutario.

Si rende pertanto necessaria una legislazione organica del Terzo Settore che, pur tenendo fermo l'impianto normativo esistente, garantisca:

a) Una chiara identificazione dei soggetti appartenenti al Terzo Settore . A tal fine, appare condivisibile la definizione delle organizzazioni del Terzo Settore proposta dalla ex Agenzia delle Onlus, ovvero: "soggetti giuridici privati costituiti per fini di solidarietà sociale che svolgono senza fini di lucro attività congruenti alle finalità costitutive" così come tra l'altro ripreso negli spunti di riflessione predisposti dal Forum del Terzo Settore.
Anffas ritiene che si debba porre particolare attenzione al riconoscimento dell'apporto del volontariato dei familiari delle persone con disabilità alle attività associative nonché al ruolo dei caregivers familiari che qualificano di per se stessi i fini di solidarietà sociale ancorché di più stretta connotazione anche di mutuo aiuto, fermo restando la possibilità di rivolgere la propria attività alla generalità dei cittadini;
b) Che in tutte le forme associative siano rispettati i principi di democraticità e di partecipazione attiva al perseguimento dei fini sociali in situazioni di parità da parte di tutti gli associati .

2) CONSULTAZIONE O CONCERTAZIONE?
La concertazione, strumento basilare per la costruzione di percorsi di democrazia partecipata attraverso le libere forme di organizzazione aggregativa della Società Civile, ha assunto connotazioni negative a causa della distorta interpretazione di tale forma di relazione. La stessa, però, non può essere surrogata da forme di mera consultazione cara a chi male interpreta il dovere di amministrare, con il "diritto di comandare".
Pertanto, vanno preservate e rafforzate le forme di concertazione pur nell'ambito di meglio definiti tempi, modalità e livelli di rappresentanza nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale. A tal fine, occorre meglio definire anche i criteri di maggiore rappresentatività per evitare organismi pletorici scarsamente rappresentativi di interessi diffusi o collettivi o - peggio - di mera natura corporativistica. Per esempio, sarebbe importante ai fini della maggiore rappresentatività, far parte di associazioni, federazioni o reti di carattere nazionale. A tal fine rivedendo anche i criteri per la formazione ed aggiornamento di appositi registri locali, regionali e nazionali.

3) REQUISITI DI ACCREDITAMENTO STRUTTURE E SERVIZI E PROCEDURE DI AFFIDAMENTO
L'attuale sistema è caratterizzato da un'autentica "torre di Babele" attraverso modalità che si sono stratificate ed accavallate negli ultimi decenni e che rendono disomogeneo, oltre che incerto dal punto di vista delle fonti di diritto, l'attuale sistema.
Al centro va posta la persona destinataria degli interventi e servizi e non già il servizio stesso.
Per le persone con disabilità è necessario predisporre progetti personalizzati come previsto dall'art. 14 L. 328/2000. Negli stessi vanno indicati qualità, quantità ed intensità dei sostegni necessari per garantire pari opportunità e per contrastare ogni forma di discriminazione, nonché le verifiche periodiche sulle effettive ricadute in termini di miglioramento della Qualità della Vita delle persone destinatarie e della loro inclusione sociale.
Per tutti gli enti o soggetti giuridici iscritti negli appositi registri che si propongono quali erogatori del servizio stesso occorrerebbe prevedere trasparenti criteri di accreditamento che tengano conto soprattutto delle capacità operative e tecniche atte a mantenere o perseguire elevati standard di qualità. Gli enti del Terzo Settore non possono essere relegati al compito di divenire una forma più economica per garantire prestazioni, né partecipare a gare al massimo ribasso per i servizi alla persona.
Di contro, le persone nei confronti delle quali è stato redatto un progetto individuale non devono essere destinatarie di mera monetizzazione del proprio bisogno, ma essere dotate di un budget di progetto di vita idoneo a garantirne la piena inclusione nel proprio contesto sociale e familiare.
In tal senso andrebbe declinata la sperimentazione dei voucher, come sussidiari e non sostitutivi della rete dei servizi. La figura del case manager diviene in tal senso strategica.

4) IMPRESA SOCIALE
Sull'impresa sociale pur condividendo quanto esplicitato nelle linee guida si ritiene che sia necessario mantenere una netta distinzione tra mondo del non profit, del profit e del for profit.
Allo stesso tempo, si auspica una chiara definizione normativa di tale tipologia di ente ad oggi rimasta in un ambito di assoluta ambiguità.
A tal fine, sarebbe importante meglio comprendere cosa il Governo voglia dire e fare quando prevede nelle sue linee guida la promozione del Fondo per le Imprese Sociali e il sostentamento della rete di finanza etica.
Altrettanta attenzione andrebbe posta nel meglio definire il ruolo delle Fondazioni di origine bancaria e dei centri servizi per il volontariato.

