Fonte www.personecondisabilita.it - Tra il 2009 e il 2012, circa 800mila persone con disabilità sono state chiamate dall'INPS nell'ambito dei cosiddetti “Piani di verifica straordinaria dell'invalidità civile”. Controlli che hanno suscitato molte polemiche, soprattutto per le modalità con cui sono stati condotti. L'attività di ispezione – infatti – aveva un obiettivo ben preciso e apertamente dichiarato: la riduzione della spesa in materia di invalidità civile (art.10, Legge 122/2010).

I controlli avevano come principale obiettivo quello di recuperare risorse economiche. Un'attività di recupero crediti che si è svolta senza alcuna verifica dei soggetti interessati e del singolo caso individuato. “La prassi condotta dall’INPS non garantiva affatto il cittadino ed ancor più il cittadino con disabilità”, spiega l'avvocato Laura Abet del Centro Antidiscriminazione “Franco Bomprezzi” di LEDHA – Lega per i diritti delle persone con disabilità. L'obiettivo di questi controlli era esclusivamente quello di tagliare e di “togliere”. Togliere del tutto l'indennità di accompagnamento, oppure diminuire la percentuale di invalidità per ridurre l'erogazione delle provvidenze.
 E così, a seguido di questi controlli, sono stati modificati i verbali di invalidità civile, senza comunicare chiaramente ai diretti interessati (spesso persone con disabilità intellettiva) l'entità di questi “tagli” alle provvidenze economiche. Inoltre, l’INPS non ha provveduto a sospendere o a revocare l'erogazione delle provvidenze previste in precedenza.

Salvo poi procedere - talvolta a diversi anni di distanza - a una successiva comunicazione per chiederne la restituzione.

“Stiamo parlando di cifre che, con il passare del tempo, sono lievitate fino a raggiungere importi astronomici”, spiega l'avvocato Laura Abet. 
I casi seguiti da LEDHA
Dal 2010 a oggi, il Centro antidiscriminazione “Franco Bomprezzi” di LEDHA ha seguito in tribunale dieci ricorsi presentati da altrettante persone con disabilità per contestare queste richieste di rimborso da parte dell'INPS.

Uomini e donne che, nel corso degli anni, hanno ricevuto dall'Istituto di previdenza la richiesta (e relativo bollettino) per restituire importi fino a 35mila o persino oltre i 50mila euro. Peraltro da pagare in un'unica soluzione.


Gli avvocati del Centro Antidiscriminazione “Franco Bomprezzi” si sono trovati a gestire situazioni a dir poco kafkiane. Tra le tante, la richiesta giunta a una persona con disabilità psichica al 100%, ma ben inserita nel mondo del lavoro, di restituire la cifra esorbitante di 55mila euro. Motivazione? Il fatto di svolgere attività lavorativa, secondo INPS, rappresenta un motivo sufficiente a togliere l'indennità di accompagnamento. 
Peraltro, le lettere giunte alle persone che LEDHA ha seguito insieme allo “Studio Legale Pattarini”, risultavano scritte in maniera assolutamente incomprensibile, non solo per i comuni cittadini, ma anche per i professionisti della materia.

E persino per i giudici che – in alcuni casi – hanno stigmatizzato il fatto nella sentenza. Il 22 gennaio 2016, il tribunale di Milano ha emesso una nuova sentenza in cui condanna INPS e stabilisce che il ricorrente non deve restituire i 35.142 euro richiesti dall'istituto di previdenza. I ricorsi raccolti e seguiti da LEDHA sono pochissimi rispetto alle numerose richieste che l’INPS ha inviato alle persone con disabilità. Ma gli esiti delle azioni legali sono positivi: “Abbiamo già avuto molte sentenze positive e siamo ancora in attesa dell'esito definitivo delle ultime”, aggiunge l'avvocato Laura Abet. 


“Una nuova vittoria dopo quelle dello scorso autunno e degli anni scorsi – commenta Alberto Fontana, presidente di LEDHA -. Una vittoria che vuole essere un richiamo a tutte le persone con disabilità che dovessero ricevere lettere spesso non intelligibili, da parte degli Enti preposti invece a tutelarli. Non fatevi scoraggiare, reclamate i vostri diritti e rivolgetevi al Centro Antidiscriminazione “Franco Bomprezzi”. Saremo al vostro fianco”.

La possibilità di presentare un ricorso contro un ente pubblico può fare paura. Anche per la lunghezza dell'iter che può durare anche più di un anno. Tuttavia l'esito dei ricorsi fin'ora sostenuti rappresentano una buona certezza rispetto alla possibilità di ottenere una vittoria, una tutela dei diritti. Ed evitare così di dover restituire all'INPS cifre importanti e non dovute.

5 febbraio 2016