Dopo oltre dieci giorni di attesa è stato finalmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 gennaio 2019 il Decreto Legge n. 4 del 2019 recante “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e pensioni”.
Si tratta in sostanza dell’introduzione del tanto sentito “Reddito di cittadinanza” con l’individuazione dei criteri di accesso al beneficio, la sua definizione e le modalità per poterne fruire.

Occorre analizzare il tutto, seppur in maniera schematica e semplice, per verificare che impatto possa avere tutto ciò per le persone con disabilità ed i nuclei familiari ad esse afferenti.
Propriamente, il Reddito di cittadinanza spetterà al ricorrere di certe condizioni soggettive unitamente a certe condizioni di carattere economico.

Condizioni Soggettive

Innanzitutto il beneficio: il Reddito di cittadinanza spetterà al richiedente che sia cittadino italiano o di uno dei Paesi dell’Unione Europea oppure cittadino di Paesi terzi, ma in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Potrà presentare la domanda anche chi ha un familiare entro il proprio nucleo titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.
In ogni caso il richiedente dovrà essere residente in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2 in modo continuativo.
Non accederanno al Reddito di cittadinanza i nuclei familiari che hanno tra i componenti soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie per i primi 12 mesi successivi alla data delle dimissioni stesse, salve quelle date per giusta causa.

Condizioni economiche

Occorrerà che vi siano anche tutte le seguenti condizioni:

  1. l’Isee del nucleo familiare sia inferiore a €9.360;
  2. il valore del patrimonio immobiliare, come definito ai fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non sia superiore a €30.000;
  3. il valore del patrimonio mobiliare (giacenze bancarie, titoli azionari, ecc..), come definito ai fini ISEE,  non sia superiore a €6.000, più €2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di €10.000, incrementato di ulteriori €1.000 per ogni figlio successivo al primo, con un incremento dei vari massimali di €5.000 per ciascuna componente con disabilità, secondo quanto  previsto dal DPCM  n. 159/2013 (che disciplina l’ISEE);
  4. il valore del reddito familiare non superiore a €6.000 moltiplicato per un coefficiente pari ad 1,00 per il primo componente e incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente maggiorenne e incrementato di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino al limite massimo di €12.600;
  5. nessun componente del nucleo familiare sia intestatario o abbia la disponibilità di un’autovettura di cilindrata pari o superiore ai 1600 cc immatricolata per la prima volta nei 6 mesi antecedenti la richiesta del beneficio, di un’autovettura di cilindrata inferiore ai 1600 cc o di un motoveicolo di cilindrata superiore ai 250 cc immatricolati per la prima volta nei 2 anni precedenti la richiesta del beneficio, ovvero di una nave o imbarcazione.

Beneficio economico

Il Reddito di cittadinanza corrisponderà ad un beneficio economico riconosciuto per un massimo di 18 mesi, anche se rinnovabili, per il nucleo familiare ripartito tra i suoi vari componenti maggiorenni secondo le modalità che dovrà individuare un successivo decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
L’entità complessiva del beneficio per il nucleo familiare corrisponderà all’integrazione del reddito familiare per giungere a €6.000 moltiplicato per un coefficiente pari ad 1,00 per il primo componente e incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente maggiorenne e incrementato di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino al limite massimo di €12.600.  
Nel caso di nucleo familiare risiedente in un’abitazione in locazione, il beneficio del reddito di cittadinanza potrà comporsi anche di un’ulteriore integrazione pari all’ammontare del canone annuo previsto nel contratto di locazione, fino ad un massimo però di €3.360 all’anno. Analogamente, nel caso di nucleo familiare risiedente in un’abitazione di proprietà per il cui acquisto o costruzione si è contratto un mutuo, vi sarà una componente aggiuntiva rispetto alla principale integrazione al reddito familiare per un importo pari alla rata mensile del mutuo e fino ad un massimo di €1.800 annui.
Il beneficio del Rdc sarà erogato attraverso la c.d.  “Carta Rdc”, da consegnare per ciascun componente del nucleo familiare e sarà utilizzata:

  • come carta per acquisiti;
  • per effettuare prelievi in contante entro il limite di €100,00 al mese (elevabile per 0,4 per ciascun componente maggiorenne successivo al primo componente e per 0,2 per ciascun componente minore) per ciascun componente del nucleo familiare;
  • per effettuare un bonifico mensile in favore del locatore o dell’intermediario che ha concesso il mutuo, qualora vi sia anche l’integrazione al reddito familiare per un canone di locazione o un mutuo.   

