Fonte www.superando.it - Deumanizzare, come da definizione di vocabolario, significa, in estrema sintesi, pensare all’altro essere umano sostanzialmente come a un oggetto, compiendo quindi sullo stesso azioni inaccettabili in un contesto normale.

Più ampia è la spiegazione di tale concetto, nella parte introduttiva del documento Umanizzazione delle cure e accompagnamento alla morte in scenari pandemici, recentemente licenziato dal Comitato Sammarinese di Bioetica, organismo che sin dagli esordi del proprio operato, avvenuto in forza della Legge 34/10 della Repubblica di San Marino, ha dedicato costante attenzione alle tematiche della disabilità, inserendola in ogni proprio documento: «Le pratiche di deumanizzazione sono state studiate sotto tutti gli aspetti, ponendo all’attenzione del mondo scientifico le implicazioni e le conseguenze negative che stigmatizzano varie fasce di popolazione colpita, negandone e/o sminuendone l’appartenenza al genere umano e così giustificando varie espressioni di violenza, di trattamenti inumani e degradanti. La pandemia SARS-CoV-2 ha evidenziato nuove forme di deumanizzazione motivate da una situazione di emergenza mondiale che ha visto una sostanziale impreparazione nell’affrontarla, causando il mancato rispetto di princìpi e pratiche sociali ed umane. In tal caso, le decisioni che hanno prodotto una sostanziale limitazione di attività sociali e religiose, di compressione di importanti relazioni umane, di sottovalutazioni di essenziali diritti umani sono scaturite da una situazione di emergenza pandemica in cui gli Stati, e non fasce di cittadini, hanno operato in modo drastico e imperativo, con tempistiche rapide e inappellabili. Esse, poi, hanno pesato in maniera forte non solo sulle relazioni umane ma anche sulle percezioni psicologiche individuali e sociali [grassetti nostri nella citazione. Il testo integrale del documento è disponibile a questo link, N.d.R.]».
Riteniamo di particolare interesse, all’interno di tale documento, il capitolo intitolato La deumanizzazione delle persone con disabilità durante la pandemia, che qui di seguito proponiamo integralmente ai Lettori e alle Lettrici. 

La deumanizzazione delle persone con disabilità durante la pandemia*
Fenomeni di deumanizzazione hanno colpito le persone con disabilità e le loro famiglie durante tutte le fasi della epidemia da SARS-CoV-2.
All’inizio del contagio da coronavirus tale processo ha assunto la forma dell’invisibilità, che ha investito e travolto i diritti di persone con disabilità e familiari, ignorati dai sistemi di emergenza (mancanza di attenzione in rapporto alla distribuzione dei DPI [Dispositivi di Protezione Individuale, N.d.R.], alla protezione nelle residenze, al lockdown di tutti i servizi ad esse dedicati, etc.).
La “deumanizzazione per invisibilità” appena descritta si realizza, quindi, attraverso il silenzio, la disattenzione, la noncuranza, il ricorso al dato statistico che annulla la pregnanza dell’identità personale e sociale.
In tale direzione, ancora oggi, non vi sono dati su quante persone con disabilità siano state colpite dalla pandemia e quante siano decedute, soprattutto nelle residenze di lunga degenza. Essa coniuga aspetti espliciti, voluti dalle istituzioni e inapparenti, che permettono alla società civile di distogliere lo sguardo, di non assumersi responsabilità per la deprivazione di umanità che colpisce alcune fasce di persone. Fortunatamente, però, il velo d’invisibilità è stato squarciato dalle associazioni di rappresentanza, pronte a sollecitare interventi utili a rispettare esigenze cancellate dalla politica del lockdown, quali la possibilità per le persone con disabilità intellettiva e relazionale di uscire di casa o di essere esentate dall’obbligo di indossare mascherine o rispettare il distanziamento fisico.

Agli inizi di marzo il 2020, per la «massimizzazione dei benefìci a favore del maggior numero di persone» in presenza di scarse risorse strumentali ed umane, erano state pubblicate raccomandazioni in base alle quali sarebbe possibile evitare di assistere le categorie di persone anziane o con disabilità grave (deumanizzando il singolo) [se ne legga in «Superando.it» a questo link, N.d.R.].
Una tale proposta era stata prontamente denunciata dal Comitato Sammarinese di Bioetica  e condannata da tutta la comunità internazionale come violazione di diritti umani, ed era stato segnalato in particolare il fatto che il quadro internazionale della medicina delle catastrofi era profondamente cambiato dopo l’approvazione della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità dell’ONU.
Le raccomandazioni emanate all’inizio della pandemia erano utili a giustificare le scelte dei medici sul triage dei pazienti, ma al tempo stesso rischiavano di dare origine a una forma di disimpegno individuale in grado di indebolire il controllo morale distorcendo, minimizzando, le conseguenze degli atti compiuti, oltre a dare per scontato, come pratica socialmente condivisibile, di imputare alla specifica limitazione psico-fisica la responsabilità di quanto tali persone deumanizzate subiscono.

