Fonte www.superabile.it - "Per la sinistra la disabilità è roba da boyscout e Dame di San Vincenzo: è per questo che le famiglie sentono la necessità di uscire allo scoperto e tutelarsi da sole": riflette così, Giovanni Maria Bellu, giornalista (ex Repubblica e l'Unità), direttore del settimanale Left e papà di Ludovico, il ragazzo sulla copertina del numero della rivista uscito sabato. "Un vero ragazzino autistico", come lo definisce, replicando al polemico appellativo rivolto da Corradino Mineo a Metteo Renzi nelle scorse settimane.

E proprio sulla scia della discussione aperta da quella infelice uscita, Bellu e la sua redazione hanno deciso di dedicare un numero all'autismo, con l'editoriale di Bellu su "I bei tempi dello scemo del paese" e gli articoli di Gianluca Nicoletti, Ileana Argentin, Tiziana Barillà, Donatella Coccoli e Simona Maggiorelli.

Ma da dove sorge questa necessità di "uscire allo scoperto" da parte di genitori che, come Nicoletti, Verga e tanti altri, decidono di raccontare la propria situazione?

Nasce dal fatto che la politica è totalmente assente rispetto a questo tema: il merito di Mineo è stato di svelare questa verità in modo lampante. Io parto anche dalla prospettiva del settimanale che dirigo, che si chiama "Left": sono anni che la sinistra ragiona su quali siano i suoi referenti sociali, dal ceto medio impoverito alla classe operaia scomparsa. Intanto, però, c'è un'enorme categoria di deboli di cui non si interessa, quella dei disabili: come se l'handicap fosse una questione per boyscout e Dame della carità. E' per questo che le persone direttamente coinvolte si tutelano da sole: e nascono così libri come quello di Nicoletti. La mia idea di dedicare questo numero all'autismo, mettendo mio figlio in copertina, è dentro questa logica: è un modo per denunciare che le famiglie devono combattere a mani nude, indipendentemente dalla politica. Lo dimostra il fatto che una grande rassicurazione sta arrivando, in questo momento, dalla consapevolezza che alcune cose si stanno sbloccando, o si sbloccheranno: la non rivedibilità per i minori, per esempio.

Ma questa rassicurazione deriva dal fatto che Davide Faraone, responsabile Welfare del Pd, ha una figlia autistica! E' l'ennesima prova del fatto che tutto dipenda dalla famiglia, molto più che dalle istituzioni...

Non ritiene che lo stesso atteggiamento caratterizzi la comunicazione? L'autismo e la disabilità in genere continuano ad essere temi marginali anche rispetto ad altre questioni sociali

Sì, la questione si pone in modo simile: anche nella comunicazione, una maggiore sensibilità non corrisponde al fatto che si appartenga una certa scuola o a una certa visione del giornalismo. Piuttosto, occuparsi di queste tematiche deriva dal fatto di avere un coinvolgimento diretto. Questa scarsa attenzione verso la disabilità, anche da parte della stessa informazione sociale, discende dalla scarsa attenzione della politica, la quale detta l'agenda. Ma entrambe le agende, quella dell'informazione e quella della politica, sono dettate dalla mancanza di cultura dei diritti: non si considera cioè come principio base il rispetto della dignità umana, che viene ancora prima di quello di uguaglianza. In mancanza di una cultura dei diritti, occuparsi di deboli viene collocato nell'ambito di attività caritatevoli. E per questo la stessa sinistra accetta di delegare la questione alle associazioni cattoliche.

Anche a livello di associazionismo, però, le famiglie si stanno sempre più attivando: accanto alle associazioni cattoliche, fioriscono ogni giorno, anche grazie alla rete e ai social network, associazioni di genitori...

Sì, è vero, ma questo crescere è l'ennesima dimostrazione del fatto che istituzioni e politica sono assenti. E' segno di vitalità, ma anche frutto di una mancanza. Preferirei meno associazioni e più istituzioni.

Quale dovrebbe essere la priorità delle istituzioni, in materia di autismo?

Innanzitutto, prendere in considerazione il dato di fatto che l'autismo non è una malattia dell'infanzia. In secondo luogo, è urgente trovare e creare, in accordo con le associazioni e gli operatori, delle strutture che consentano alle famiglie di vivere. Io sono un caso fortunato ma una buona parte del tempo del mio lavoro è dedicata a pagarmi la possibilità di lavorare. Ci sono famiglie completamente schiacciate dalla propria situazione: è necessario quindi aprire strutture che rispondano a questo bisogno. C'è poi la grande questione del "dopo di noi": ogni genitore noi pensa al "dopo di sé" in termini di disponibilità economica e rete familiare. Queste due condizioni, però, anche qualora fossero ottimali, non bastano, senza la garanzia di una società civile per i nostri figli. Ed è quella di cui tutti sentiamo la necessità.

30 giugno 2014