Durante l’erogazione del beneficio si avvierà un percorso volto a far uscire il nucleo familiare dalla situazione di disagio temporaneamente supportato col Reddito di Cittadinanza.

Percorsi per eliminare il disagio familiare

I percorsi per affrancare le famiglie dal disagio saranno diversi a seconda che il nucleo familiare di riferimento comprenda, o meno, in sé almeno un componente che sia in possesso, al momento della richiesta del Rdc, di uno o più dei requisiti:

  • assenza di occupazione da non più di 2 anni;
  • età inferiore a 26 anni;
  • essere beneficiario di NasPi (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego) o di altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria o averne fruito la fruizione da non più di 1 anno;
  • aver sottoscritto negli ultimi 2 anni un Patto di Servizio.

Nel caso in cui un componente abbia uno dei requisiti sopra detti, allora i componenti del nucleo familiare dovranno stipulare presso i Centri per l’Impiego un c.d. “Patto per il lavoro”.
Nel caso in cui non si ricada in nessuna delle situazioni sopra dette, i servizi dei comuni competenti per il contrasto alla povertà dovranno fare una valutazione multidimensionale finalizzata ad identificare i bisogni del nucleo familiare come per l’attuale Re.I. (Reddito di Inclusione) e comprendere se i bisogni siano prevalentemente connessi alla situazione lavorativa (prevedendo anche in questo caso il Patto per il Lavoro) ovvero siano complessi e di più ampia dimensionale, attivando quindi un Patto per l’inclusione sociale.    

In ogni caso i beneficiari che hanno sottoscritto un Patto per il Lavoro o un Patto per l’inclusione sociale saranno tenuti ad offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti a titolarità dei comuni, utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il proprio comune di residenza mettendo a disposizione un numero di ore compatibile con le altre attività del beneficiario e comunque non superiore al numero di 8 ore settimanali.   

Patto per il lavoro

È il patto con il quale i componenti del nucleo familiare si impegnano a svolgere ricerca attiva per il lavoro, ad accettare di essere avviati a corsi di formazione o riqualificazione professionale o a progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, a sostenere colloqui psicoattitudinali ed eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione e ad accettare almeno una delle tre “offerte di lavoro congrue”.
L’offerta di lavoro sarà considerata “congrua”:

  1. nei primi 12 mesi di fruizione del beneficio:
    se è la prima offerta ed è entro 100 km di distanza dalla residenza del beneficiario o può raggiungersi in 100 minuti con i mezzi pubblici;
    se è la seconda offerta ed è entro i 250 km dalla residenza del beneficiario;
    se è la terza offerta ed è entro l’intero territorio italiano, tranne nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità (visto che in tal caso l’offerta dovrà essere fatta sempre entro i 250 km).
  2. dopo i primi 12 mesi di fruizione del beneficio:
    se l’offerta è entro i 250 km dalla residenza del beneficiario, sia che si tratti di prima sia che si tratti di seconda offerta;
    se è la terza offerta ed è entro l’intero territorio italiano, tranne nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità (visto che in tal caso l’offerta dovrà essere fatta sempre entro i 250 km).
  3. dopo i 18 mesi di fruizione del beneficio, nel caso di rinnovo dello stesso:
    se l’offerta  è entro il territorio italiano, tranne nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità (visto che in tal caso l’offerta dovrà essere fatta sempre entro i 250 km).

All’interno del nucleo familiare non saranno soggetti a sottoscrivere il Patto per il lavoro coloro che hanno un’età pari o superiore a 65 anni, coloro che si trovano in una condizione di disabilità ai sensi della Legge n. 68/99 (pur permanendo il loro diritto al collocamento mirato), coloro che si prendono cura di minori di 3 anni di età o di persone con disabilità grave o non autosufficiente secondo le definizioni contenute nell’ISEE.
Una volta liquidata la prestazione del Rdc, i beneficiari riceveranno dall’ANPAL l’assegno di ricollocazione (AdR) da spendere presso i Centri per l’impiego o gli enti accreditati a fare inserimento lavorativo per avere un servizio di assistenza alla ricollocazione (per 6 mesi, prorogabili di ulteriori 6, se il valore dell’assegno non è stato interamente speso) attraverso l’affiancamento di un tutor e un programma di ricerca intensiva di nuova occupazione.

