Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Maurizio Nicosia, presidente Anffas Onlus Caltanissetta

"Mi dispiace moltissimo che di un dramma familiare si faccia uso strumentale e talvolta anche cinicamente economico. Mi dispiace trattare la morte di un Giovane come fosse un caso clinico su cui studiare cause ed effetti per la ricerca di un antidoto che lenisca la piaga di una malattia che ormai ha irreversibilmente preso questa società malata che, comunque, abbiamo il dovere di curare: l'indifferenza.

Chiedo umilmente scusa alla famiglia Cucchi se mi permetto di fare un accostamento tra ciò che è successo al caro Stefano e ciò che succede a tantissime persone con disabilità costrette a vivere in questo strano mondo che di umano conserva ancora pochissimo.

La droga, si sa, porta tanto male e nello stesso tempo tantissimi soldi. Chi cade nelle sue grinfie, nella maggior parte dei casi, è semplicemente vittima di un sistema sociosanitario, sociale, culturale ed economico, che non si cura altro che delle conseguenze che questa stramaledetta sostanza produce. Molti ragazzi non hanno alcuna consapevolezza delle scelte che fanno e del male che si procurano. Molti di loro (non importa se ricchi o poveri) vivono con difficoltà la propria esistenza e spesso, invece di farla finita con la vita (cosa da scongiurare perché la soluzione del problema non è nella morte) scelgono la strada sbagliata dell'abbandono, della deriva, della rovina. Ma questi tantissimi ragazzi sono solamente delle vittime di questo assurdo sistema.

Stefano è l'ultima vittima di questo Stato/carnefice. Sapete quante persone fragili, tra cui quelle con disabilità, vengono ogni giorno maltrattate e discriminate, in barba all'ordinamento di questo Stato, alle leggi europee e alle convenzioni internazionali!

Più volte illustri rappresentanti dei governi hanno detto senza reticenze che loro, le persone con disabilità, sono un "peso sociale". Non è un caso che quando si deve tagliare qualcosa della spesa pubblica, si comincia da quella sociale, ossia dalle persone fragili, da quelle più deboli e per ciò stesso più indifese.

Guardiamoci intorno e troveremo ospedali dove le persone anziane non hanno alcun diritto di cittadinanza, dove i malati cronici non vengono neanche assistiti, scuole dove i servizi complementari all'insegnamento non vengono resi agli alunni con disabilità negando così il diritto all'istruzione, carceri dove regna la disumanità e non per colpa di chi vi lavora in condizioni di estrema precarietà, giustizia accessibile solo a chi può permetterselo, servizi sociali miserevoli, e potremmo continuare all'infinito ad elencare le storture.

Qualcuno si è macchiato del delitto di Stefano ma questa vecchia abitudine si trascina da sempre e mi chiedo a cosa serva allo Stato Italiano legiferare per la tutela dei cittadini se poi le leggi vengono impunemente infrante proprio dalle Istituzioni?!

Bisogna uscire dal silenzio che ci isola dal resto del mondo. Bisogna avere il coraggio di reagire, insieme, senza pregiudizi ma pure senza le solite reticenze. Dentro le Istituzioni, a tutti i livelli, vi sono persone con le quali dialogare costruttivamente, ma dobbiamo imparare a seguire meglio le vie della democrazia. Essa ci offre strumenti formidabili di valutazione e di giudizio. SI tratta di usarli nel modo più civile e giusto possibile. Si tratta di non cercare compromessi e di pretendere giustizia ogni volta che essa viene negata. Si tratta di urlare, forze permettendo, il disagio e lo sdegno evitando di chiudersi omertosamente in quel silenzio che nutre solamente i disonesti. Stefano e la sua famiglia ci stanno insegnando che bisogna andare alla ricerca della verità e delle responsabilità senza guardare in faccia nessuno . Il grande popolo della disabilità e della fragilità deve imparare questa lezione.

Smettiamola di piangerci addosso e cerchiamo le forme di protesta più civili, e ve ne sono tante, per far valere i nostri sacrosanti diritti. Chiedo ancora scusa alla Famiglia Cucchi. Stefano aveva il diritto di vivere la sua vita e qualcuno gliel'ha negato. Tante persone fragili e con disabilità hanno il diritto di vivere dignitosamente la propria esistenza e lo Stato glielo nega. Ebbene, se questo è lo Sato, possiamo dire che esso non ci rappresenta?

Possiamo agire e interagire per modificare civilmente queste assurde discriminazioni? Io credo proprio di si. Credo che sia giunto il momento. Parliamone immediatamente".

6 novembre 2014