Ne consegue come la deumanizzazione costituisca un potente disinnesco delle comuni regole morali. Quando percepiamo nell’altro un essere umano, proviamo reazioni empatiche che rendono difficile fargli del male senza provare angoscia, stress, rimorso, sentimenti, peraltro ridotti d’intensità o inibiti quando attribuiamo a chiunque dei tratti inumani. In altre parole, la deumanizzazione attenua, in alcuni casi sopprime, l’empatia e la compassione che si prova di fronte alla sofferenza altrui.
Le funzioni principali della deumanizzazione sono tre: la giustificazione della violenza, la legittimazione dello status quo, la presa di distanza da una situazione potenzialmente angosciante. Gli studi sul tema indicano nella deumanizzazione un presupposto necessario perché individui o gruppi siano marginalizzati e nei loro confronti possano essere poste in atto violenze estreme.
Una quarta funzione della deumanizzazione – la meno studiata in psicologia sociale – è quella di “proteggere” chi ricopre una posizione di potere e deve prendere decisioni potenzialmente pericolose, e dolorose per altri esseri umani. Essa può essere definita difensiva e non ha necessariamente l’impatto negativo delle precedenti, ma comporta conseguenze comunque pesanti in molti àmbiti istituzionali perché permette che gli operatori sociali (medici, psichiatri, infermieri, assistenti sociali, giudici, forze dell’ordine, personale carcerario) intervengano in situazioni rischiose e prendano decisioni difficili all’interno di relazioni lavorative pesanti e coinvolgenti, mettendo talora in secondo piano le sofferenze di chi è sottoposto alle loro cure o al loro controllo.

Nel personale di cura la deumanizzazione del paziente risulta associata a più bassi livelli di stress e burnout ma, al tempo stesso, può deteriorare il rapporto terapeutico e danneggiare il funzionamento emotivo-cognitivo del paziente.
Anche l’elevato numero di persone decedute nelle residenze per anziani non autosufficienti e persone con disabilità (1) richiede una riflessione: il sistema di welfare prevalente destinato a queste persone pretende di essere un sistema protettivo, in realtà non le ha protette durante la pandemia. Dovremo ripensare il welfare verso un sistema inclusivo, rispettoso dei princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, legato al mantenimento delle persone nella propria comunità di vita ed al sostegno alla piena cittadinanza.
Il carico sproporzionato di problemi che hanno vissuto le persone con disabilità e le loro famiglie, è stato evidenziato dalla Commissaria Europea per l’Uguaglianza e la Parità di Genere Helena Dalli ed evidenziato dalle ricerche di organizzazioni internazionali di questa fascia di persone (2) e di società scientifiche (3).

*Capitolo del documento Umanizzazione delle cure e accompagnamento alla morte in scenari pandemici, approvato il 12 maggio 2021 dal Comitato Sammarinese di Bioetica. I grassetti nel testo sono redazionali.

Note:
(1) Una ricerca della Camera dei Comuni del Regno Unito sulla base dell’indagine dell’Istituto Nazionale di Statistica ha evidenziato che nelle strutture residenziali dell’Inghilterra e del Galles sono morti il 59% dei residenti con disabilità; un dato analogo è emerso dall’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità italiano che parla di più del 41% dei residenti delle strutture per anziani non autosufficienti dall’inizio della pandemia al 5 maggio 2020.
(2) Si vedano, tra gli altri, l’IDA (International Disability Alliance), con il Disability Rights Monitor (2020), il DRF (Disability Rights Fund) (2020) e l’IDDC (International Disability and Development Consortium) (2020) per i Paesi in Cerca di Sviluppo.
(3) Si vedano l’APA (American Psychological Association), il rapporto UNICEF su Child Disability and Covid-19 (aprile 2020) e il rapporto dell’AAHD (American Association on Health and Disability), Novel Coronavirus Pandemic and Access to Health Services Among Adults with Disabilities Project.

Il Comitato Sammarinese di Bioetica e la disabilità
Rispetto all’attenzione riservata alla disabilità da parte del Comitato Sammarinese di Bioetica, basti ricordare una serie di documenti prodotti in questo decennio, divenuti modello ben oltre i propri confini, a partire dall’Approccio bioetico alle persone con disabilità (25 febbraio 2013) che, come si scrisse anche in «Superando.it», va considerato «il primo documento al mondo approvato da un Comitato Nazionale di Bioetica, costruito sui princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, tramite un approccio bioetico radicato sui diritti umani, che sposta totalmente il baricentro dalla disabilità in sé alla persona con disabilità».
E ancora, Bioetica delle catastrofi (10 luglio 2017), ove si afferma la necessità di garantire che l’aiuto umanitario sia rispettoso dei diritti umani di tutte le persone, quelle con disabilità comprese, e quindi La persona malata nel momento della fine della vita (marzo 2019), «nel quale il Comitato – come scrisse su queste stesse pagine Rita Barbuto – ha approfondito gli aspetti scientifici, bioetici e giuridici del processo di cura della persona morente, diritto fondamentale sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e in particolare delle cure palliative, terapie che estese a tutte le fasi evolutive dell’essere umano (dal neonato, al bambino, all’adolescente, all’adulto giovane o maturo e all’anziano) garantiscono il rispetto della dignità umana. Qui, confermando l’interesse nei confronti della tematica specifica e l’impegno assunto nei due precedenti documenti, ci si occupa di disabilità analizzando quattro tematiche riguardanti il fine vita e le persone con disabilità».
Infine, lo scorso anno, il recente Risposta alla richiesta di parere urgente su aspetti etici legati all’uso della ventilazione assistita in pazienti di ogni età con gravi disabilità in relazione alla pandemia da Covid-19, elaborato su richiesta del proprio Commissario Straordinario per l’Emergenza da coronavirus, che ha fornito un parere sull’eventuale selezione delle persone da trattare in terapia intensiva, ponendo come principio base il fatto che non debba esservi alcuna distinzione per età e condizione di disabilità, ma si debba guardare solo alle condizioni cliniche di una persona, che ogni medico deve valutare per decidere gli interventi di cura, così come stabilisce il Codice Deontologico dei Medici. In altre parole, i princìpi di non discriminazione e di uguaglianza di opportunità si devono applicare a tutte le persone anche in situazione di emergenza. (S.B.)