5) SERVIZIO CIVILE UNIVERSALE
Fermo restando che in senso stretto poca attinenza si riscontra nella prevista riforma del terzo settore, se non in relazione ai potenziali ambiti di allocazione dei giovani in servizio civile, si condivide che lo stesso vada comunque visto in chiave europea ed internazionale, oltre che nazionale, che sia un'opportunità per tutti i giovani con l'attenzione affinché possano esservi programmi personalizzati di impegno sociale. Per Anffas sarebbe auspicabile che vi sia una specifica previsione di quote di riserva affinché possano accedervi anche i giovani con disabilità (compresi quelli con disabilità intellettiva e/o relazionale) previa specifica progettualità che ne valorizzi abilità e competenze, garantendone la concreta partecipazione.

6) SOSTEGNO ECONOMICO PUBBLICO E PRIVATO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE
Si condivide il fatto che gli enti del Terzo Settore destinatari di risorse pubbliche e/o private debbano in primis garantire piena trasparenza dei bilanci ed eticità nei propri comportamenti. Di contro, gli stessi enti, soprattutto se gestiscono servizi in regime di convenzione, accreditamento o affidamento, progetti, etc, devono poter disporre delle risorse necessarie a retribuire l'eventuale personale dipendente, nel rispetto dei contratti di lavoro applicati, poter adempiere a tutti gli obblighi fiscali e normativi e quant'altro necessario alla gestione stessa.
Di fatto, gli enti del Terzo Settore non vanno mai utilizzati - né tantomeno gli stessi dovrebbero prestarvisi – per effettuare prestazioni e servizi con il semplice scopo di costare meno rispetto a quanto diversamente l'Ente pubblico dovrebbe sostenere.
In tale contesto, le eventuali risorse provenienti da raccolta fondi vanno intese come aggiuntive per garantire prioritariamente ricerca, sviluppo ed ampliamento dei servizi.
A tal fine l'utilizzo dei Fondi Strutturali Europei diviene strategico. Anffas propone che si provveda a garantire pari opportunità di accesso a tutti gli enti del Terzo Settore a tali fondi anche attraverso uffici territoriali a ciò dedicati ed adeguatamente formati, fermo restando il primario ruolo degli enti maggiormente rappresentativi nei tavoli di programmazione.

7) VALORIZZARE IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ VERTICALE E ORIZZONTALE
7.1. IN GENERALE SULLA L.328/2000:
più che di revisione della L.328/2000 occorrerebbe parlare di dare corso alla sua piena attuazione, con particolare riferimento alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, al rifinanziamento – in misura adeguata ai bisogni – dei Fondi Nazionali Politiche Sociali e Non Autosufficienza (con una netta separazione tra persone anziane e persone con disabilità, queste ultime maggiormente esposte, per una serie di fattori ed il permanere di discriminazioni, a maggior rischio povertà) alla creazione delle condizioni professionali e organizzative affinché l'art. 14 divenga prassi diffusa e corrente, alla riforma dell'intero comparto dei criteri di accertamento e verifica dell'invalidità civile, stato di handicap e disabilità. In relazione ad alcuni aspetti affrontati dalla L.328/2000, occorrerebbe anche una accelerazione delle riforme istituzionali inerenti i piccoli Comuni e l'obbligatorietà di programmare e gestire in forma associata le politiche sociali territoriali.

7.2. NELLO SPECIFICO DEL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ:
Le Linee Guida propongono una serie di misure che, prese una per una, non si prestano ad aprioristiche valutazioni negative o positive. Sembrerebbe però di capire che l'idea che sottende questo passaggio è, in buona sostanza, la necessità di semplificare i sistemi degli accreditamenti e, soprattutto, avvicinare e rendere più facile e diretto il rapporto cittadino-utente/soggetto erogatore. Che ciascuna delle ipotesi accennate nelle Linee Guida possa rivelarsi utile/necessaria non vi è dubbio, ma di per sé, e in coerenza con quanto indicato in premessa, quando si invoca il principio di sussidiarietà occorrerebbe intendersi sui modi (sui tanti modi) attraverso i quali una Comunità (un quartiere, un Comune, ecc.) intenda promuovere/preservare il bene comune e l'inclusione. Il problema insomma non è "solo" una semplificazione o una incentivazione dello spostamento dell'agire dalla PP.AA. al Terzo Settore, ma una radicale revisione del welfare, partendo dai territori, promuovendo la co-progettazione e il partenariato tra Pubblico e Privato. In particolare, poi, circa l'utilizzo di alcuni strumenti previsti nelle Linee Guida, (p.e. voucher) riteniamo, come sopra detto, sia necessario collocarne l'utilizzo nell'ambito di uno specifico e condiviso "ambiente" progettuale e di attuazione degli interventi (presa in carico), ancora scarsamente definito e precisato.

9 giugno 2014

Per saperne di più

Vai alla pagina dedicata alla riforma del terzo settore sul sito del Governo

Leggi le nostre precendenti news:

RIFORMA TERZO SETTORE: PLAUSO CON DISTINGUO

ECCO COME È NATA LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

BENE LE LINEE GUIDA DI RENZI PER IL TERZO SETTORE

TERZO SETTORE, ECCO LA RIFORMA RENZI

Leggi l'articolo "Riforma terzo settore. Documento assessori welfare"