fonte personecondisabilità.it - Al via i bandi comunali per l'implementazione dei progetti previsti dalla Legge sul "Dopo di noi". Tante opportunità ma anche qualche rischio. Il punto di partenza non può che essere il progetto di vita della persona con disabilità.

Ci siamo. Il conto alla rovescia per l'avvio dei primi progetti targati "Legge 112" è formalmente iniziato. Entro la fine di ottobre i comuni lombardi dovranno raccogliere le domande e le progettualità di persone con disabilità, familiari, amministratori di sostegno, enti di terzo settore, associazioni per accedere ai sostegni previsti dalla DGR 6674/2017 (Programma operativo regionale per la realizzazione degli interventi a favore di persone con disabilità grave prive del sostegno familiare – dopo di noi – Legge n. 112/2016).

Sono giorni intensi in cui i responsabili degli Uffici di Piano, delle ASST, delle amministrazioni comunali e i referenti delle associazioni e degli altri enti di terzo settore si interrogano su come tradurre in pratica quanto previsto dalla Legge nazionale e dalle indicazioni regionali. Per quanto ci riguarda, abbiamo assunto un atteggiamento positivo nei confronti delle opportunità rappresentate dal programma operativo regionale, indipendentemente dalle perplessità che la norma ha suscitato, a partire dall'inadeguatezza delle risorse disponibili, soprattutto se messe a confronto con la platea dei potenziali destinatari che l'ISTAT espose in sede di audizione parlamentare [1].
Atteggiamento positivo sia in ordine ai contenuti che in relazione a quanto percepito in occasione di numerosi incontri avuti per la definizione degli avvisi territoriali. In ordine ai contenuti:

la L.112/2016 e il successivo decreto attuativo hanno finalmente collocato il progetto individuale (ai sensi dell'art. 14 L.328/2000) come fattore fondamentale e preminente nel processo di accesso e definizione dei sostegni. Anzi, i contenuti di quanto previsto dall'art. 14 L.328/2000 sono stati significativamente arricchiti: l'introduzione del concetto di budget di progetto, la valutazione in fase iniziale coerente con ICF e orientata al costrutto della qualità della vita, l'attivazione della funzione del case manager, la promozione di prassi e strumenti finalizzati al massimo coinvolgimento possibile della persona. Il fatto che la DGR 6674/2017 abbia ripreso tutto ciò costituisce per noi un elemento di grande interesse spesso condiviso dalle territoriali realtà sin qui incontrate.

La sperimentazione di una novità di tale portata, rende necessario compiere percorsi comuni di formazione e approfondimento, finalizzati alla conoscenza e utilizzo di strumenti e metodi coerenti e utili al raggiungimento delle finalità della norma, ma – noi ci auguriamo – anche alla "contaminazione" dell'intero sistema di presa in carico regionale. Percorsi formativi che in alcuni casi sono già stati immaginati in alcuni ambiti Territoriali, centrati sugli aspetti della valutazione multidimensionale, raccogliendo interesse e disponibilità a integrare quanto indicati nel programma operativo regionale (ADL e IADL) con altri approcci e strumenti (p.e. P.O.S – Personal OutcomeS Scale).

Questa prima tornata di avvisi territoriali produrrà qualche centinaio di progetti individuali, scritti e impostati con il coinvolgimento della persona con disabilità. Decine di operatori pubblici si sperimenteranno nel ruolo di case manager, affrontando i temi non solo del coordinamento delle azioni, ma, di fatto, un ruolo di interfaccia diretto con la persona, i suoi familiari e/o chi esercita la protezione giuridica. Il complesso sistema delle compatibilità/incompatibilità/integrazioni con le altre misure oggi attive (B1, B2, reddito di autonomia, progetti per la vita indipendente) e con quelle che si attiveranno (prima fra tutte il reddito di inclusione) rende evidente la necessità di impostare l'individuazione e l'erogazione dei sostegni in forma integrata. Sollecita anche l'intero sistema a compiere valutazioni di esito che restituiscano dati e conoscenze rispetto all'efficacia dei sostegni impiegati ed, eventualmente, alla loro revisione. Infine, si inizierà a sperimentare e a utilizzare la modalità del budget di progetto, che impegnerà tutti i protagonisti del progetto individuale a utilizzare tutte le risorse disponibili e attivabili, comprese quindi quelle delle persone e quelle comunitarie.
Avremo insomma un intero anno (il 2018) che ci farà capire non solo quante domande/progetti perverranno, ma come avrà funzionato il sistema nel suo complesso e per condividere azioni di miglioramento: Riflessioni e azioni  che ci auguriamo possano influire positivamente sul funzionamento del sistema regionale di presa in carico, rispetto al quale da tempo avvertiamo disagi crescenti, soprattutto in ordine all'attuazione di parti fondamentali della riforma sociosanitaria – cronicità e fragilità – e alla mancata sinergia, almeno sino ad oggi, dei due Assessorati di riferimento.

