Fonte www.personaedanno.it - Con sentenza 26 marzo 2015, C-316/13, la Corte europea di giustizia si è pronunciata sul rapporto intercorrente tra una persona con disabilità impiegata in un centro di inserimento lavorativo (in Francia) e il centro medesimo. In Francia, i centri di aiuto attraverso il lavoro (centres d’aide par le travail: “CAT”) erano strutture di accoglienza di persone con disabilità di tipo medico‑sociale prive di scopo di lucro, la cui funzione era descritta all’articolo L. 344‑2 del code de l’action sociale et des familles (codice dell’azione sociale e delle famiglie). Tali centri si proponevano di accogliere gli adolescenti e gli adulti con disabilità che non possono, temporaneamente o permanentemente, lavorare nelle normali imprese né in un laboratorio protetto o per conto di un centro di distribuzione di lavoro a domicilio, né esercitare un’attività professionale indipendente. Detti CAT offrivano la possibilità di svolgere diverse attività di carattere professionale, un sostegno medico-sociale ed educativo e un ambiente di vita tale da favorirne lo sviluppo personale e l’integrazione sociale. L’apertura di tali centri era soggetta ad autorizzazione, sotto il controllo dello Stato.

La persona con disabilità, la cui capacità lavorativa doveva essere, in linea di principio, inferiore a un terzo della capacità normale, era ammessa in un CAT su decisione di una commissione. Tale persona si vedeva versare un reddito garantito proveniente dal suo lavoro senza che, tuttavia, il calcolo della retribuzione fosse basato sul numero di ore lavorate. Tale reddito garantito era ciononostante reputato espressamente una «retribuzione» del lavoro ai sensi dell’articolo L. 242‑1 del code de la sécurité sociale (codice della previdenza sociale) . Per contro, le sole disposizioni del codice del lavoro francese applicabili alle persone disabili soggiornanti in un CAT erano quelle relative all’igiene e alla sicurezza sul lavoro.

A partire dal 2002, i CAT sono stati sostituiti da istituti e servizi di aiuto tramite il lavoro (ESAT), ma i centri già esistenti hanno conservato la loro denominazione di CAT. La Repubblica francese ne conta attualmente quasi 1 400, i quali accolgono più di 110 000 persone. Il contesto normativo della loro azione è stato definito in maniera un po’ più specifica nel 2007, restando tuttavia sostanzialmente lo stesso.

Tali CAT pagano oneri sociali sulle retribuzioni versate alle persone disabili e su tali retribuzioni vengono prelevati contributi per l’assicurazione malattia, l’assicurazione per la pensione di vecchiaia e la formazione professionale. Per contro, poiché nel diritto francese esse non sono considerate dipendenti, e poiché i direttori dei CAT non possono licenziarle, le persone disabili che soggiornano nei CAT non contribuiscono all’assicurazione contro la disoccupazione. Prima del 2007, nessuna disposizione prevedeva il diritto alle ferie annuali retribuite per le persone che soggiornano in un CAT; suddetto diritto dipendeva dunque dalla buona volontà di ciascun CAT. A partire dal 1° gennaio 2007, l’articolo R. 243‑11 del codice dell’azione sociale e delle famiglie prevede espressamente il diritto alle ferie annuali retribuite delle persone con disabilità che soggiornano in un ESAT.

In questo quadro normativo, si colloca la causa sottoposta al vaglio della Corte UE. Già l’avvocato generale nelle proprie conclusioni presentate il 12 giugno 2014 aveva sottolineato che, in particolare alla luce dell’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, una persona ammessa in un centro di aiuto attraverso il lavoro può, in linea di principio, può essere qualificata alla stregua di un “lavoratore”. Conseguentemente, in quanto lavoratore, alla persona con disabilità può spettare il riconoscimento dell’indennità per ferie. I giudici di Lussemburgo hanno confermato le conclusioni dell’avvocato generale ribadendo che:

1. la persona con disabilità svolgeva la propria attività sotto la direzione della struttura non profit risultando così evidente che essa era inquadrato nella struttura organizzativa ed aveva ottenuto una remunerazione anche se al di sotto del salario minimo garantito in Francia;

2. tale condizione non vale ad escludere che la persona con disabilità sia riconducibile alla qualificazione di “lavoratore”;

3. la produttività più o meno elevata, l’origine delle risorse che consentono di concedere una remunerazione o il suo carattere limitato non possono essere considerati elementi in grado di incidere sulla qualificazione di lavoratore;

4. anche se si tratta di attività riservate a talune categorie di persone (nel caso di specie persone con disabilità) esse non rivestono un carattere di marginalità o accessorietà e presentano un certo livello di utilità economica;

5. l’organizzazione non profit remunera solo le persone abili al lavoro chiamate poi a svolgere specifiche attività all’interno del centro gestito dall’organizzazione medesima. A ciò si aggiunga, soprattutto per la portata incidente sul livelli essenziali delle prestazioni implicate nel caso in esame, che la Corte UE ha inteso riconoscere una specifica valenza cogente alle previsioni dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Benché quest’ultima non possa essere invocata nel caso di specie in quanto ratione temporis quest’ultimo è precedente all’entrata in vigore della Carta, i giudici lussemburghesi hanno richiamato la nozione di lavoratore in essa contenuta. Infine, la Corte indica al giudice nazionale la modalità con cui procedere all’applicazione del diritto dell’Unione considerando che, nei casi in cui il diritto nazionale non può essere interpretato in modo conforme al diritto dell’Unione e, quindi, nel caso di specie, all’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, la norma non può essere applicata in una controversia tra privati.

Da ciò consegue che al ricorrente è riconosciuto il diritto di agire per vedersi riconosciuto il risarcimento del danno subito a causa della non applicazione del diritto euro unitario da parte dello Stato membro interessato, con la conseguenza di far valere la responsabilità degli Stati membri dinanzi ai giudici nazionali.

16 aprile 2015