Patto per l'inclusione sociale

Assume le caratteristiche del progetto personalizzato, sottoscritto dai componenti il nucleo familiare, già previsto per il Re.I.. Pertanto, nel Patto per l’inclusione sociale sono compresi, oltre gli interventi per l’accompagnamento all’inserimento lavorativo, anche gli interventi e servizi sociali di contrasto alla povertà.
Occorre ricordare che dal 1 marzo 2019 il Reddito di Inclusione non potrà più essere richiesto e a decorrere da aprile non sarà più riconosciuto, fermi restanti i benefici riconosciuti per il Re.I. prima di aprile 2019.

Incentivi per l'impresa che assume e per il lavoratore assunto

Se un datore di lavoro, dopo aver comunicato la propria disponibilità ad assumere su suoi posti vacanti una o più persone beneficiarie di Reddito di Cittadinanza, le assumerà con contratto a tempo pieno ed indeterminato, sarà riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico sia del datore di lavoro sia di ciascun lavoratore, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail, per il periodo rimanente per la fruizione dei 18 mesi di Rdc (ma comunque per non meno di 5 mensilità) nel limite dell’importo mensile del Rdc percepito dal lavoratore al momento dell’assunzione e comunque non superiore a €780,00 mensili.
Se invece il datore di lavoro assumerà con contratto a tempo pieno ed indeterminato un beneficiario di Rdc che abbia seguito un percorso formativo o di riqualificazione professionale gestito da enti di formazione accreditati che hanno stipulato un Patto di formazione per garantire tali percorsi e il profilo lavorativo per cui si è assunti sarà coerente con tale percorso formativo, sarà riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico sia del datore di lavoro sia di ciascun lavoratore, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail, per il periodo rimanente per la fruizione dei 18 mesi di Rdc (ma comunque per non meno di 6 mensilità) nel limite della metà dell’importo mensile del Rdc percepito dal lavoratore al momento dell’assunzione e comunque non superiore a 390 euro mensili. La restante metà dell’importo mensile del Rdc sarà riconosciuta all’ente di formazione accreditato.
Il decreto prevede anche un’altra possibilità.
Se un beneficiario del Rdc avvierà un’attività lavorativa autonoma o un’impresa individuale o una cooperativa sociale entro i primi 12 mesi del periodo di fruizione del Rdc, sarà riconosciuto, in un’unica soluzione, un beneficio addizionale pari a 6 mensilità del Rdc con limite mensile di €780,00.

Tutto questo, come impatta le persone con disabilità intellettive e le loro famiglie? Ci saranno reali benefici?

Le persone con disabilità ed i loro nuclei familiari saranno fortemente penalizzate per l’accesso e per l’entità alla misura.
Infatti, impropriamente nel reddito familiare di riferimento, per l’accesso al Rdc vengono conteggiati alcuni trattamenti assistenziali che sono ricollegabili alla condizione di disabilità, quali per esempio le pensioni di invalidità civile, cecità e sordità civile, visto che l’articolo 2 comma 6 del decreto prevede che vanno aggiunti tutti i trattamenti assistenziali tranne quelli per cui non occorra la c.d. “prova dei mezzi” (ossia quelli la cui erogazione non è collegata ad un reddito).  
Per esempio, una persona con invalidità civile al 99% (titolare di assegno mensile di assistenza), che vive sola, si vedrà impropriamente considerata titolare di un reddito di oltre €3.770, laddove però, secondo le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato, tali provvidenze non dovrebbero essere conteggiate, perché solo necessarie a far riportare la persona con disabilità nella medesima condizione di partenza di chi non presenta, a parità di tutte le altre condizioni, quella di disabilità (che di per se stessa genera ulteriore impoverimento e condizioni di deprivazione).
Quindi, si richiede che durante la procedura di conversione in legge del decreto legge sia eliminato all’articolo 2 comma 6 la previsione in cui rientra, nel reddito familiare da considerare per l’accesso, il “valore annuo dei trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti il nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi”.       
Tale richiesta è valida anche per evitare che le persone con disabilità ed i loro nuclei familiari siano fortemente penalizzate anche per l’entità della misura.

