Fonte www.vita.it - Quattro Regioni in cui il progetto individuale è stato redatto ed è già partito o sta partendo in questi giorni, insieme agli interventi in esso previsti: Lombardia, Marche, Molise, Toscana. Tre Regioni in cui oltre ad una programmazione di carattere generale, nulla in concreto sui territori ancora è partito: Abruzzo, Puglia e Piemonte. Altre tre Regioni di cui non si hanno notizie certe, ma che sembrano ancora non attive sul tema: Umbria, Valle d’Aosta. In mezzo, Regioni a diversi “stadi di avanzamento”, suddivise rispetto alle direttrici più comuni: partire dai progetti individuali o dall’individuazione dei partner con cui progettare servizi? Partire dai progetti di acquisizione della consapevolezza o dai progetti di infrastrutturazione? Valorizzare l’apporto dei privati o chiedere uno sforzo agli Enti del Terzo Settore e alle famiglie con la messa in compartecipazione di ulteriori risorse ed opportunità? È questa l’estrema sintesi del “Monitoraggio dello stadio di avanzamento dell’attuazione della legge 112/2016 sul Dopo di Noi” redatto da Anffas e dalla sua Fondazione Dopo di Noi in attesa della seconda Relazione al Parlamento, che anche quest’anno non è arrivata entro giugno come la legge in realtà prevede.

Nel dettaglio (il Monitoraggio integrale è disponibile sul sito di Anffas e allegato in fondo a questo articolo), Friuli Venezia Giulia e Veneto si è scelto di co- progettare con gli “Enti gestori” e di attuare per loro tramite gli interventi ex lege n. 112/2016 nei territori; Sardegna e Sicilia hanno dato libertà agli Ambiti Territoriali di programmare gli interventi sul territorio, semmai raccogliendo previamente i progetti individuali; in Basilicata, Calabria, Campania, Lazio) si è dato avvio anche all’attivazione delle richieste di redazione ed approvazione di progetti individuali; in Emilia Romagna e Liguria si è optato per partire prima dall’individuazione ed intervento sugli immobili.

«In buona sostanza a due anni dalla sua entrata in vigore le legge 112 stenta a produrre risposte concrete in favore delle persone e delle famiglie destinatarie», afferma il report. «A questo punto la domanda sorge spontanea: ma la legge 112 non nasceva per dare una risposta emergenziale? In che modo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali intende intervenire per chiedere alle Regioni di colmare le criticità sopra descritte? Non si corre il rischio che il tutto si traduca in “frettolose” soluzioni per “distribuire” risorse che altrimenti le Regioni rischiano di dover restituire o non ottenere il finanziamento delle successive annualità?». ?E ancora: «la legge 112 è “condannata” a fare la stessa fine di altre importanti leggi che, a distanza di venti anni ed oltre, sono applicate poco e male?Ancora una volta sono le persone con disabilità e le loro famiglie che, nel vuoto di un sistema incapace di dare risposte di qualità, si auto-organizzano per vedere garantito il diritto a poter scegliere dove, come e con chi vivere e non essere costrette ad adattarsi ad una specifica “sistemazione” precostituita da altri. Forse la soluzione sarebbe proprio quella di partire dalle tante buone prassi già esistenti e co-progettare la corretta applicazione della legge 112 con i diretti interessati».

Guardando alle buone prassi infatti la legge 112 risulta essere «una sfida nuova per le famiglie e per le persone ma anche per le Associazioni e gli Enti gestori di servizi», poiché «si tratta di passare dalla logica del “servizio standardizzato” alla logica del “progetto di vita personalizzato”», accettando di mettersi in gioco e di cambiare in continuazione, «perché la vita cambia ad una velocità più sostenuta rispetto ai servizi ed alle organizzazioni».

Una prova ne è la storia di Luca, Silvio e Vanni, la cui convivenza nel pavese - realizzata dalla cooperativa sociale “Come Noi” di Mortara (provincia di Pavia) - è stata un modello per la stessa legge 112. Una storia che i lettori di Vita conoscono bene, ma che oggi «è tutt’altra cosa rispetto a 4 anni fa», racconto il report. «Silvio una volta capito che si poteva vivere assistito ma con più libertà in un appartamento in centro al paese ha scelto di tornare a casa sua davvero: al suo paese dove viveva prima di entrare in comunità e prima di andare a convivere a casa della nonna di Luca. Ha deciso di tornare al suo paese, ma non da solo: insieme a Paola, che nel frattempo è divenuta la sua fidanzata». Paola è anch’essa una persona con disabilità intellettiva: lei e Silvio si sono conosciuti al centro occupazionale e si sono fidanzati. Anche Paola viveva in comunità, poiché non sopportando l’idea di vivere da sola con i genitori anziani avevaa espressamente chiesto di uscire di casa. Quando le è stato chiesto se se la sentiva di andare a vivere con Silvio, non ha esitato neanche un minuto ed ha coronato il sogno di andare a vivere “da sola” con il suo fidanzato. «Non proprio soli, perché la casa è grande e anche Lele ha deciso di seguire Silvio. Luca tuttavia non è rimasto solo perché nel frattempo altri genitori ed altre persone con disabilità hanno maturato l’idea di provare la convivenza in appartamento lasciando la comunità o la casa dei genitori...».

Sono tante le “storie” di successo che si potrebbero raccontare, che dimostrano «che non è la legge che non funziona ma, ancora una volta, è il contesto in cui la legge si cala che non dimostra capacità nel produrre cambiamento»: queste storie così rimangono “mosche bianche” «in un sistema che continua a negare colpevolmente diritti ed opportunità alla stragrande maggioranza delle persone con disabilità nel nostro paese».