Sotto il regime nazista, tra il 1933 ed il 1945 circa 360.000 persone con disabilità o con problematiche psichiatriche sono state sterilizzate forzatamente.
Nel 1939 poi, dietro ordine dello stesso Hitler, fu avviato un progetto di sterminio di persone con disabilità, malati di mente, bambini con malattie croniche, malformazioni fisiche e disabilità mentali. Una pratica che ha portato all'uccisione di più di 100.000 persone all'interno di cliniche appositamente destinate. Attraverso l'uso di farmaci, gas, diete ipocaloriche, uccisioni dirette.
Orrori del passato, certamente, ma che non sono nati dal cinismo e dalla crudeltà di un regime. Il pensiero della dannosità sociale, genetica, economica di persone ritenute devianti rispetto a un modello ideale, serpeggiava già molto tempo prima dell'avvento del nazismo. Un pensiero che accomunava biologi, medici, sociologi, filosofi. Del resto, anche oggi, basta ascoltare: l'idea che le risorse destinate a persone in qualche modo non produttive siano uno spreco, nasce con una certa spontaneità e serpeggia sempre, dal bar alla politica ufficiale. E questa spontaneità è la sua pericolosità perché la rende indipendente da un'epoca e da un'ideologia storicamente delimitata.

All'interno del progetto L-inc (Laboratorio-inclusione sociale disabilità promosso da Anffas Lombardia nell'aera Nord Milano) è nato L-inc Teatro, un laboratorio teatrale in cui persone con disabilità intellettiva e fisica lavorano proprio intorno al tema dello sterminio delle persone con disabilità perpetrato dai nazisti. Sono proprio le persone con disabilità a farsi portatrici della narrazione.
Il laboratorio ha preso ufficialmente il via a gennaio 2020 e anche durante la necessaria interruzione per le misure antiepidemia, i membri del gruppo sono rimasti in contatto, lavorando da casa grazie a video-chiamate, tutorial con esercizi di ricerca espressiva e uno scambio via mail di idee, testi e proposte coreografiche.
Ma andiamo per gradi. Il laboratorio non lavora esclusivamente per le grandi possibilità del percorso teatrale in sé ma ha il preciso compito di produrre uno spettacolo. Spettacolo che vogliamo replicare molte volte.
Questo, insieme alla delicatezza e alla complessità del tema affrontato, non lo rende un percorso per tutti. Ma non per un discorso di estetica della messa in scena, dal momento che tutti potrebbero partecipare, anche con un gesto, ed è quello che accade in altri nostri laboratori. Non è un percorso per tutti perché chi non può cogliere la portata degli argomenti, il significato del materiale che studiamo, finirebbe per essere l'inconsapevole strumento al servizio del messaggio di altri.

Del resto, il pericolo della manipolazione è sempre in agguato, anche per me, che devo tenere a freno sia le mie interpretazioni sia la similitudine ideologica con le discriminazioni odierne, che però i partecipanti non sono in grado di cogliere. Questo ponte con l'oggi, se si rivelerà, lo farà attraverso la storia stessa, affidandosi all'immaginazione dello spettatore.
Abbiamo un compito difficile, non solo per gli argomenti; dobbiamo creare una performance dignitosa, che valga per sé, per il teatro in quanto teatro e non legata al plauso paternalistico che si continua a concedere alle performance delle persone con disabilità.
In un teatro sempre visto in subordine rispetto a quello “vero” (anche per colpa nostra che lo facciamo...), guardato e frequentato troppo spesso senza pretese; un'attività palliativa con cui impegnare il tempo, cercare improbabili finalità terapeutiche, ottenere la soddisfazione del protagonismo, in una serata di applausi acritici.

Questa visione da scalfire coinvolge tutti, dagli operatori, ai partecipanti, ai famigliari. È molto chiaro, spero, il punto di partenza: questa nostra attività deve essere affrontata con costanza e fatica; deve essere considerata con la serietà di un impegno importante e per quanto possibile irrinunciabile nella settimana, la cui frequentazione non va subordinata agli umori, al tempo brutto, a questioni che potrebbero invece essere rimandate ad altri momenti.
Pretenderemo molto da noi stessi e confidiamo, in questo senso, nella collaborazione di operatori e famigliari.


Per leggere l'intero articolo a cura di Edgar Contesini, educatore e animatore teatrale presso la Cooperativa Arcipelago a m. Anffas (Cinisello Balsamo), clicca qui.