Cosa sta accadendo nei territori? Opportunità e rischi che si stanno riscontrando

Molti Ambiti Sociali stanno dimostrando un forte interesse verso le prospettive che l'attuazione della Legge 112 potrebbe aprire, andando ben oltre il semplice adempimento amministrativo. Tanti Ambiti sin qui incontrati hanno compiuto la rilevazione non solo delle progettualità in essere e di quelle in via di attuazione, ma anche delle persone con disabilità che, sulla base degli indicatori di priorità indicati da Regione Lombardia, potrebbero essere beneficiarie dei sostegni previsti. Una sorta di "banca dati L.112" che, se gestita in modo dinamico e costante, potrebbe contribuire a dimensionare le necessità e quindi le risorse da immettere nel sistema[2]. E ancora. Le indicazioni regionali di considerare indicativa l'allocazione delle risorse nei due macro ambiti (gestionale e infrastrutturale) è stata raccolta da molti Uffici di Piano, che hanno non solo inserito una clausola di flessibilità (in relazione alle effettive richieste), ma spostando maggiori risorse su uno dei due macro ambiti in relazione alle rilevazioni condotte e quindi alle specificità territoriali. Tutto ciò non significa considerare lo scenario offerto dalla L.112/2016  e dal programma operativo regionale privo di timori, incertezze e rischi.

In questo contesto è possibile, che prevalga un approccio che miri a identificare le persone "meritevoli" di questo supporto tra quelle che oggi non vedono risposte adeguate alle loro condizioni nel menù di servizi previsti dalla normativa regionale. Seguendo anche lo spirito delle indicazioni regionali è probabile che si presentino dei bandi il cui obiettivo sia quello di favorire la presentazione di richieste da parte di persone con disabilità ovviamente in possesso della certificazione di grave disabilità prevista dalla Legge 112, ma in una situazione non così complessa da poter pensare ad un inserimento nelle attuale Unità di Offerta residenziali (Comunità alloggio, Comunità Sociosanitaria, Residenza Sanitaria). Per raggiungere questo obiettivo, il vero processo di selezione sarà quindi demandato alla Unità di Valutazione Multidisciplinare, che dovrà indicare a quali tra i richiedenti dare la priorità. Un processo che avrà quindi come esito, per nulla disprezzabile, di dare risposta ai bisogni abitativi di circa 600 persone con disabilità in più rispetto ad oggi in nuove Unità di offerta chiamate microcomunità, gruppi appartamento o co-housing.

Grazie alla Legge 112 la Regione Lombardia potrebbe quindi nei fatti inserire nella sua filiera di servizi una offerta in più, oggi mancante. Una offerta che vada a collocarsi a metà strada tra i servizi domiciliari a supporto della "abitare in famiglia" o della "vita autonoma" (vivere da soli) e il sistema delle comunità alloggio o sociosanitarie. Tutto bene. Ma così facendo non avremo affrontato nessuno dei nodi che oggi affliggono il nostro sistema di welfare sociale per le persone con disabilità, ovvero quello della sua adeguatezza e della sua sostenibilità. Adeguatezza ai bisogni e diritti delle persone con disabilità. Sostenibilità economica nel lungo periodo.

Il modello che potrebbe uscire da questa modalità di implementazione della L.112/2016 non metterebbe in discussione il funzionamento attuale dei servizi ad alta protezione ma si "limiterebbe" a prevenire quelli che vengono definiti come "ricoveri impropri". Il "Dopo di noi" da problema delle famiglie o prospettiva di cambiamento dei servizi per l'abitare sarebbe così destinato a diventare una etichetta che descrive l'ennesima tipologia di servizio. Non è un caso che in queste settimane in tanti abbiamo sentito questa espressione: "stiamo per aprire un Dopo di noi". In questo contesto il fatto che, ad esempio, anche una persona con disabilità considerata "grave" abbia diritto a vivere nella società e ad evitare di essere vittima di segregazione (come prescrive la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) non viene considerato come rilevante. Una scelta "pragmatica" alcuni direbbero realista, in confronto a indicazioni che provenendo dal mondo delle associazioni o dai grandi organismi internazionali (OMS, ONU) sono state considerate per lungo tempo velleitarie, visionarie e quindi pericolose. Pragmatismo e realismo che ha contraddistinto la formazione dell'attuale filiera dei servizi residenziali per le persone con disabilità nella nostra Regione. Pragmatismo e realismo che hanno permesso la costruzione di un modello di intervento che, alla lunga, si sta rilevando insostenibile. Infatti arrendendosi di fronte alla presunta evidenza che una persona con grave disabilità avrà bisogno per tutta la vita di vivere in un servizio ad alta protezione, è stata creata la necessità di moltiplicare nel tempo il numero di "posti letto": il numero di persone con disabilità che non in grado di "andare a vivere da sola" non sembra infatti diminuire mentre nello stesso tempo le aspettative di vita delle persone con disabilità tendono ad aumentare. Risultato: i "posti" in CSS e RSD saranno sempre destinati a saturarsi.

