Fonte comunicato stampa FISH Lazio - È in discussione in questi giorni, al Consiglio Regionale del Lazio, la Proposta di Legge Regionale n. 27 del 15 maggio 2023 tramite la quale si intende istituire, presso lo stesso Consiglio Regionale, un Garante per la tutela delle persone con disabilità nel Lazio. Audito il 15 giugno scorso dalla VII Commissione Consiliare (Sanità, Politiche Sociali, Integrazione Sociosanitaria e Welfare), Daniele Stavolo, presidente della FISH Lazio (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), ha esposto una serie di osservazioni su tale Proposta di Legge, sia di sistema, che nel merito del testo. È lo stesso Stavolo a riassumerle qui di seguito.

Occorre partire da una doverosa premessa. Se si vuole porgere oggi attenzione alle istanze che le famiglie e le associazioni territoriali delle persone con disabilità individuano come bisogni emergenziali, gli argomenti interessati si riferiscono a temi puntuali e specifici, come, solo a titolo di esempio, la carenza di adeguati sostegni assistenziali domiciliari per favorire la Vita Indipendente, la mancanza di reali progettualità per garantire a tutte le persone gli strumenti per la vita adulta (“Durante e Dopo di Noi”) o la necessità di assicurare continuità ai servizi di inclusione scolastica alle allieve e agli allievi con disabilità. Sotto questo profilo la costituzione di un Istituto di Garanzia di questa tipologia non sembra attualmente rappresentare una priorità nell’àmbito delle politiche di intervento in favore delle persone con disabilità nella Regione Lazio, e non si ravvisa nessuna istanza in questa direzione da parte del mondo associativo.

È opportuno ricordare inoltre che la Legge 18/09, di ratifica della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità, introduce un cambio di paradigma nel nostro ordinamento, fissando alcuni princìpi di carattere generale che hanno inteso operare un profondo cambiamento nei modelli di approccio alla disabilità, tra i primi, quello secondo cui le politiche che interessano le persone con disabilità devono essere inserite nell’àmbito delle politiche che riguardano la collettività e l’intera cittadinanza, e non possono essere prerogativa di una o solo alcune Istituzioni. Su un piano culturale, pertanto, le tematiche che interessano le persone con disabilità dovrebbero essere affrontate in via trasversale da ogni Assessorato, che dovrebbe garantire il riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali, coinvolgendo attivamente, nei processi decisionali, le organizzazioni rappresentative.

Ciò premesso si ravvisa una prima criticità nell’analisi del testo della Proposta di Legge Regiuonale, in particolare nelle parti che illustrano le funzioni che “il Garante” è chiamato a svolgere.
Ad esempio l’articolo 3 stabilisce (comma 1, lettera b) che «promuove la sensibilizzazione al pieno rispetto della dignità umana e dei diritti di libertà e autonomia della persona con disabilità, nonché la piena inclusione di quest’ultima nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nel tempo libero e nella società».
Alla lettera d che «promuove interventi di prevenzione e contrasto ai fenomeni di discriminazione a danno della persona con disabilità e si attiva affinché non si verifichino distinzioni, esclusioni o restrizioni fondate sulla disabilità, che abbiano lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio dei diritti individuali e delle libertà fondamentali».
Alla lettera e che «promuove azioni di prevenzione di ogni forma di sfruttamento, violenza ed abuso a danno della persona con disabilità in tutti gli ambiti della vita associata».
A ben vedere tali funzioni non dovrebbero essere affidate ad un solo Istituto, ma assunte e realizzate dalla stessa Regione come Ente, e attraverso le sue diverse articolazioni. Per gli stessi motivi, a tale figura, come definita nella proposta, vengono attribuite funzioni specifiche assolte oggi alcune dalle Organizzazioni di rappresentanza, altre da Istituti già esistenti, come il Difensore Civico Regionale.

È stato inoltre portato all’attenzione della Commissione Consiliare che l’istituzione di un “Garante” Nazionale è prevista dalla Legge 227/21 (Delega al Governo in materia di disabilità), ma non è stato ancora approvato il Decreto Delegato che disciplina funzioni e organizzazione dell’istituto, pertanto l’emanazione di un atto regionale che anticipi la disciplina nazionale rischierebbe di dover far riformare a breve la materia perché non in linea con l’istituto nazionale.