Infatti, la componente del Rdc “pura”, cioè quella ad integrazione del reddito familiare (indipendentemente dall’altra eventuale componente inerente il sostegno alla locazione o al mutuo) è data dalla differenza di quanto serve alla famiglia per giungere al limite di reddito (€6.000 più maggiorazioni a seconda del numero dei componenti maggiorenni o minori) preso in considerazione per l’accesso.
Ciò comporta che una persona con invalidità civile al 99% che vive sola e senza ulteriori redditi avrà diritto, considerando l’assegno mensile di assistenza (c.d. pensione di invalidità), ad un reddito di cittadinanza di meno di €2.300 all’anno, laddove una persona senza disabilità, che vive sola e senza reddito anch’essa, avrà diritto a 6.000 euro. In sostanza, alla fine, le persone con disabilità, che rischiano per quanto sopra detto, anche di non rientrare nella misura, in ogni caso si ritroveranno ad avere meno delle altre.
Ma al di là di neutralizzare l’impatto negativo dei trattamenti assistenziali, occorre invece considerare che in ogni caso la condizione di disabilità di uno dei componenti del nucleo familiare impatta ben oltre la sola necessità di intervenire sul singolo, ma sulle intere dinamiche del nucleo stesso, condizionandolo in termini di disponibilità di tempo (assistenza continua che limita a priori la possibilità di trarre redditi), di mezzi necessari a garantire l’accesso a determinati servizi (automezzo e carburante per raggiungere i luoghi di riabilitazione), di maggiore necessità di risparmio (anche per garantire il c.d. “dopo di noi”).

Pertanto, si richiede di intervenire all’articolo 2 comma 4 per fare in modo che il parametro della scala di equivalenza per cui è moltiplicata la soglia di €6.000,00 di reddito familiare per individuare il limite di accesso e dell’entità della misura sia incrementato di 0,5 per ogni componente con disabilità e che di conseguenza anche il parametro massimo di 2,1 sia innalzato di 0,5 per ogni componente con disabilità.

Si è persa, al momento, l’occasione per promuovere e sostenere l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità.
Nel decreto legge si prevede che non sono obbligate a sottoscrivere il Patto per il lavoro le persone certificate con disabilità ai sensi della Legge n. 68/99 (ossia la legge che disciplina il collocamento mirato per le persone con disabilità).
Un intervento che, se avesse voluto significativamente modificare le dinamiche di accesso al lavoro, avrebbe dovuto intervenire anche ad integrare e meglio qualificare le attività del collocamento mirato, dove risultano iscritte quasi 800.000 persone con disabilità prive di lavoro, molte delle quali anche da decenni.

Quindi, si chiede che nella legge di conversione si introducano maggiori incentivi rispetto a quelli previsti nell’attuale articolo 8 del decreto per:

  • i datori di lavoro che assumeranno beneficiari di reddito di cittadinanza iscritti al collocamento mirato;
  • gli enti di formazione accreditati o i servizi di intermediazione che riusciranno ad inserire beneficiari del Rdc iscritti al collocamento mirato;
  • chi, persona con disabilità, avrà intenzione di iniziare una propria attività autonoma o dar vita a una società individuale o una cooperativa sociale.

Occorre anche prevedere, nella legge di conversione, che l’assegno di ricollocazione, di cui all’articolo 9 del decreto, abbia una dote maggiore nel caso si fornisca assistenza per l’inserimento lavorativo di persone con disabilità.

Vi è infine la necessità di un chiarimento tecnico, laddove, all’articolo 4 del comma 2 del decreto legge si prevede l’esclusione dall’obbligo della sottoscrizione del Patto per il lavoro per “i componenti con disabilità, come definita ai sensi ella legge 12 marzo 1999, n. 68”, rischiando che non vi sia chiarezza circa cosa possa accadere se la persona con una data disabilità non abbia, nel tempo, acquisito la certificazione ai sensi della legge n. 68/99.
Quella persona con disabilità sarà chiamata sempre presso i Centri per l’Impiego che, in quel momento, valuteranno se la stessa è incollocabile ovvero collocabile ex lege n. 68/99?