Lo stesso destino potrebbe essere riservato alle nuove realtà che nasceranno con il "Dopo di noi": se prevarrà l'inerzia saranno finanziati 600 progetti di vita all'interno di circa 150 micro servizi che avranno bisogno di essere sostenuti per i prossimi decenni. Chi verrà dopo avrà, più o meno, le stesse difficoltà a trovare una soluzione di adesso alle sue esigenze abitative a meno che le risorse non aumentino progressivamente con l'aumentare dei bisogni. Si innesta qui, sul piano delle risorse, l'ulteriore sfida e scommessa che tutti quanti dobbiamo raccogliere e giocare. Le risorse della L.112/2016  da sole non bastano, ci siamo sempre detti, e ritenendo utopistico, in questa fase, pensare che le risorse pubbliche possano risolvere i problemi di tutti. E' necessario pensare a come aggregare e utilizzare quanto le persone e le famiglie dispongono in termini patrimoniali – questa è la scommessa – per poi, partendo dagli strumenti che il nostro ordinamento mette oggi a disposizione, garantire il loro utilizzo in forma solidaristica – e questa è la sfida.

È una visione realistica? Abbiamo qualche altra possibilità?  Forse sì, forse no… ma se non ci proviamo…

La vera sfida da affrontare

Il punto di partenza, dovrebbe e potrebbe essere quella di non porsi in prima battuta quello della selezione dei beneficiari ma quello della "emersione dei progetti di vita". Dovremmo, in questa visione, considerare come efficiente e efficace quel bando che ha portato, nel tempo, all'incremento di richieste di supporto per la formulazione di progetti individualizzati, così come previsti dall'articolo 14 della Legge 328/00.

Richieste che, per poter essere inseriti nel bando specifico della Legge 112 dovranno riguardare il desiderio di andare a vivere fuori dalla propria famiglia di origine e rendere evidente una specifica idea di progetto vita. All'Unità di Valutazione Multidimensionale si potrà e si dovrà richiedere quindi, non tanto di raccontarci quanti problemi abbia la persona e cosa sappia o non sappia fare ma, piuttosto, di mettere in condizione la persona (anche attraverso il suo amministratore di sostegno) di valutare a che punto è della sua vita, cosa desidera e immagina per il suo futuro e di quali sostegni e risorse ha bisogno per poter provare a realizzare i suoi progetti. Sostegni e risorse che uscendo da una logica esclusivamente assistenziale e sanitaria e entrando in una esistenziale non potranno essere solo di natura professionale ma anche di tipo informale, familiare, sociale. In questa logica si potrà anche valutare se e quali interventi oggi necessariamente forniti da personale retribuito possano un domani, con il giusto percorso educativo, essere gestiti in autonomia dalla persona con i sostegni di carattere tecnologico ma anche e soprattutto di persone amiche: chi lo ha detto che per preparare un pranzo ci sia sempre bisogno di una certificazione HACCP? O che si possa andare a fare la spesa solo in compagnia di un educatore professionale?

Il diritto alla vita indipendente e all'inclusione sociale, così come descritto dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità passa anche da qui: dalla consapevolezza che il miglior professionista sociale è  quello che capisce come funziona una persona e impara a comunicare con lei, ma è anche quello poi lo spiega "al resto del mondo". Il diritto alla vita indipendente e all'inclusione sociale potrà divenire realtà quando accetteremo che tutte le persone con disabilità, ma proprio tutte, avrebbero la possibilità di vivere serenamente con le atre persone se appena appena ci sforzassimo di creare le giuste condizioni. In molti casi sapremmo già come si fa, e sarà più facile: in altri, a causa dei nostri limiti, non riusciamo ancora a immaginarlo.

Una buona applicazione della Legge 112 ci darà la possibilità di renderci più attenti e capaci nell'accettare questa sfida: e in molti casi di vincerla.

[1] Nota ISTAT sulla Legge "dopo di noi" – 31 maggio 2017
[2] Occorre per esempio ricordare che la prima annualità (2016) disporrà delle sole risorse messe a disposizione dal fondo nazionale, senza alcuna integrazione da parte di R.Lombardia.

 

10 ottobre 2017