È necessario quindi soffermarsi su alcune considerazioni.
In Italia, fin dal 1997, è stato avviato un percorso che ha portato alla fine del 2013 all’istituzione del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, divenuto pienamente operativo, grazie alla costituzione dell’Ufficio, solo nei primi mesi del 2016.
Una delle maggiori novità introdotte con l’istituzione di tale Garante è stata la sua connotazione come “meccanismo di prevenzione di tutte le forme di privazione della libertà personale, ovunque le persone siano ospitate o limitate nella mobilità”, che incidono sui diritti soggettivi delle persone. In quanto meccanismo nazionale indipendente, al Garante Nazionale è quindi attribuito, tra gli altri, il compito di monitorare le strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali per persone anziane o con disabilità, in base alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Si tratta di luoghi dove il rischio di isolamento, contenimento, segregazione e perdita della libertà di scegliere la propria quotidianità è estremamente elevato, in particolare per persone che hanno necessità di sostegni intensivi e prive di legami familiari.
L’istituzionalizzazione, ossia l’imposizione – esplicita o implicita – a trascorrere la propria quotidianità in luoghi nei quali non è consentito l’esercizio della scelta di dove, come o con chi vivere, appare una delle forme di segregazione da contrastare anche oggi con maggiore urgenza e impegno, pensando sia alle persone che oggi vivono in istituti totali, sia a quelle che vi sono a rischio.
Nell’ultima Relazione Annuale al Parlamento, presentata il 15 giugno scorso alla Camera, il Garante Nazionale ha ribadito che «l’area della residenzialità protetta, accudita, sconfina troppo spesso in situazioni privative della libertà de facto, soprattutto per coloro che non hanno figure di accudimento da loro stesse riconosciute. Le persone permangono all’interno di queste strutture per periodi indefiniti, non corrispondenti alle previsioni iniziali al momento di ingresso, né alla volontà da loro espressa o in quella di seguito affermata. Da qui la necessità per il Garante Nazionale di individuarla come area di proprio intervento, in piena collaborazione con il mondo associativo molto attento e reticolare, che da molto tempo opera in questo settore».

Sempre in sede di audizione, si è ricordato che i fatti accaduti negli ultimi anni hanno imposto di prestare particolare attenzione alle situazioni di convivenza vissute nelle strutture residenziali per le persone con disabilità e anziane, che sono diventate luoghi dove il virus Sars-COV-2 ha provocato più morti e focolai di contagio senza controllo per ospiti, familiari e operatori.
La situazione complessiva di isolamento ed emarginazione vissuta dalle persone costrette a vivere all’interno di mura “ospedaliere” e spesso senza nessun contatto con il territorio, lesiva della dignità umana, come denunciato dalla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap fin dalla sua costituzione, è esplosa durante il periodo di emergenza sanitaria, generando un’ondata di morte in tutta Europa. Tali fatti obbligano anche a riflettere sugli attuali modelli di residenzialità, per ripensarli in un’ottica di graduale trasformazione degli interventi, più umana, meno segregante e istituzionalizzante.
Il Garante Nazionale viene quindi investito della funzione di monitorare i luoghi, e più in generale, le situazioni di privazione della libertà, al fine di prevenire qualsiasi possibile trattamento contrario alla dignità delle persone, e, nell’esercizio di tale funzione, coordina i Garanti Regionali, dando ad essi forme e procedure comuni.
Nella Regione Lazio, tuttavia, come in altre, secondo disciplina vigente, il Garante (dei detenuti) Regionale non risulta legittimato ad esercitare quelle funzioni di tutela dei diritti umani, e di orientamento degli organismi politici e istituzionali, proprio nelle materie che la Costituzione Italiana attribuisce alle competenze legislative regionali, generando un vulnus normativo che ricade sulla vita delle persone più esposte al rischio di istituzionalizzazione e trattamenti discriminatori.
Negli anni scorsi, in sede di discussione della Proposta di Legge Regionale n. 201 del 16 dicembre 2019, recante il Testo Unico in materia di Organi di Garanzia, la FISH Lazio aveva avviato un percorso di concertazione con il Consiglio Regionale e il Garante dei detenuti della Regione Lazio (Stefano Anastasia), proprio al fine di colmare quel vulnus, e attribuire organicità e coerenza ad una disciplina ancora carente sotto questi profili in tutte le Regioni italiane.

Si possono quindi evidenziare, in conclusione, il nodo e la criticità centrale di questa Proposta di Legge: nell’àmbito delle sue funzioni, un Garante istituito per la tutela dei diritti delle persone con disabilità dovrebbe espletare in via principale quella di vigilanza e ispezione dei luoghi di privazione della libertà personale, configurandosi come figura di prevenzione e contrasto all’istituzionalizzazione delle persone, ma nel testo della Proposta di Legge 27/23 tale funzione e le modalità con cui si realizza non sembrano essere previste. Imprescindibile elemento, quindi, nella previsione di questo istituto monocratico è l’attribuzione in capo allo stesso di funzioni di vigilanza e ispezione presso le strutture residenziali e semiresidenziali socioassistenziali e sociosanitarie, a garanzia della possibilità di accesso per tutelare le condizioni degli ospiti con disabilità.